06 August 2003

Itinerario di un viaggio in Iran, 7/31 Agosto 2003




Viaggio in Iran, 7 – 31 Agosto 2003

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Date
itinerario
notte
KM
1
Tehran
0
2
Tabriz
0
3
Tabriz
0
4
Tabriz
600
5
Takab
300
6
Gazvin
200
7
Gazvin
0
8
Tehran
150
9
Kashan
200
10
Esfahan
200
11
Esfahan
0
12
Esfahan
0
13
Yazd
350
14
Yazd
0
15
Kerman
760
16
Kerman
80
17
Shiraz
800
18
Shiraz
0
19
Shiraz
250
20
Tehran
0
21
Tehran
30
22
Tehran
0
23
Tehran
20
24
Tehran
0
25
Tehran
0
26
Italia
0



TOTALE
3.940

25 July 2003

Book Review/Recensione: Shah of Shahs (2006), by Ryszard Kapuscinski, ****

Recensione in italiano di seguito

Synopsis

Shah of Shahs depicts the final years of the Shah in Iran, and is a compelling meditation on the nature of revolution and the devastating results of fear. Here, Kapuscinski describes the tyrannical monarch, who, despite his cruel oppression of the Iranian people, sees himself as the father of a nation, who can turn a backward country into a great power - a vain hope that proves a complete failure. Yet even as Iran becomes a 'behemoth of riches' and as the Shah lives like a European billionaire, its people live in a climate of fear, terrorized by the secret police. Told with intense power and feeling, Kapuscinski portrays the inevitable build-up to revolution - a cataclysmic upheaval that delivered Iran into the rule of the Ayatollah Khomeini.

05 May 2003

Ode Triste del Mare, dagli atolli maldiviani.

La fin de lo vagare è già imminente
e quindi è d'uopo dir lo risultato
per quelli ch' hanno avuto e per chi ha dato
ed anche per chi fu per scelta assente.

Partendo c'è chi forse avea sperato
d'andar per mare verso il Paradiso;
tuffarsi giù nel blu con un sorriso
e risortirne fora un po' rinato.

Solcando il mar, felici, il vento in viso
ci siamo infine in sedici trovati
(che se non c'erano andavano inventati)
a rimpinzarci a pesce, curry e riso!

Tra vodka, carte e stelle amalgamati,
qualcuno fu contento, alcun deluso,
e mai nessuno mise il brutto muso
e certi son financo innamorati!

E' l'ora del sipario, il club è chiuso,
è bello ritrovarsi con se stessi.
Nel mondo, ci son proprio tanti fessi,
... e forse ce l'ho anch' io il cervello fuso!!

04 May 2003

L'olio d'oliva extra-vergine alle Maldive

Dopo cena quattro compagni di crociera vanno a pesca con il barchino d’appoggio, poco più di un guscio di noce. Il piccolo fuoribordo li porta un po’ lontano dalla rada dove siamo ancorati. C’è la luna piena, la laguna è calma come l’olio, il cielo quasi pulito, il silenzio (quando convinco il comandante a spegnere il generatore di bordo) è assoluto. Dopo un paio d’ore gli intrepidi pescatori tornano con un sacco di pesci di media taglia, che domani saranno il nostro pranzo, un po’ fritti, che qui va molto, ed un po’ semplicemente grigliati e conditi con un po’ d’olio d’oliva e limone.

D’abitudine quando vado in crociera alle Maldive chiedo a tutti i miei compagni di viaggio di portare dall’Italia un po’ di limone (più saporito del lime locale) e un po’ di olio d’oliva extravergine della propria regione (qui si trova più che altro olio di semi). Si sa che in Italia siamo un po’ tutti maniaci dell’olio della nostra terra. Anche a Bruxelles, dove vivo, è divertentissimo ascoltare le discussioni tra italiani espatriati riguardo all’olio d’oliva. Con il vino è diverso: tutti vantano le doti organolettiche dei vini della propria regione, ma c’è una generale disponibilità ad apprezzare anche i vini di altre regioni, e magari stranieri.

Con l’olio no: ognuno è sinceramente convinto che quello della propria regione, qualunque essa sia, se non della propria provincia, per non parlare di quelli che lo producono in famiglia, sia oggettivamente il migliore olio del mondo, che non ci sarebbe neanche da doverlo dire tanto è ovvio: l’acidità, il sapore, il colore, la leggerezza, tutto grazie al sole, al terreno, alla macrobioticità, la coltivazione «bio», ecc. ecc. Si vedono le persone più equilibrate e mansuete irrigidirsi, scattare di nervi, solo a suggerire che magari in altre regioni italiane (oppure, sacrilegio, all’estero!) ce ne sia di altrettanto buono o, percaritàdiddio, di migliore, e magari a prezzo più conveniente. Forse, in tutta Italia, solo i residenti delle valli ladine non accampano con convinzione il primato sull’olio d’oliva.

Tutto questo è un ridicolo campanilismo, frutto di ottusità culturale e miopia degustativa. Perché azzuffarsi così puerilmente? Tanto si sa che l’olio migliore del mondo è indiscutibilmente quello pugliese, e precisamente quello del Gargano, ed in particolare quello prodotto sui «Monticelli» alla periferia di Manfredonia dove mio nonno materno per decenni accudiva i suoi uliveti. Al quale, oggettivamente, può tener testa solo quello calabrese prodotto dai miei cugini Carlo e Giuliana, specificatamente della provincia di Catanzaro ed esattamente di Lamezia Terme, che mio padre mi riporta ogni tanto quando torna a visitare i nostri familiari. Chiarito questo,...


Questo post è un estratto del mio libro sulle Maldive. Per comprare il libro formato kindle su Amazon clicca qui.

02 May 2003

Pallanuoto su una lingua di sabbia senza nome, atollo di Ari, Maldive

Un venerdì, il giorno di festa settimanale mussulmano, ci ancoriamo verso mezzogiorno nei pressi di uno di questi banchi di sabbia senza nome. C’è già lì prima di noi, quasi arenata sulla riva, una barca di maldiviani in vacanza. Una scolaresca assortita: bambini e molti adolescenti, qualche giovane più grande, forse gli insegnanti o gli accompagnatori. Hanno messo su campo, c’è una grande tenda e molte vettovaglie sparpagliate qua e là, bevande fresche. Ci incrociamo in acqua e sulla sabbia, ancora una volta la comunicazione verbale è limitata ma mani e sorrisi fanno molto per instaurare una forte simpatia reciproca.

Ad un certo punto salta fuori un pallone, ed inizia subito una partita di pallanuoto un po’ anarchica tra italiani e maldiviani, senza porte, senza arbitro e senza regole, ci passiamo solo la palla cercando di non farla catturare alla «squadra» avversaria. Un gran guazzabuglio il cui unico vero scopo in realtà è farsi delle sonore risate: loro se le fanno probabilmente per la nostra goffaggine di cittadini impacciati e tutti più o meno in sovrappeso, noi... pure. Partecipano anche le ragazze, ed in questo tipo di gioco non può mancare il contatto fisico, anche involontario; certo fa una certa impressione vedere le nostre agitarsi in acqua in risicatissimi bikini affianco alle loro in tessuto nero dalla testa ai piedi.

Mi faccio anche qualche fotografia al loro fianco, ma solo dopo che i loro uomini (fratelli, cugini, mariti, compagni di classe, non saprei dire) fanno cenno che non c’è problema, anzi vengono a posare anche loro. Dopo una mezz’ora siamo stremati e stramazziamo sulla spiaggia, rifocillati da qualche noce di cocco che ci viene gentilmente offerta. Ci facciamo un sacco di foto, i bambini come sempre sono curiosi di guardarsi subito negli schermi delle macchine digitali che qui nei villaggi ancora sono poco diffuse. Ci piacerebbe inviargli una copia delle foto ma la cosa è praticamente impossibile perché non riusciamo a capire se hanno un indirizzo di posta elettronica, qui è ancora agli albori, oppure sono restii a darlo (non credo) e poi non sapremmo dove scriverlo...

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Recensione: A Est dell'Avana, di Roberto Goracci, *****

Sinossi

Organizzatore di crociere charter nel Mediterraneo, dopo qualche anno di lavoro d'ufficio, Roberto Goracci decide di riprendersi la libertà che fino a quel momento aveva venduto agli altri. Acquista un catamarano, va a Cuba e si ferma vicino a Holguin sulla costa orientale. Per tre anni abita in una capanna sulla spiaggia, col suo cane Hush, e porta in giro i turisti con la barca. E intanto vive in prima persona la musica, la danza, il ron, l'embargo, i burocrati, il sesso, la miseria, l'orgoglio: tutta la vera Cuba, uno dei luoghi più affascinanti del mondo. Con una nota di Luca Barbarossa.

01 April 2003

Book Review: The Life and Adventures of John Nicol, Mariner, by Timothy Flaney, *****

Description
The true story of a pioneering sailor who travelled the world at the end of the 18th century. In his many voyages, the Scottish-born John Nichol circumnavigated the globe, visiting every inhabited continent. He participated in many of the greatest events of exploration and adventure. He battled pirates, traded with Native Americans and fought for the British Navy in the American and French Revolutions; he also travelled on the first female convict ship to Australia, was entertained in Hawaii by the king's court, days after the murder of Captain James Cook, and witnessed the horrors of the slave system in Jamaica.

08 March 2003

Book Review: Cuba - The Land of Miracles: A Journey Through Modern Cuba, by Stephen Smith, ***

Synopsis
The Cuban coined the term "the land of miracles" in the nineties, during the "special period" when the end of Soviet subsidies brought untold privations and suffering just as the rest of the world was ditching Communism. An official Cuba version of events is available here.

06 March 2003

15° g - 6 MAR: da Moron a L'Avana e fine del viaggio

Partenza presto per Santa Clara, breve sosta al mausoleo di Che Guevara (visibile solo da fuori, lavori in corso non ci permettono di visitare l’interno) ed arrivo a L’Avana nel primo pomeriggio, che passiamo per la città vecchia fino a che il bus ci riconsegna alla Iberia per il volo verso l’Europa.

Immaginate un futuro sognato da lui!
(slogan scritto accanto a gigantografia di Che Guevara)

Onestamente, più che un sogno, sarebbe un incubo! A presto Cuba!

05 March 2003

14° g - 5 MAR: Cayo Coco, e le spiaggie segregate

Gita ai Cayos. Spiaggie bianchissime, fantastiche verso il centro del versante nord dell'isola di Cuba, immacolate anche perché lontano da grandi centri abitati e non sviluppate urbanisticamente.

Ci vorrei portare Anabel, un'amica cubana che ho conosciuto da poco, ma l'autista Diego mi sconsiglia: è vietato. Tanto per cambiare. Sono spiaggie riservate agli stranieri!

04 March 2003

13° g - 4 MAR: da Holguin a Moron

Partenza per Moron, lungo trasferimento senza soste di rilievo, non c’è tempo per fermarsi in spiaggia, arrivo in serata e sistemazione nelle case. Poi a cena e alla Casa della Trova, non particolarmente interessante, è tardi e a mezzanotte chiudono tutto.

03 March 2003

12° g - 3 MAR: da Baracoa a Holguin

Partenza presto per Holguin. Mattinata ancora a Maguana, dove stavolta per pranzo ci facciamo preparare un porcellino allo spiedo, che ci viene rosolato in spiaggia mentre noi nuotiamo e ci abbronziamo, che sofferenza! Dopo pranzo partiamo per un lungo e noioso trasferimento verso Holguin, dove arriviamo in serata.

02 March 2003

11° g - 2 MAR: Baracoa, in spiaggia

Giornata alla spiaggia di Maguana, a 20 km circa. Bellissima. Attenzione, ce ne sono tre: La più grande è adiacente ai bungalows dell’albergo, ed è la più pulita ma anche più frequentata (anche da cubani). La seconda, dove siamo andati noi, è più selvaggia, con poca gente; eravamo soli con alcuni bambini cubani (domenica, scuola chiusa) ed alcuni signori che ci hanno preparato la solita aragosta e gamberoni, e ci hanno anche preso le noci di cocco dagli alberi, ottimo il latte di cocco, naturalmente con il RON! la terza spiaggietta è piccolissima e molto nascosta, adatta a coppiette romantiche che si vogliano appartare…

01 March 2003

10° g - 1 MAR: da Santiago a Baracoa

Guantanamo

La strada statale, deserta come tutte, che porta da Santiago verso l’estremo orientale di Cuba, si trasforma ad un certo punto in una autostrada, pur’essa deserta, che punta dritto su Guantanamo, la città adiacente all’omonima base della marina militare americana: un nome che racchiude in sé rabbia, costernazione e sdegno, e non solo per i Cubani. La base fu concessa agli USA nel 1934 con un trattato a tempo indeterminato. Molti a Cuba, e non solo, considerano questa base un anacronistico residuo di un’era coloniale che tutti vorremmo pensare definitivamente passata.

28 February 2003

9° g - 28 FEB: Santiago, Gran Piedra, Santeria

Escursione a Gran Piedra e Museo Caffè

Oggi visita alla Gran Piedra, saliamo gli infiniti scalini, superando alcune bancarelle di signore che vendono collanine e braccialetti fatti con la materia prima del luogo: chiocciole, bacche, paccottiglia per arrivare ad una vista straordinaria sulla valle. Un inizio degno di una lunga ed intensa giornata...

27 February 2003

8° g - 27 FEB: Santiago: Castillo, teatro, Tumba Francesa

Colazione pantagruelica, frutta tropicale , prosciutto cotto, formaggio, uova, c’è sostentamento per tutto il giorno! La prima visita è al Castillo de San Pedro, patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO. L’autista ha qualche dubbio su come arrivarci e chiediamo indicazioni ad una ragazza che passa per strada. La ragazza è molto gentile... anzi gentilissima: sale sul nostro bus e ci offre spiegazioni dettagliate, poi dice che vorrebbe venire con noi ma deve andare al lavoro, fa l’infermiera in un ospedale. Però vuole rivederci dopo, chiede il telefono della mia casa privata, dobbiamo assolutamente rivederci. Mi telefonerà poi varie volte ma per un motivo o per un altro non siamo mai riusciti a combinare. Insomma aveva visto un gruppo di occidentali, con un maschio spaiato (io) e aveva fatto di tutto per agganciare...

26 February 2003

7° g - 26 Feb: Da Camaguey a Santiago de Cuba

Lasciamo Camaguey sul prestino, la strada per Santiago è lunga, andiamo verso la capitale musicale di Cuba. Ci fermiamo per una sosta in una spiaggia a Bayamo, è quasi ora di pranzo, e cerco un po' da mangiare. Non è difficile. L'autista, nonostante i nostri ripetuti inviti, resta come sempre a guardia del pullmino, non si unisce quasi mai a noi, dice che ha paura di furti di cui sarebbe ritenuto responsabile dai suoi capi. Subito siamo avvicinati da una famiglia locale che ci propone un pranzetto di crostacei e rotelline di banane fritte accompagnati da birra Cristal. Accettiamo senz’altro e mentre aragoste e gamberoni vengono grigliati prendiamo possesso della bella ed amplissima spiaggia.

Book Review: Fidel Castro, by Clive Foss, *****

Synopsis

Fidel Castro has led Cuba through success and failures since 1959. Son of a rich landowner, he became a radical revolutionary who attempted to overthrow the government in 1956 with a tiny band of followers. Using propaganda and subversion as much as sudden attacks from his mountain hideout, he gained victory in 1959. He liberated his country from one dictator and the overwhelming influence of the United States, only to turn it into another dictatorship firmly under the control and patronage of the Soviet Union.

25 February 2003

6° g - 25 FEB: sulla strada per Camaguey

Sancti Spiritus è una carina cittadina, tranquilla, con molte viuzze nelle auali si svolge ancora una vita d’altri tempi. Consiglio di fermarcisi per qualche ora, e di abbandonare la piazza centrale per trovare locali nelle stradine adiacenti la cattedrale. Per esempio alcuni di noi hanno trovato un gruppo di rancheros (cow-boys) che cantavano, mangiavano e soprattutto bevevano alla taberna don Pepe, un locale accanto al museo coloniale, ottimo per mangiare uno spuntino e bere una birra fredda prima di rimettersi in viaggio. Ci fermiamo a pranzo in un ristorante privato, "La Vicaria", dissetati da vera Coca Cola fatta in Messico, un'altra prova che l'embargo non esiste! Ed inoltre i beni alimentari non sono coperti da embargo, gli USA ne hanno venduti più di 150 milioni di dollari a Cuba: riso, farina, frutta...

24 February 2003

5° g - 24 FEB: Trinidad

Mattinata a zonzo per Trinidad, è come passeggiare in un grande museo. L’architettura è solo il fantasma dello sfarzo coloniale che si sfoggiava qui durante l’epoca d’oro dell’impero spagnolo. La struttura urbanistica a dimensione d’uomo, raccolta attorno alla zona della cattedrale, quasi una miniatura, lascia ancora respirare l’atmosfera di allora. Naturalmente il traffico è minimo, ed a parte qualche raro camion, le immancabili automobili americane degli anni cinquanta contribuiscono a rendere l’ambiente ancora più caldo ed invitante...

23 February 2003

4° g - 23 FEB: Da L'Avana a Trinidad, casa di Hemingway

Lasciamo L’Avana e ci dirigiamo verso oriente. Ci fermiamo dopo pochi chilometri a San Francisco per visitare un’icona immancabile della cultura a Cuba: la casa-museo dove visse e lavorò Ernest Hemingway. Al cancello le guardie ci contano, naturalmente noi stranieri paghiamo in dollari quello che i cubani pagano in pesos, e cioè ventisei volte di meno…Non si può entrare, se non in occasioni speciali, ma solo guardare dal di fuori i suoi mobili, libri, trofei di caccia, la vecchia barca. Qualche foto è disponibile qui.

22 February 2003

3° g -22 FEB: ancora a L'Avana, sigari Habanos, lezioni di danza, concerto jazz

L'Avana vecchia

Passeggiare per le melanconiche strade nel cuore dell’Avana vecchia, lontano dai ritrovi turistici, provoca sentimenti contrastanti. Da una parte, le forme gentili dell’architettura coloniale non possono che ammaliare anche il visitatore più distratto. La fatiscenza delle strutture dona al tutto un tocco di fascino decadente. La quasi totale mancanza di traffico, i bambini che giocano, le signore rotondette che provvedono alle faccende domestiche, gli anziani seduti sui gradini della soglia di casa a chiacchierare, magari fumando un bel sigarone, tutto questo non può che suscitare una piacevole reazione nel visitatore occidentale. Ci si aggiunga il caldo avvolgente ed i raggi di sole che s’infilano nelle fessure tra i palazzi, e l’atmosfera rapisce.

21 February 2003

2° g - 21 FEB: L'Avana, colazione socialista, Museo della Rivoluzione

Colazione a casa di Ernesto. Frutta tropicale in abbondanza, uovo sbattuto con cipolla e pomodoro. Banane affettate. Ernesto taglia le banane lentamente, quasi solennemente, come se dipingesse. Suona il telefono, la preparazione si sospende. Succo di guava fresco. Marmellata, buona sul pane tostato con il burro ingiallito ma saporito. Caffé un po’ annacquato, come sarà spesso a Cuba, strano in un paese che produce ottimo caffé. Il tempo sembra non passare mai, ma aver fretta a Cuba è un controsenso, ed è anche inutile, non importa se si fa tardi ad un appuntamento con gli amici, tanto faranno tardi anche loro, ora si fa colazione. Mangia con noi un australiano che è qui per la terza volta, viaggia da solo, ha fatto quasi 24 ore di volo per arrivare, gli piace Cuba, ma dice che questa sarà forse l’ultima volta. Vuole finire di girare il paese, dice gli mancano ancora alcune spiaggie e cittadine, poi se ne andrà contento.

20 February 2003

1° g - 20 Febbraio 2003: in viaggio verso Cuba

Questi appunti nascono da un viaggio a Cuba cominciato oggi. Voglio ringraziare i miei compagni di viaggio per aver reso questa esperienza piacevole oltre che interessante. Soprattutto grazie ai cubani e le cubane che ho incontrato e con i quali ho discusso, mettendoli a volte non completamente a loro agio, alcuni degli argomenti qui affrontati. Per ovvi motivi, ho evitato di utilizzare i loro veri nomi.

19 February 2003

Itinerario di un viaggio a Cuba: 20 Feb / 6 Mar, 2003







Viaggio a Cuba, 20 Febbraio – 6 Marzo 2003

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Data
Itinerario
Notte
Km
Ore
1
L’Avana
0
0
2
L’Avana
0
0
3
L’Avana
0
0
4
Trinidad
330
5
5
Trinidad
0
0
6
Camaguey
250
4
7
Santiago
340
6
8
Santiago
0
0
9
Santiago
90
2
10
Barcoa
220
4
11
Baracoa
50
1
12
Holguin
260
4
13
Moron
340
5
14
Moron
130
3
15
aereo
450
5


TOTALE

2.460
39

11 January 2003

25° g - 11 GEN: Pune e rientro a Mumbai

A Pune convivono, letteralmente fianco a fianco, negli stessi quartieri, bidonville puzzolenti e condomini sfavillanti, ricoveri per bovini randagi e grattacieli di acciaio e cristallo dentro ai quali lavorano migliaia tra i più sofisticati esperti di informatica del mondo!

Qui è stato tenuto prigioniero Gandhi. Ho visitato con una certa emozione l'importante memoriale. Credo che se vedesse l'India di oggi sarebbe molto preoccupato, ma forse ancora speranzoso.

Casa di Jaideep è tipica espressione della emergente classe media indiana, appartamento moderno, dotato di tutto, senza lusso ma comodo e funzionale. Il comprensorio è dotato di parcheggi che sono pieni di auto di categorie media e alta, nuove di zecca, piscina, campi da tennis.

Lui se la passa bene, dopo aver fatto l'università in America è tornato, si è sposato con una brillante architetta presentatagli dal padre, come ancora si usa. Però ci tiene a sottolineare che sono stati solo presentati dalle rispettive famiglie, e non obbligati a sposarsi.

Ovviamente sono entrambi Bramini, stessa casta e sottocasta. L'appartenenza alla stessa casta è ancora un fattore importante nello scegliere un partner di vita, anche se meno di prima.

Jaideep e Sharmila pensano che ai loro figli non importerà molto e loro non faranno pressione. Panta rei? Chissà? Son migliaia di anni che si accoppiano per casta, ma forse è ora di cambiare. Hanno un figlio ed una figlia e son contenti così. In India c’è ancora il problema degli aborti selettivi perché le coppie preferiscono figli maschi, ed il governo ha vietato di fare l'ecografia per capire il sesso del nascituro!

A proposito di usanze tradizionali, mi dicono che il sati, immolazione rituale della moglie quando muore il marito, è ovviamente scomparso come pratica corrente ma ogni tanto, forse una o due volte l'anno, se ne sentono ancora, soprattutto nel Rajasthan.

Nonostante siano Bramini non sono vegetariani. Anzi mangiano anche carne bovina, ma non in India perché siccome se ne consuma poca hanno paura che non sia fresca.

Loro sono entrambi bengalesi, e tra di loro parlano prevalentemente bengalese, ma con i figli che vanno a scuola a Pune prevale il Marathi. Tutti parlano Hindi che però è usato soprattutto in occasioni ufficiali, e alla fine in casa si sente anche molto inglese.

La convivenza di coppie non sposate è ancora molto rara in India, ma comincia ad essere accettata nelle città e nelle famiglie più moderne.

Sharmila e Jaideep vestono all'occidentale. Lei mi dice che ama i sari tradizionali ma li indossa solo in occasioni importanti, è troppo scomodo.

Moltissimi indiani e indiane, anche giovani moderni che hanno studiato all'estero, arrivano vergini al matrimonio. È considerato normale, anche per gli uomini, e svariate persone che ho incontrato in questo viaggio non hanno avuto nessuna difficoltà a dirmi che quella era stata la loro esperienza.

Adesso Jaideep sta facendo una rapida carriera in una azienda di sviluppo di software, anzi mi propone di collaborare per cercare nuovi clienti in Europa.

Hanno due donne di servizio che vengono tutti i giorni a pulire e cucinare (costo: circa 200 euro al mese ciascuna), ed un autista per portare Jaideep in ufficio e sbrigare commissioni varie. Però oggi chissà perché non cucinano.

Per cena Jaideep organizza un takeout. Portiamo la cena calda a casa e mangiamo subito sul grande tavolo. Con le mani naturalmente. In sala da pranzo c’è anche un lavandino con sapone per lavarsi le mani immediatamente dopo mangiato senza andare in giro con salse varie che grondano dalle dita. Molto pratico.

Tutto intorno a questo bel quadretto dell'India emergente però baraccopoli, bufali affamati che mangiano immondizia, fango, migranti senzatetto in cerca di un lavoro. Facciamo una passeggiata e Jaideep mi fa notare come gli spazi pubblici siano trasandati, sgarrupati, mentre quelli privati sono curati, puliti.

Questo sarà un ritornello nelle nostre conversazioni, lui è molto convinto della necessità di liberare le energie del settore privato per lanciare il paese. Io sono d'accordo anche se ci sono enormi problemi di diseguaglianze che solo il governo può mitigare. Ma questo è un altro ritornello, qui come un po’ in tutto il mondo.

Nel tardo pomeriggio rientro a Mumbai, sono meno di 200 km, il collegamento aereo dura solo 30 minuti (55 dollari solo andata) ma non avendo fretta ho preso il taxi collettivo che ci mette tre ore (bottiglia di acqua purificata in omaggio!) e costa 450 Rp.

Appuntamento in aeroporto a notte fonda ed imbarco senza problemi con la fedelissima Royal Jordanian per Amman; stavolta il bagagliaio è ben chiuso!

Sull'aereo della Jordanian i monitor delle TV indicano sempre la direzione della Mecca, anche se non ho mai visto nessuno pregare.

Ad Amman noto con curiosità che le molte ufficialesse al controllo di sicurezza sono tutte a testa coperta da veli solitamente neri. Al contrario, le commesse e le cassiere dei negozi non hanno mai il velo, anzi sono acconciate in modo decisamente accattivante.

Mi viene da pensare come l'Islam sia stato, nei secoli, la cerniera tra Europa ed India. Tra poco siamo a casa.

Anche questo mio terzo viaggio in India è finito, ma più ci vengo e più so che ci tornerò!

10 January 2003

24° g - 10 GEN: Pune, Osho

Oggi lascio Goa e con un volo interno vado a trovare Jaideep, un compagno di università indiano che lavora a Pune, città di oltre 2 milioni di abitanti a 3 ore di bus da Mumbai, ed assieme a Bangalore uno dei principali centri dell’India super-tecnologica che sta emergendo.

Visito l'azienda, si chiama Persistent, un nome ed un progetto, un palazzo di cristallo e acciaio che pulsa di tecnologia. Uffici immacolati, sale riunione, palestra per gli impiegati, collegamento al web superveloce. C'è anche una mensa, dove sono invitato, rigorosamente vegetariana. Circa 400 impiegati, atmosfera molto casual, tipo Silicon Valley.

Sono orientati soprattutto al mercato USA ma cercano di entrare anche in Europa, anzi mi chiedono se mi piacerebbe collaborare per cercare clienti e guadagnare provvigioni. Non male l'idea. Non so nulla di informatica ma mi dice Jaideep che mi possono addestrare per quello che serve e poi sarà la mia rete di contatti a Bruxelles ed in Europa a fare la differenza. Vedremo... Il problema, sono sicuro, è che l'Europa in questo è molto più provinciale degli USA: sarà difficile convincere clienti europei ad usare esperti indiani, mentre gli americani ci sono abituati, se non altro perché ci sono già decine di migliaia di esperti informatici indiani che lavorano in USA e molti ancora che ci hanno studiato e sviluppato la loro rete di contatti e amicizie. Gli americani stimano gli esperti indiani, gli europei diffidano. Non si può generalizzare ma per grandi linee sono sicuro di non sbagliarmi.

Mentre aspetto i bagagli la TV annuncia che da oggi la rupia indiana è stata dichiarata valuta convertibile! Il governo annuncia anche di voler liberalizzare l'esportazione di capitale ed allo stesso tempo permettere agli stranieri di investire in India più liberamente di prima. Ottima notizia.

A Pune, inoltre, c’è il centro di Osho. Ci vado con Jaideep, compriamo i biglietti per una visita e aspettando l'ora stabilita ci godiamo un bel cappuccino nel vicino bar "Barista". Un gruppo di giovani in tuta arancione, la divisa del centro di Osho, ci passa davanti, poi un vecchietto, poi altri tutti con la tuta arancione, tutti molto seri, alcuni corrucciati. Solo un paio di ragazzi molto giovani, sulla ventina, accenna un abbozzo di sorriso prima di tirare avanti deciso. Al bar c'è un gruppo di ragazze indiane che sorseggiano caffè e cappuccino, tutte in tuta arancione. Direi che la grande maggioranza dei membri che abbiamo visto finora sono maschi occidentali, una minoranza di indiani e di donne.

Prima di iniziare il giro il capo del centro (non ricordo quale fosse il suo titolo) mi dice che è vietato fotografare, che gli dispiace dirmelo ma è la regola. Gli rispondo che ci sono abituato!

Mi dice anche che, una volta entrati nella zona ristretta riservata ai membri attivi, non sarà più permesso né fare domande né parlare con i membri, per non distrarli e neanche fra di noi, per non disturbare il raggiungimento della "presa di coscienza rilassata in un'atmosfera unificante" che è lo scopo del centro.

E poi, aggiunge, “non ci sono parole per descrivere quello che noi facciamo qui dentro, non ci sono parole, non ci sono parole...” Be’ in effetti, se non ci sono parole, allora sarebbe inutile fare domande.

Appena dentro la zona ristretta vedo una coppia che si tiene per mano camminando lentamente. Ad un certo punto abbracciano delicatamente due donne che incontrano nel grande cortile.

Procedendo oltre arriviamo davanti ad una grande struttura piramidale, altra una decina di metri, che la guida ci dice essere il principale centro di meditazione. Non possiamo però visitarlo perché dentro stanno meditando. Il giro dura solo una decina di minuti, dopo di che la guida sembra spazientirsi, non ho capito perché, e ci dice che il tempo a nostra disposizione è finito e bisogna tornare al centro di accoglienza all'ingresso.

Sulla strada passiamo davanti a quella che la guida ci dice essere la biblioteca, dove però è vietato entrare. Oltre, vediamo una saletta con sedie e tavolini, sembra come una sala riunioni, ma non possiamo entrare neanche qui.

La strada per tornare all'ingresso è tortuosa. In un grande giardino vediamo alcuni membri che piroettano su se stessi tenendo in mano lunghe corde all'estremo delle quali sono attaccate molte piume colorate, o qualcosa del genere. La guida ci dice di accelerare il passo, il tempo a nostra disposizione sta per scadere. Il tipo è piuttosto irritante e acidognolo, non so se sia questo il risultato di passare tempo qui o se è proprio antipatico dalla nascita.

Altri membri del centro giacciono supini per terra, disposti come i raggi di una ruota di bicicletta. Altri ancora sono intenti ad ascoltare un maestro che impartisce quella che sembra una lezione di pittura. Ciascuno ha davanti un grande telo steso per terra, che sembra una tela pronta ad essere dipinta. Tutto intorno pennelli e grandi barattoli di vernice di tutti i colori.

Tornati all'ingresso ci presentano un bancone con libri e cassette video in vendita, discorsi di Osho, documentari su Osho ecc. A giudicare dal fatto che libri e cassette sono molto impolverati direi che non ne vendono poi tanti.

Ci hanno anche fatto vedere un video di Osho di 45 minuti nel quale il fu santone effettua una serie di voli pindarici tra corsa agli armamenti, disboscamento delle foresti pluviali, fame e malattie nel mondo, ecc.

Ci racconta che Osho è stato un pioniere della trasformazione interiore tramite la meditazione, il non-fare. A lui è dovuto lo sviluppo del suono che guarisce.

Il centro è tutto sommato molto ben tenuto e fa sfoggio di mobilio e architetture di pregio, per quel poco che ho potuto vedere. Infatti Rajneesh è morto, ma Osho vive, eccome!, dei contributi della comunità. Tutt’intorno negozietti e bancarelle di articoli in tema.

Per chi abbia curiosità di provare di persona l'esperienza, è previsto (previo test dell’AIDS, presentazione di due foto e pagamento di 250 Rp, ma solo 80 Rp se riuscite a fargli credere di essere cittadini indiani) un “soggiorno meditativo completo di una giornata intera” – non è specificato se comprende anche la notte.

Dato che il giro è finito e siamo fuori dalla zona riservata faccio qualche domandina al capo. Chiedo cosa mangiano, e mi dice vegetariano. Chiedo se sia permesso fumare (sì nelle zone adibite, con moderazione) o bere alcohol (no). Infine prendo coraggio e chiedo perché il test sull'AIDS e mi dice che "il sesso libero è la libertà dal sesso". Ci dovrò pensare sopra un po’. Chiedo che mi dice delle voci che parlano di orgie, e mi risponde che "le voci sono voci".

Uscendo mi fermo in un negozio di musica lì vicino, voglio comprare qualche CD di musica indiana. Il negoziante mi fa vedere molte varietà di musica delle varie regioni dell'India e anche prodotti per frequentatori del centro, musica da meditazione, rilassamento ecc. Mi dice che grazie ad Osho fa buoni affari, soprattutto nell'alta stagione da ottobra a maggio, poi in estate Osho si spopola ma lui non chiuda mai.

09 January 2003

23° g - 9 GEN: Vecchia Goa

Tranquilla giornata a Vecchia Goa un sito patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco (da non confondere con Goa Velha, che è un altro centro a qualche km di distanza!) interessante escursione tra chiese coloniali (molte sconsacrate) ed edifici che richiamano l’architettura portoghese di stile “manuelino” ed altre antiche architetture portoghesi. Un ambiente oggi sereno che rievoca i secoli di occupazione coloniale e la conversione di tanti indiani al cattolicesimo. Ne vediamo non pochi nelle chiese ancora in funzione.

Fa una certa impressione la tomba di Francesco Saverio, missionario per antonomasia sepolto nella chiesa del Bom Jesus.

Una visita senza fretta prende una mezza giornata, non vale la pena dormirci. Ci si arriva facilmente con i pittoreschi bus pubblici, abbastanza sbilenchi, affollati della gente più disparata, spesso senza finestre, ma tutto sommato piacevoli per il breve percorso di 15 minuti da Pajim.






08 January 2003

22° g - 8 GEN: Vagator e le spiagge di Goa

Colazione ancora al Venite. Ristorante quasi vuoto, ci sono solo due tedeschi che confabulano pacatamente in un angolo.

Mi propongono una bevanda composta da un caffè, due tè diversi e 3 tipi di miele tutto amalgamato, più o meno, in una ciotola. Superata la prima ritrosia devo ammettere che l'intruglio, di cui non ho capito il nome, è alquanto gradevole!

Aspetto... i tempi del servizio sono lentissimi, ma non mi dispiace. Leggo, scrivo il diario, mi godo l'aria tiepida ed il passaggio della gente. Meno pazienti due tedeschi arrivati prima di me: hanno ordinato la colazione ma il loro tavolo è ancora desolatamente vuoto. Dopo un po' se ne vanno borbottando, mentre il cameriere li segue dicendogli che la loro colazione è "quasi pronta"! Troppo tardi, sono andati via.

Io ho chiesto solo due uova fritte ed un toast, il tempo passa anche se siamo solo in otto avventori. Accanto a me un capellone biondo con grandi orecchini legge un libro mentre aspetta, tranquillissimo lui, che gli portino la colazione. Me ne andrò prima che gli sia servita ma lui resta lì, pacifico, con la brezza mattutina che gli muove delicatamente qualche biondo capello non ben raccolto con il codino.

Oggi gita a Vagator, nella spiaggia, frequentata soprattutto da indiani, adiacente alla fortezza di Chapora, che si raggiunge facilmente con una bella passeggiata.

Prima di prendere il bus per Vagator trovo un bancomat per prendere uun po' di rupie in contanti. Sulla porta della filiale di banca vedo che accettano euro, la nostra valuta che ha si e no un anno di età. La cosa mi inorgoglisce, ce l'abbiamo fatta a creare la moneta unica europea, passo fondamentale nella creazione degli Stati Uniti d'Europa, spero, progetto nel quale credo fermamente. L'euro è subito sceso di valore quando è stato messo in commercio ma si è ripreso presto ed oggi vale, di nuovo, più di un dollaro americano. Speriamo bene!

Ho evitato le spiagge più famose, quelle di Colva e Calangute, più sviluppate ma un po’ troppo commercializzate per i miei gusti… ed anche il decantato mercatino di Anjuna, che mi dicono essere molto decaduto rispetto ai ruggenti anni settanta: paccottiglia per turisti e poco più.

Vado invece a Vagator, proprio sotto le mure della fortezza di Chapora. La sabbia è grigia, il mare torbido, il cielo velato da un'avvolgente foschia. Mancano quei colori forti per cui l'India è giustamente famosa.

Sulla spiaggia di tutto, dalla vacche sbandate, ai gruppi di turisti indiani di varie religioni. Mi colpisce vedere alcuni ragazzi Sikh che in costume da bagno mantengono comunque il loro turbantino in testa! Un sacco di bambini, i maschietti molto capricciosi e viziati, le femminucce più tranquille, forse perché meno viziate. In India c'è ancora una forte predilezione per i maschi, per cui nessun favoritismo è considerato eccessivo, compreso quello dell'aborto selettivo se l'ecografia rivela una femmina in grembo alla mamma. Per cui, almeno in teoria, è vietata l'ecografia per sapere il genere del nascituro. Naturalmente si fanno tutti il bagno vestiti, le donne con il sari!

Venditrici di tessuti, si appropinquano con le loro mercanzie, per lo più colorati scialli e sari. Belli ma ho il bagaglio carico e proprio non so che farmene, un po' mi dispiace. Una ragazza è particolarmente simpatica, oltre che molto carina, e mi intrattengo un po' più a lungo con lei. Mi dice che ha 19 anni, un figlio da mantenere e passa le sue giornate tra i capannelli di turisti per vendere scialli. Non ha una licenza quindi si guarda sempre intorno. Mi dice che devono allungare bustarelle alla polizia perché le lasci vendere in santa pace anche senza licenza.

Però anche i poliziotti corrotti devono fare la loro figura e quindi mi rassicura che quando i militi arrivano gli ambulanti abusivi scappano, poi tornano subito dopo. Come in Italia, né più né meno... Infatti quando qualcuno dopo un po' strilla: "Polizia!" scappa via.

In realtà non era polizia ma solo un bagnino, con tanto di scritta "LIFE GUARD" sulla T-shirt bisunta. La giovane ragazza madre torna e le compro uno scialle giallo, lo regalerò a Renata, una simpatica italiana che ho incontrato a Panjim e che vorrei rivedere.

Un fruttarolo mi propone le sue banane, ma quando gli spiego che non fanno per me me ne sbuccia una e me la regala, quasi a convincermi. Non mi va di mangiare una banana, e non mi va di regalargli soldi per nulla. Allora lui mi tira un paio di banane, con un delicato pallonetto, come si farebbe con una scimmia allo zoo, e poi se ne va.

Be' in effetti qui è un po' come uno zoo. Noi bianchi siamo gli animali che attirano l'attenzione degli autoctoni. Ci vengono a guardare, a fotografare, qualcuno anche a fare quattro chiacchiere. Quando sanno che sono italiano, cosa meno frequente forse qui rispetto ad altre località balneari del mondo, il numero di richieste di fotografie aumenta, alla fine sono quasi una star della spiaggia.

Strani figuri si offrono di pulirci le orecchie dal cerume! Bah...


Mi sistemo al Reshma hotel, familiare essenziale ma sufficiente ed economico. Ce ne sono comunque molti dello stesso tipo vicino alla spiaggia. A cena al ristorante Mango Tree. Buon pesce, ricetta piccante. Non a caso siamo sulla rotta della "via delle spezie". Ambientino simpatico con musica indiana di sottofondo e biliardo accanto ai tavoli.

Tornando in albergo compro una coperta fatta di pezzi di vecchi sari e frammenti di specchio (o qualcosa del genere) da una simpatica vecchietta che aspettava pazientemente sulla strada. Non so che ci farò, non so neanche se riuscirò a portarla a casa, forse la regalerò come lo scialle, ma il prezzo era basso, così basso che non me lo ricordo, mi andava di darle una mano e la coperta è simpatica come la vecchietta!

Clicca qui per trovare Libri in italiano su Goa.

07 January 2003

21° g - 7 GEN: aereo per Goa, visita di Panjim

Lascio l'alberto prestissimo e prendo un taxi per l'aeroporto che è ancora buio. Attraversiamo baraccopoli periferiche, case di lamiera, di legno, di ondulato plastico. Ho letto che in qualche caso usano anche pannelli di amianto arrivati chissà come dall'occidente, qui fanno meno caso ai materiali pericolosi.

L'aeroporto per i voli nazionali è un po' sgarrupato ma funzionale. Molti cartelli mi intimano di non fotografare. Un facchino con un cartellino identificativo sbiadito, illegibile direi, mi prende il bagaglio dal bagagliaio del taxi prima che io possa rendermene conto. Mi accompagna al banco dell'accettazione, una cinquantina di metri scarsi più avanti, e gli do 10 rupie. Non gli sta bene, ne vuole 50. Gliene allungo altre 10 per togliermelo di torno.

06 January 2003

20° g - 6 GEN: Mumbai

Di primo mattino al caotico mercato del pesce. Stranamente, non sono riuscito a capire perché, non è permesso fotografare. Il mio tassista dice di stare attento ma non ci dovrebbero essere problemi. Io però sono troppo visibile con due reflex a tracolla e un poliziotto mi si avvicina con fare minaccioso, agitando le mani, mi sta chiaramente facendo capire che non posso fotografare. OK gli dico di sì, non fotografo. Poi arriva il mio tassista che parla in Hindi con il milite che vedo immediatamente ammansito, poi gira i tacchi e se ne va. Il tassista mi sorride e ci salutiamo. A questo punto non ci sono più poliziotti e posso rubare qualche scatto a pescatori e pescato.

Alcuni marinai riparano le reti stese per terra mentre molti bambini giocano sul pavimento bagnato. Alcuni di loro mi si avvicinano per chiedere soldi.

Mi avvio al traghetto per l'isola di Elephanta, compro il mio biglietto e mi accalco con una piccola folla di turisti indiani sul ponte di poppa. Forse ho capito perché era vietato fotografare i pescatori: il molo commerciale si trova davanti alla sezione del porto riservata alla marina militare. Comunque non ho fotografato unità belliche quindi mi sento la coscienza a posto!

Appena prendiamo il largo però scorgo, in lontananza, dall'altra parte del porto, la portaerei indiana Vikrant oggi non più in servizio e (apprenderò in seguito altrimenti ci sarei andato) usata come museo. Al largo l'altra portaerei, in servizio, la Viraat. Saremo a forse un km di distanza, scatto qualche foto, prometto a me stesso che non le venderò a pakistani!

Mentre ci allontaniamo vedo sempre più lontani, allineati e gradualmente sempre più velati dalla tipica foschia di Bombay, come in una cartolina dell'800, l'hotel Taj Mahal e la Porta dell'India. Dopo una decina di minuti sono spariti, inghiottiti dal velo di smog. Per circa un'ora mi ritrovo a condividere la barca, e la cacofonia rockettara occidentale, assordante, che sgorga dagli altoparlanti sul ponte, con gruppi di turisti indiani. Questi sembrano divertiti dalle telefonate degli ascoltatori che intervallano le canzoni proposte dall'entusiasta DJ della stazione radio. Tutti passano con disinvoltura dall'inglese all'Hindi come se fossero un'unica lingua. Ovviamente capisco solo la metà in inglese, problemini sentimentali di adolescenti, delusioni amorose e speranze segrete che magari non si confidano ad amici e parenti ma si mandano in onda senza vergogna.

Ho trovato che la decantata isola di Elephanta sia soprattutto una grande pattumiera. Anche qui, inspiegabilmente, è vietato fotografare. Le grotte, unica attrattiva a parte un paio di grandi cannoni in disuso, mestamente puntati con alzo negativo, verso il basso. I siti archeologici non sono significativi dopo aver visto Ajanta, Ellora e Aurangabad. Mi intrattengo in conversazione rilassata, del più e del meno, con un gruppetto di Calcutta che mi chiede di fotografarli.

C'è un piccolo bar dove compro del tè, fa caldo e ho sete. Come me un gruppetto di ragazzi sulla ventina che fanno a gara a chi fa i rutti più forti tra una sorsata e l'altra del tè che succhiano dai loro bicchieroni con vortici rumorosi tramite piccole cannucce.

Tornato a terra mi dirigo a piedi verso l'hotel Taj Mahal. Sono vestito in sahariana e pantaloni da trek, sembro più Indiana Jones che un credibile cliente del più costoso albergo della città. Con faccia tosta mi presento come guida di viaggi e chiedo di vedere una stanza, potrebbe essermi utile per i miei clienti in avvenire, dico non molto convinto, ma mi credono e una gentile ragazza mi accompagna al piano superiore.

Mi mostra con orgoglio la suite "Elephanta", dalla cui grande finestra si dovrebbe vedere l'isola da cui sono appena tornato, ma la foschia è tale che a malapena riesco a scorgere la Porta dell'India, che si erge maestosa a pochi metri dall'albergo. La suite è impressionante! Due salottini, impianto stereo di alta fedeltà, marmi, madreperla, velluto. Accanto ai giornali in inglese e hindi una ciotola piena a metà di acqua sulla quale galleggiano coloratissimi petali di rose rosse. Andando via non posso non provare disagio nel vedere, mentre deambula come perso nel corridoio, un cliente americano in canotta da basket che stona come un cavolo a merenda, anzi come un hamburger in un ristorante stellato Michelin.

Ringrazio la gentile hostess, lascio il Taj e mi immergo nuovamente del traffico infernale della città. Destinazione bazar di Chor.

Carino il mercatino musulmano di Chor dove si vendono reperti di navi smantellate (cantieri di disarmo vicino Bombay ed in Gujarat). Ora c’è poco, mi dice un commerciante che non si disarma più tanto qui, ed infatti ho letto recentemente che siccome in India i costi della manodopera salgono (!) e la legislazione del lavoro diventa (giustamente) più severa nell’imporre misure per la protezione ambientale e la prevenzione di malattie ed incidenti, gli armatori tendono a portare le vecchie navi in Pakistan o soprattutto in Bangladesh, dove ancora è tutto più facile ed economico. Lui però perde fonti di approvvigionamento per il suo negozio. Vende sestanti, lampade, bussole, contamiglia per navi. Mi piacerebbe comprare un po' di roba per la mia collezione nautica ma difficile portare con me oggetti di bronzo e ottone, e poi molti mi sembrano falsi, riproduzioni fedeli ma oggetti che non sono mai stati per mare.

Mi dice, senza che io gli avessi chiesto nulla, che i musulmani dell'India non sono come gli altri, sono più pacifici.

Bello il lungomare occidentale, nel pomeriggio l’aria si rinfresca e migliaia di cittadini si riversano sul largo passeggio che marca la costa occidentale della penisola di Mumbai. Coppiette di fidanzatini che tubano sul muretto che dà sul mare mentre il sole scende rapidamente sull’orizzonte. Non è dato vedere grandi affettuosità in pubblico qui in India, ma nella cosmopolita Mumbai la mentalità è un po’ più aperta...

Avevo sentito la musica da lontano, mentre sgranocchiavo delle noccioline che avevo comprato sul lungomare. Lasciata la costa avevo cercato di avvicinarmi alla fonte della musica e dopo qualche centinaia di metri mi trovo in una strada intasata di traffico con un’orchestra di musicisti in livrea, con trombe e tromboni, che suona con grande energia mentre arrivano gli invitati a quello che deve evidentemente essere un matrimonio di una famiglia facoltosa.

Naturalmente sono stato prontamente invitato, e mi sembrava di essere sul set di “Monsoon Wedding”. Mi fermo un po’ ad ascoltare, fotografare, godermi l’atmosfera frenetica. Le donne sono elegantissime, piene di gioielli e disegni fatti con henné sulle mani.

Tornando verso il centro passo davanti ad un predicatore cristiano che urla la sua fede per strada a chiunque abbia voglia di ascoltarlo... qualcuno c’è. Impreca, minaccia, esorta... un invasato! India multiculturale, a Mumbai poi c’è proprio tutto!

05 January 2003

19° g - 5 GEN: Mumbai

Alle 3 di mattina il gruppo che ho condotto per le scorse 3 settimane si divide! Accompagno chi ha finito in aeroporto, mi assicuro che siano imbarcati e me ne torno a dormire.

La mattina mi alzo con comodo, resto della giornata in visita della città da solo. In questa città ce n’è per tutti i gusti, una buona guida e ognuno potrà usare il proprio tempo al meglio.

Vado al Museo del Principe del Galles, costruito (guarda un po'!) dagli inglesi in stile architettonico indo-saracenico. È il più importante della città e sfoggia impressionanti collezioni di arte indiana.

Sege il museo di arte moderna, dove c'è anche una galleria con quadri di giovani pittori indiani in vendita per cifre che variano tra le 10.000 e le 80.000 rupie. Mi piace l'idea di poter comprare quadri di promettenti artisti in un museo.

Continua a bighellonare verso la cattedrale di San Tommaso, che trovo completamente vuota! C'è un libro per visitatori, che firmo, ma non sembra che il centro del cattolicesimo a Bombay ne attiri molti.

Nella spianata antistante ci sono vari librai che vendono volumetti esposti sul marciapiede, quasi tutti in inglese. Tra questi molte copie di Who moved my Cheese? il libriccino che mi hanno regalato alla NATO quando sono andato via, anzi quando mi hanno mandato via, facendomi il più grande favore che io abbia mai ricevuto in vita mia! (Dico sul serio.)

Passeggiata sul lungomare, molte coppiette con sguardi languidi sedute sul molo, prostitute taglia XXXL in bella mostra e venditori di noccioline. C'è il sole, una leggera brezza rende l'aria piacevolissima sulla pelle, ognuno sembra fare ciò che vuole in pace, eppure non so perché ma c'è un'atmosfera che se forse sarebbe esagerato definire triste, è senza dubbio mesta.

Lascio il lungomare poco prima del tramonto e mi inoltro per stradine interne. Ad un certo punto sento della musica, fiati e percussioni ad altissimo volume, e mi dirigo nella direzione da cui proviene. Mi imbatto quindi in un grande matrimonio, che si svolge in una grande casa di famiglia evidentemente benestante ma dilaga poi nella strada.

Le donne sono generalmente abbigliate con colori sgargianti, il che è normale in India ma qui si raggiungono livelli di rara intensità cromatica, il tutto esaltato da vistosissimi gioielli d'oro ostentati senza remore. Non per niente l'India è uno dei maggiori consumatori di oro del mondo.

Gli uomini invece sono più posati, tranquilli, alcuni sembrano quasi annoiati. Una metà di loro sono vestiti con giacca e cravatta all'occidentale, l'altra con il classico vestito indiano a volte chiamato "stile Nehru".

Mi invitano alla festa, ma esito, anche perché sono vestito con pantaloni da esploratore abbastanza indecenti e gilet da fotografo con due Nikon a tracolla, e poi vado via. Ho un appuntamento a cena con Mirko, l'unico rimasto del gruppo che è ripartito. Me ne sono pentito, sarebbe stata un'ottima occasione di fare conoscenze ed esperienze locali.

A cena al ristorante Apoorva, vicino alla cattedrale cattolica di San Tommaso, ma molto buono e curato. Ottimo pesce.

04 January 2003

18° g - 4 GEN: Mumbai

Arriviamo presto alla stazione di Victoria Terminus di Bombay e siamo assaliti dai tassisti. Come per le barche di Allahabad, la loro avidità li tradisce: ci avevano chiesto 200 Rp per macchina per andare in albergo, hanno rifiutato le 100 che gli avevamo offerto e noi, dopo pochi minuti di fila alla stazione dei taxi regolari, ne abbiamo pagate 60. E questo nonostante i due taxi che ho preso per il gruppo si siano "persi" varie volte, forse per estorcerci una tariffa più alta (trucchi di tassisti di tutto il mondo) forse perché la città è un vero grande casino!


Giornata sguinzagliati per Mumbai, ognuno segue i propri interessi: acquisti, musei, mercatini… una grande metropoli che meriterebbe vari giorni per essere gustata a pieno. Io passo il tempo al telefono con l'agenzia a Roma e a discutere con le reali linee aeree giordane perché la prenotazione per un cliente del mio gruppo risulta essere stata cancellata... incidenti di percorso di un capogruppo di viaggi avventurosi! Per fortuna trovo un internet café (il primo dopo tanto tempo) e posso comunicare decentemente.a

Il nostro hotel si chiama Heritage, vicino alla stazione Byculla, decentrato ma grazie ad una sopraelevata si arriva a Colaba in 15m. Qui trovo un coacervo di localacci x saccopelisti stranieri, niente di carattere indiano vero, e neanche troppo economici per quello che offrono.

Discrete le due “suites” che abbiamo preso per appoggio di tutto il gruppo fino al trasferimento in aeroporto che attende la maggior parte del gruppo in nottata. Mediocri le stanze normali.

Nel pomeriggio sono andato a visitare il fatidico Taj Mahal Hotel, e ho chiesto di vedere alcune stanze. Sanjeev, il corrispondente dell'agenzia indiana cui mi appoggio, mi aveva detto che poteva avere le stanze normali a $170, ma la bella suite che mi hanno fatto vedere, con vista sulla Porta dell’India, due salottini, letto formato eliporto, DVD, mobili d’epoca, cesto di frutta, bottiglia di champagne in ghiaccio e petali di rosa galleggianti in ciotoline d’argento sul tavolo da pranzo è disponibile per 1000 dollari al giorno, questo hotel è un vero monumento. Sogno che un giorno forse pernotterò qui con una bella ragazza, la mia fidanzata, mia moglie chissà...

Cena al Churchill Café, a Colaba, chissà perché consigliato dalle guide, accettabile ma niente di speciale, ambiente freddino ma di mangia discretamente.

03 January 2003

17° g - 3 GEN: Aurangabad, Ellora, treno per Mumbai

Giro della città: le grotte di Aurangabad sono meno grandiose di Ellora ma non ci va quasi nessuno e sono quindi molto più godibili.

Una in particolare mi è parsa interessante perché conteneva, una affianco all'altra, due statue, di Buddha e Ganesh. Induismo e buddhismo fratelli! Sappiamo che gli induisti considerano Buddha una reincarnazione di Vishnu, l'ultima, ma non mi  era mai capitato di vedere le due figure insieme.

C'è anche una sorta di mini-Taj Mahal, il Bibi Ka Maqbara, che risulta un po' patetico dopo aver visto quello "vero" ad Agra, ma che altrimenti farebbe anche la sua figura. Aurangzeb voleva chiaramente emulare il padre Shah Jahan quando lo costruì, tra il 1660 e il 1669 per la sua prima e più importante moglie. Dilras Banu Begum, di origine persiana, era morta a soli 32 anni di età (circa... non si conosce esattamente la data della sua nascita), probabilmente partorendo il quinto figlio di Aurangzeb.

Visitiamo anche una moschea, dove sono costernato di leggere all'ingresso che l'accesso è vietato alle donne. Ho visto in passato templi induisti o jainisti dove era vietato l'ingresso alle donne con le mestruazioni ( chi controlla?) ma qui non possono entrare mai!

Consiglio di tralasciare invece il mulino di Panchaki,  anche Daulatabad e concentrarsi su Ellora.

Nel pomeriggio ad Ellora, dove restiamo per circa 4 ore, fino al tramonto, ma se ne sarebbero potute passare altre 4 senza annoiarsi affatto. Spettacolare sito di templi induisti, buddisti e jainisti uno affianco all'altro. Tutti scavati nella montagna.

Abbiamo aspettato apposta il pomeriggio per la visita perché oggi è particolarmente caldo ed umido, sarebbe stato insopportabile a mezzogiorno.

Aggancio un custode che mi porta in giro con la sua torcia elettrica, mi fa vedere pitture murali che altrimenti mi sarebbero probabilmente sfuggite.

Mi avvicinano un paio di ragazzotti che mi chiedono di cambiare 4 dollari americani che hanno rimediato chissà come e gli faccio volentieri il favore. Poi capisco: cercano di vendermi monetine (probabilmente false!) del periodo Moghul. Ecco come hanno rimediato dollari, vendendo ai turisti.

Il sito è vastissimo, lunghe camminate o passaggi in rickshaw. Ci sono solo turisti indiani, pochissimi stranieri. Forse la paura del terrorismo che recentemente ha rialzato la testa in India, forse delle scaramucce con il Pakistan.

Piacevole la scalata per il sentiero intorno alla grotta N.16, vale la pena farne il periplo, ottimi spunti fotografici. Per fotografare nelle grotte si è ripetuto quello che ci era successo ad Ajanta: niente flash o treppiede ma con una mancetta almeno il monopiede me lo fanno usare. Non abuserò! Le mie modeste foto non saranno commercializzate.

Torniamo quindi in albergo (ci hanno lasciato tre stanze per farci una doccia) e impacchettare tutto per il trasferimento a Bombay – il nuovo nome dal 1996 è Mumbai ma gli Indiani continuano ad usare il vecchio... Mi avvicina un negoziante di seta che mi propone di portargli il gruppo che guido ed in cambio offre il solito 30% di provvigione, ma non ho né tempo né voglia e lascio perdere.

In serata ci facciamo accompagnare alla stazione per prendere il treno e affrontare un'altra notte in cuccetta.

02 January 2003

16° g - 2 GEN: Ajanta - Aurangabad, 200km, 5 ore

Al mattino presto mi si presentano gli autisti in camera che rivogliono i soldi che ci hanno prestato! Come se potessimo scappare via...

Partenza per le grotte di Ajanta, dove passiamo circa 4 ore. Ne vale la pena. Ricordarsi di portare le torce elettriche per vedere all’interno. Consiglio vivamente di non cercare di vedere sia Ajanta che Ellora nello stesso giorno. Come tempi ci si può anche rientrare ma si rischia di correre.

Per fortuna ho portato pellicole ad altissima sensibilità per far foto all’interno, in molte grotte non si può usare né flash né monopiede/treppiede. In realtà poi il custode di una grotta mi ha fatto capire che se gli davo una mancia ci avrebbe fatto usare il treppiede. Paolo allunga due euro ed è fatta. Il divieto di usare il treppiede serve ad evitare una produzione di foto commerciali senza pagare il dovuto, che non è certamente il nostro caso, quindi non mi pare si sia fatto niente di male!

Io ho usato un velvia 400 ASA tirato ad 800 ed era appena sufficiente per far foto a mano libera, magari appoggiandosi su muri o colonne.

Molti ragazzi in gita scolastica, tutti impeccabilmente vestiti con coloratissime uniformi all'inglese. Anche molte coppie di tutte le età. Noto una certa abbondanza di donne dalle dimensioni giunoniche, che però sono sempre di portamento elegante, e sprigionano un'erotismo primordiale che non saprei ben spiegare con il valore estetico delle loro caratteristiche somatiche. Forse è dovuto ai fianchi e al ventre sempre nudi sotto i veli colorati.

Il contrario di alcune turiste italiane che, come gli uomini, hanno sempre un maglione arrotolato attorno alla vita, anche se fa 25 gradi all'ombra, non si sa mai venisse un colpo d'aria fredda!!

L'autista si inventa un'altra delle sue scorciatoie, ma me ne accorgo troppo tardi per fermarlo. Quando vedo che siamo fuori rotta gli chiedo ma lui dice solo "Shortcut shortcut" scorciatoia, il che vuol dire meno chilometri ma molto più tempo per strade sgarrupate! Ma in India, almeno per gli autisti, il tempo costa poco, il gasolio di più. Per noi sicuramente il contrario ma guidano loro e ci dobbiamo adattare.

Arrivo in serata ad Aurangabad, la città che porta il nome del Gran Moghul che più di chiunque altro è responsabile per la distruzione di così tanta parte del patrimonio indù dell’India centrale.

Hotel: Meadows, consigliato da Sanjeev Chandra. Nuovi bungalow, carini e puliti, ma piuttosto decentrato. Un quarto d’ora di bus per andare in città. Non mi è piaciuto che mi sia venuto a cercare al ristorante dell’albergo, con la evidente complicità del gestore, un negoziante di stoffe ed artigianato che mi proponeva anche lui di darmi il 30% se gli avessi portato il gruppo in negozio.

Ristorante: Walla, conosciuto come “il Tandoor” vicino alla stazione ferroviaria. Ottimo tandoori, il padrone è simpatico, biascica anche un po’ di italiano (anche se noi abbiamo visto solo avventori indiani).

01 January 2003

15° g - 1 GEN 2003: da Mandu a Jalgaon, 320 km, 6 ore

Partenza presto dopo aver dovuto chiedere in prestito Rupie agli autisti! Non riusciamo a cambiare da vari giorni e l’hotel non accetta dollari e tantomeno Euro - credo non sappiano ancora cosa sia la moneta unica europea.

Hanno chiuso il cancello e non ci lasciano partire se non paghiamo tutto in rupie fruscianti, sull'unghia. Una macchinetta lettrice di carte di credito in bella vista sul bancone, con tanto di collegamento telefonico automatico attivato, ci dicono che non funzioni, mah!

L’autista si inventa un’ennesima “scorciatoia” che ci porta per strade sterrate (dobbiamo scendere e spostare macigni dalla strada per poter passare). In alcuni punti la mulattiera che scende dall’altopiano di Mandu verso la pianura si fa stretta a causa di frane, e ci troviamo sul ciglio di precipizi niente affatto divertenti. In futuro cercherò di assicurarmi che gli autisti seguano le strade normali anche se si fa qualche km in più, si guadagna tempo e non si rischia di restare con un semiasse rotto in valli sperdute o, peggio, di finire in un burrone.

Tappa a Maheshwar, dove visitiamo un tempio Jain meno riccamente adornato di quanto mi aspettassi dopo averne visti altri in Rajasthan e altrove. Più interessanti alcuni laboratori di tessitura della seta che sfornano sari a ritmo febbrile. Il tessile è da sempre una colonna portante dell'economia indiana, che gli inglesi avevano invano cercato di reprimere per favorire i telai britannici.

Passo per una banca locale, che però non è autorizzata a cambiare valuta straniera! L'impiegato mi consiglia di andare a Indore, una città a circa 95 km di distanza, dove certamente una filiale potrà cambiare dollari e forse anche euro.

Passeggiata lungo il fiume, con spuntino al volo di banane, noccioline... Un venditore di pannocchie di mais arrosto le condisce con un bel po' di peperoncino prima di passarmene una bella calda per uno spuntino. Vita di lungofiume indiano, chi si lava, qualche ragazza fa il bucato bastonando la biancheria inzuppata sul molo.

C’è un bel sole, colori sgargianti. Purtroppo non abbiamo tempo per un giro in barca sul fiume, meriterebbe!

Visitiamo anche l'imponente tempio di Shiva, dove i fedeli toccano le zampe di una statua di elefante, pare porti fortuna.

Partenza per Jalgaon. Attraversiamo molti piccoli villaggi. Le "autostrade" sono un susseguirsi di buche, cunette e sorpassi da brivido tra camion e autobus. Lungo la strada incontriamo mercatini poverelli, dove ci fermiamo per un tè speziato o qualche piccolo acquisto  alimentare e qualche foto. Campi irrigati a destra e sinistra del percorso si alternano a radure arse dal sole tropicale.

Ci passano accanto i resti di qualche auto e camion vittime di raccapriccianti incidenti, scommetterei che più di qualcuno ci ha lasciato la pelle in queste scarpate.

Al confine tra Madhya Pradesh e Maharashtra, due regioni componenti l'Unione Indiana, ci sono controlli di documenti e merci come se fosse un confine internazionale. Mi viene da pensare a come siamo fortunati ad essere riusciti ad eliminarli in buona parte dell'Unione Europea, grazie al trattato di Schengen!

Arrivo in serata a Jalgaon, stiamo all’hotel Royal Palace, molte pretese da grande albergo ma è solo discreto. Non accettano carte di credito per il ristorante, ambiente freddino, un po’ pretenziosetto e finto, solo menu vegetariano. Devo andare a cercare contante in piena notte ma per fortuna c’è un bancomat che funziona perfettamente con carte di credito straniere e mi sborsa tutte le rupie che ci servono!