07 January 2003

21° g - 7 GEN: aereo per Goa, visita di Panjim

Lascio l'alberto prestissimo e prendo un taxi per l'aeroporto che è ancora buio. Attraversiamo baraccopoli periferiche, case di lamiera, di legno, di ondulato plastico. Ho letto che in qualche caso usano anche pannelli di amianto arrivati chissà come dall'occidente, qui fanno meno caso ai materiali pericolosi.

L'aeroporto per i voli nazionali è un po' sgarrupato ma funzionale. Molti cartelli mi intimano di non fotografare. Un facchino con un cartellino identificativo sbiadito, illegibile direi, mi prende il bagaglio dal bagagliaio del taxi prima che io possa rendermene conto. Mi accompagna al banco dell'accettazione, una cinquantina di metri scarsi più avanti, e gli do 10 rupie. Non gli sta bene, ne vuole 50. Gliene allungo altre 10 per togliermelo di torno.

Controlli accuratissimi al mio bagaglio a mano. Mi tolgono un accendino e qualche batteria alcalina. Non me ne frega niente del primo e non sono ancora abbastanza sveglio per discutere sulle seconde, che invece mi serviranno a Goa.

Volo per Goa tutto liscio, arrivo in aeroporto accolto da un calduccio semi-tropicale e condivido un taxi con Steve, un simpatico inglese che dice di venire qui da sette anni, sei mesi all’anno. Un tipo sul sessantottino alternativo, capelli lunghissimi anche se ora grigi, tutto un po’ sbracato, zainetto leggerissimo, praticamente vuoto, tanto, mi dice, qui non c’è bisogno di mettersi addosso molto. Mai problemi di bagaglio a mano con le linee aeree, il suo pesa 4kg: un maglione e qualche T-shirt di ricambio. Il resto, poco, che gli serve, lo compra qui e alla fine del soggiorno ce lo lascia.

Gli piace parlare ed io lo ascolto, aiuta a svegliarmi. Ha divorziato da poco dalla moglie, non capiva la sua esigenza di vedere il mondo. Ha due figli, di 24 e 26 anni, ed anche loro sono in giro da qualche parte del mondo, sono autosufficienti adesso quindi non si deve più molto preoccupare per loro e può passare più tempo in India, per conto suo.

In Inghilterra fa lavoretti vari, poi quando ha messo da parte un po' di soldi viene qui e ci resta fino a che non li ha finiti tutti, poi torna in UK a lavorare e ricomincia. Circa 7 mesi all'anno al lavoro e cinque mesi qui a Goa, sempre dallo stesso affittacamere. Da sette anni è sempre così.

Gli chiedo come passa il tempo qui, forse legge molti libri e si gode il clima? Mi risponde che gli piacciono gli uccelli, il suo compagno preferito è un binocolo che mi mostra con orgoglio. Poi gli piace giocare a frisbee quando trova qualcuno a cui lanciare il disco.

Gli chiedo se può darmi qualche consiglio per i miei pochi giorni di permanenza a Goa. Mi fa il nome delle sue spiagge preferite e mi raccomanda di stare attento alla droga, che qui è dappertutto. Qualche canna va bene, fa bene alla salute, ma senza esagerare o sono guai. Molti suoi amici inglesi, coetanei venuti qui come lui alla ricerca dell'essenziale della vita, in una fuga mundi senza progetti, si sono rovinati con la droga. Qualcuno è morto. Altri sono diventati seguaci di vari guru, guaritori, veggenti.

Lui no, gli basta giocare a frisbee, guardare gli uccelli e farsi qualche canna quando capita. Decisamente, sottolinea, preferisce la natura alla cultura. Quando sta qui il cervello gira a vuoto, blanked out, stacca da tutto e da tutti.

Mi chiede se sono un fotografo professionista. Gli dico di no e gli racconto una sintesi della mia vita in un minuto scarso, ma ho la certezza che dopo avermi fatto la domanda lui sia passato subito a pensare ad altro, e non abbia ascoltato una parola di quello che ho detto. Non fa niente. Quello che ho fatto fino a che ho avuto un lavoro "normale", fino alla primavera scorsa, interessa poco anche a me, figuriamoci ad altri. Mi interessa molto più quello che voglio fare esso che mi sono liberato definitivamente di capi, riunioni, giacca e cravatta. Non credo che starò molto a guardare uccelli e lanciare frisbee, ma sicuramente a Goa troverò molto altro. A ciascuno il suo.

Ci salutiamo e mi dice di andarlo a trovare se avrò tempo, basta chiedere di Steve alla spiaggia di Arambol, lui per almeno 5 o 6 mesi di lì non si sposta.

Arrivati all’Hotel, il Panjim Inn, sulla 31st January road, un bell’ alberghetto in stile coloniale, ben tenuto e gradevole. Mi sistemo in una camera coloniale con letto a baldacchino, tutto è di legno pensate, scurissimo, molto serio. Per i costi di qui è caro, sulle 800 rupie, ma decido di trattarmi bene dopo gli sbattimenti delle settimane passate.

Poi me ne vado in giro per Panjim, il centro storico è sporto, decaduto, polveroso. Triste scenario di sviluppo anarchico e incerto, indentità culturale ibrida. Goa è stata portoghese per 500 anni ed è tornata all'India solo nel 1961. In sé la commistione delle due civiltà non mi dispiace, anzi, ma la prima impressione è che invece di completarsi e complementarsi a vicenda siano vicini di casa a disagio. Spero di sbagliarmi.

Prima di tutto, come spesso faccio quando visito una città nuova, al mercato. C’è di tutto, legumi, frutta e soprattutto tanto pesce, di tutti i tipi, esposto da tante simpatiche signore in ceste ben allineate. Mentre fotografo loro puliscono, squamano, dispongono l'ittico prodotto e sorridono. Anzi alcune ridono proprio di gusto quando le inquadro nel mirino.

C'è persino un macellaio di carne bovina! In India! Quando lo racconterò ai miei amici indiani non ci crederanno fino a che non mostrerò loro le fotografie. In realtà qui non c’è niente di strano, perché Goa, a causa della presenza portoghese, ha una forte tradizione cattolica, molti sono ancora praticanti e quindi non seguono il divieto induista di mangiare la carne delle mucche. C’era stata anche una proposta in parlamento per bandire il consumo di bistecche in tutto il paese ma, per il momento, non è stato approvato, e quindi ogni stato dell’unione decide per sé.

Poco fuori dal mercato una manifestazione comunista. Capisco che è comunista dalla falce e martello che campeggia su alcuni cartelloni che portano in giro i manifestanti, ma gli slogan che urlano a squarciagola alcuni attivisti sdentati sono in una lingua che non comprendo. Alcuni poliziotti armati di canne e scudi di bambù sorvegliano stancamente la processione. Carine le poliziotte graziosamente acconciate ed anch'esse armate di bastoni e scudi di bambù. Non mi pare aria di emergenza, fila via tutto tranquillo.

O quasi: ad un certo punto sono scosso da un boato tanto improvviso quanto forte, e istintivamente comincio a scappare via. Poi mi fermo: era una manciata di petardi lanciati non so da chi, o perché, verso i manifestanti. La polizia resta flemmatica e imperturbabile, forse è normale lanciare petardi durante manifestazioni politiche. Dopo un po' però arriva una camionetta della polizia, con i finestrini protetti da pesanti grate di metallo. Scendono alcuni poliziotti e cominciano a far montare alcuni dei manifestanti sulla camionetta. Rimettono in moto e vanno via, vorrei chiedere alle poliziotte del perché di questo prelievo ma alla fine mi convinco che sia meglio lasciar perdere.

Sono andato a vedere gli spettacoli e i concerti organizzati sulle grandi barche ormeggiate lungo il fiume, sono una delle cose più pacchiane che si possano immaginare. Dimenticabili, la cosa più interessante e divertente era mischiarsi agli indiani del pubblico, non lo spettacolo!

La barca  si chiama Paradise, ed il motto scritto sul ponte è "Fun is for everyone". Hard to argue with. Di fronte è ormeggiata un'altra barca, che si chiama Swastik, ovviamente con riferimento al simbolo sacro indiano e non all'aberrazione germanica del XX secolo. Grande cartello con scritto VIETATO FOTOGRAFARE! Anche qui che non ci sono portaerei o altre installazioni militari, a meno che il porto di pescherecci non possa essere considerato tale! Un marinaio mi dice che posso fotografare all'interno, dal fondo del salone, punto dal quale ovviamente non si vede nulla se non tavoli e sedie.

Condivido lo spazio sull'ampio ponte con famiglie intere con membri di tutte le età. Parte una musica rockettara un po' trash e iniziano le danze. Prima si lanciano i bambini, poi gli uomini, mentre le donne stanno a guardare. Ad un certo punto una animatrice della serata si fa avanti ed incoraggia, sbracciandosi e chiamandole in inglese, le più timide a lasciarsi andare sulla pista da ballo. I più scalmanati sono alcuni adolescenti, vestiti poveramente, saltano e rimbalzano forsennatamente sul ponte in preda all'eccitazione, non so se per la musica o altro. Il DJ aumenta il volume della musica che diventa, per me che sono solo spettatore e sognavo di godermi un intenso tramonto sul mare, un po' troppo assordante, ma gli avventori locali apprezzano.

Ciliegina sulla torta uno spettacolo di una danzatrice professionista con costume da contadina portoghese. Comincia a roteare sulla pista, gli altri le danno spazio e lei continua per una decina di minuti mentre una languida canzone portoghese sostituisce temporaneamente il trash di prima.

Scopro che molti festeggianti locali se ne infischiano del divieto e fotografano sul ponte. Giovani trentenni sono armati delle più avanzate reflex giapponesi e qualcuno brandisce videocamere digitali. Le donne più giovani sono vestite all'occidentale, con camicetta e gonna, mentre un paio di signore più avanti con gli anni sfoggiano coloratissimi sari indiani. Queste signore della nascente classe media indiana sono eleganti, ben truccate e profumate. Fanno uso di creme e cosmetici che producono pelle liscia e occhi rifinitissimi.

La sera a cena al ristorante Venite, sempre sulla 31st January road, vale la pena. Si mangia bene e ci si ritrovano tanti simpatici capelloni inanellati ed inorecchinati che pensano gli anni sessanta non siano ancora finiti – ma che rispetto agli anni sessanta hanno qualche soldo in più nel portafoglio.

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