Sonnenfeldt (al centro) con Kissinger |
Il senior ragiona ancora con i criteri della guerra fredda. Pensa che la contrapposizione tra stabilità e cambiamento sia ancora una vera alternativa. In altre parole, favorire il cambiamento in Europa orientale, per esempio facilitando il loro accesso alla NATO, porterebbe a maggiore instabilità e rischio di conflitto con la Russia.
Penso che fosse così durante la guerra fredda, ed era facile (anche se un po' egoistico) per noi europei occidentali preferire la stabilità. Bastava ricordare cosa era successo nel 1956 in Ungheria, nel 1968 in Cecoslovacchia e nel 1981 in Polonia. Pensavo così anche io fino al 1989. Il cambiamento ci avrebbe portato pochi vantaggi, si diceva, e molti rischi. Quindi conveniva a noi lasciare l'Europa orientale prigioniera nel Patto di Varsavia, ma forse conveniva anche all'Europa orientale stessa, dato che l'alternativa sarebbe stata la repressione militare.
Mentre ovviamente di parere contrario erano quelli che, in Europa orientale, satelliti sovietici, avevano poco da perdere a rischiare il cambiamento.
Insomma era la "dottrina Sonnenfeldt", cui molti in Occidente credevano, ma pochi lo ammettevano allora e nessuno lo ammetterebbe oggi. Sonnenfeldt stesso non lo ammise mai in pubblico. Comunque, a torto o a ragione, il suo pensiero è stato così interpretato e da molti condiviso. Una volta lo incontrai ad una conferenza accademica e gli chiesi se lui veramente voleva lasciare l'Europa orientale ai russi in cambio della stabilità in Europa occidentale. Lui mi rispose un po' evasivamente, e poi purtroppo non ci fu tempo per approfondire.
Io penso però che oggi la contrapposizione tra stabilità e cambiamento sia diventata obsoleta. Oggi stabilità non vuol dire più mantenimento dello status-quo, ma gestione del cambiamento. In questo contesto, quindi, direi che la contrapposizione è piuttosto tra cambiamento e continuità.
In questo periodo va molto di moda parlare, o riparlare dopo tanto tempo, di interessi nazionali, della Realpolitik, anche da parte della sinistra che li ha sempre avversati nel nome dell'internazionalismo socialista. CM pensa ai nazionalisti come ai fautori della Realpolitik. Da questo punto di vista la Realpolitik è il legittimo perseguire dei propri interessi reali, concreti, a differenza di quelli ideali o morali. A questa Realpolitik, secondo lui, bisognerebbe contrapporre una politica multilaterale.
Bisogna invece dire che la Realpolitik italiana oggi richiede che si rafforzi il multilateralismo, perché un approccio unilaterale (cioè nazionalistico) sarebbe velleitario e perdente, soprattutto per un paese del peso dell'Italia.
In altre parole, è il nazionalismo ad essere idealista ed irrealista, mentre il multilateralismo offre le maggiori possibilità di raggiungimento di obiettivi di Realpolitik, cioè dei reali interessi dello stato italiano.