01 March 2003

10° g - 1 MAR: da Santiago a Baracoa

Guantanamo

La strada statale, deserta come tutte, che porta da Santiago verso l’estremo orientale di Cuba, si trasforma ad un certo punto in una autostrada, pur’essa deserta, che punta dritto su Guantanamo, la città adiacente all’omonima base della marina militare americana: un nome che racchiude in sé rabbia, costernazione e sdegno, e non solo per i Cubani. La base fu concessa agli USA nel 1934 con un trattato a tempo indeterminato. Molti a Cuba, e non solo, considerano questa base un anacronistico residuo di un’era coloniale che tutti vorremmo pensare definitivamente passata.

La base è oggi completamente isolata dal resto dell’isola, anche se fino a non molto tempo fa vi continuavano a lavorare cittadini cubani. Il problema non è solo legale (i cubani sostengono il trattato sia un retaggio coloniale) ma principalmente politico: se allo scadere del trattato i rapporti tra L’Avana e Washington saranno quelli di oggi, il diverbio sarà inevitabile, anche se non sarà facile per le forze armate cubane far evacuare gli yankees con la forza. Se invece i rapporti saranno cambiati, se Cuba sarà una democrazia, gli americani probabilmente se ne andrebbero senza far tanto baccano, così come fecero nelle Filippine e a Panama, dove pure avevano una presenza aerea e navale incomparabilmente più estesa e strategicamente più importante. Dal punto di vista militare, la base è oggi praticamente irrilevante, resta solo per questione di puntiglio, quel puntiglio spesso irrazionale che regola gran parte dei rapporti bilaterali tra i due paesi dl lontano 1959 ...il mio anno di nascita!

Patria o morte

Ma non è la presenza della marina che mi fa innervosire. Per me, il motivo di rabbia costernazione e sdegno, è il fatto che essa sia utilizzata per quella che è forse la più grave violazione dei diritti umani perpetrata dagli USA in tempi recenti. La detenzione, dalla fine del 2001, senza processo, senza imputazione formale di capi d’accusa ed al di fuori della Convenzione di Ginevra, di centinaia di prigionieri di numerose nazionalità. Essi sono in gran parte esponenti del regime dei Talebani, la nefasta cricca di lestofanti che aveva terrorrizzato l’Afghanistan dalla metà degli anni novanta fino a che, a seguito degli eventi terroristici dell’ 11 Settembre 2001, una coalizione internazionale guidata (indovina un po?) dagli americani li aveva spazzati via, con il rincrescimento di veramente pochi. A questi Talebani sono frammisti, a Guantanamo, presunti membri di Al Qaeda, la rete di estremisti islamici responsabile, tra l’altro, appunto degli attentati contro le Torri Gemelle di New York e contro il Pentagono.

Sia chiaro, il fatto in sé che questa accozzaglia di guastafeste sia dietro le sbarre ed in condizioni di non nuocere non mi disturba punto. Anzi credo dobbiamo essere tutti riconoscenti agli USA per aver messo fine all’orrore afghano – senza dimenticare che essi avevano contribuito a crearlo armando i Talebani quando questi combattevano i sovietici. L’Europa come al solito è intervenuta dopo, ed anche l’Italia, a giochi fatti, ha inviato gli Alpini a dare un contributo per ricomporre la pace in Afghanistan. Ma senza gli americani i Talebani starebbero ancora sul trono di Kabul, a distruggere opere d’arte, reprimere le donne, istigare i giovani all’odio religioso e fornire asilo a terroristi di tutto il mondo che vi si andavano ad armare ed esercitare.

Talebani e presunti terroristi sono quindi in questa base a Cuba, in una sorta di limbo legale, per evitare di dover seguire le procedure legali previste dalla Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra. Questo è per me inaccettabile, l’Occidente democratico e sostenitore dei diritti umani non può fare un’eccezione come questa. Per mettere qualcuno in prigione ci vogliono processi e prove, queste ultime ottenute senza tortura. Non ci possono essere eccezioni.

Dopo Guantanamo, la strada costeggia ancora un po’ la riva caraibica dell’isola e poi punta verso nord, per attraversare le montagne e ridiscendere a Baracoa. Ci fermiamo a pranzo presso una spiaggia sull strada e dopo pochi minuti abbiamo già contrattato aragoste a 7 dollari l'una con birra fredda di accompagnamento. Inoltre per aperitivo di propongono noci di cocco fresco per venti centesimi. Mentre ci cucinano i crostacei alcuni ragazzi si arrampicano sugli alberi e tirano giù i cocchi, che ci aprono e servono con una cannuccia. Aggiungiamo ron ed il sapore è quasi inebriante. Anzi senza quasi...

Contro la crisi economica mondiale

Lungo la strada di montagna
 
Lungo il percorso vediamo la qui famosa fabbrica di cioccolato che l'autista ci dice essere stata inaugurata nientepopodimenoché da Che Guevara il 1° Aprile del 1963. Il giorno forse non fu di buon auspicio, ed infatti oggi la fabbrica è ferma perché... manca il cacao! Diego ci dice che in realtà il cacao ci sarebbe, lo producono qui intorno, ma i produttori lo rubano alle cooperative per venderlo al mercato nero e non alla fabbrica dove guadagnerebbero molto di meno dato che i prezzi sono imposti dallo stato. Invece ci fermano alcune pingui signore ad un tornante mentre saliamo verso le montagna e ci propongono di comprare del cacao puro, confezionato in palle grandi come un'arancia, durissime, Ci consigliano di grattugiarlo e mescolarlo al latte o acqua calda. Ne prendo un paio e constaterò poi a casa come in effetti sia cacao di ottima qualità. Visitiamo anche una "casa del cacao" ma, tristemente, non c'è cacao da assaggiare o comprare. In compenso ci sono un sacco di tazze "Made in Democratic People's Republic of Korea", People's Republic of China e, per gli storici, anche apparecchi per l'aria condizionata "made in Urss".


La fiducia nelle donne non sarà mai tradita (Raul Castro)

L'arrampicata del nostro bus sulle montagne prende tempo, e faccio quache domanda a Diego sulla sua vita. Mi racconta che è stato autista anche nell'esercito, ed è andato volontario in Angola. Partì che sua figlia era piccolissima, e quanto tornò dopo ventisette mesi lei neanche lo riconosceva. Ci tiene a precisare che andò lì volontario, che nessuno lo obbligò e che neanche veniva pagato di più che a Cuba, ma sentiva il dovere di andare a difendere il socialismo internazionale. Non era un mercenario, ci credeva, ed ogni famiglia a Cuba ha qualcuno che ci credeva come lui e che è partito per difendere il regime comunista che prese il potere in Angola dopo la dipartita dei colonialisti portoghesi. In cambio gli angolani mandarono molti lavoratori a Cuba a lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero.

Quelli che lottano trionfano

Lo zucchero era una delle principali esportazioni cubane fino alla caduta del muro di Berlino. Questo perché, anche se la produzione era molto inefficiente, i sovietici acquistavano ad un prezzo superiore a quello del mercato internazionale per sovvenzionare il regime di Castro. Poi con il crollo del comunismo in Europa sono finite le sovvenzioni e per Cuba è stato un incubo. Durante i primi anni novanta si è rischiata la fame e dopo violente dimostrazioni di piazza che protestavano l'austerità imposta nel "periodo speciale" il governo ha autorizzato un po' di iniziativa privata (affittacamere, ristoranti) per far guadagnare un po' di soldi alla gente e placare gli animi.

La Rivoluzione è uguale a libertà e piena uguaglianza

Gli chiedo se crede ancora nel comunismo e glissa un po', dice che i tempi cambiano. Mi dice anche che era normale per loro, combattenti comunisti, difendere i pozzi petroliferi angolani dagli attacchi dei guerriglieri armati dal Sudafrica razzista dell'apartheid. Che poi i pozzi appartenessero a società petrolifere americane, prima fra queste la "Gulf", be', è la politica! Del resto in quel periodo gli americani boicottavano il Sudafrica razzista ma temevano il diffondersi del comunismo in Africa. E poi, si sa, pecunia non olet. Neanche il petrolio puzza.


Se hai una gioventù decisa, hai sempre la Rivoluzione!

Baracoa

Arrivo in serata. Avevo prenotato e riprenotato da Lucy, consigliata da altre relazioni, avvertendola che saremmo arrivati in serata. Ma una volta arrivati, verso le 19.00, il marito ci ha detto che le camere le aveva date via. Grande delusione e irritazione quando ha insistito per metterci in case limitrofe. Noi abbiamo detto che avremmo accettato se ci faceva uno sconto e lui ha rifiutato. Nessun problema, in pochi minuti abbiamo trovato camere in altre case lì vicino, ci sono venuti a cercare in tanti... ed abbiamo speso solo 15 dollari la stanza, anche per le triple. La casa dove sono stato il è quella di Rosa Chantillo Chavez, Calixto Garcia 136, molto spartana ma sufficiente. Sono simpatici e vi aiuteranno a sistemare il gruppo in case adiacenti, il paese è comunque piccolo. La casa adiacente al civico 134, anche migliore, è quella di Alcides Navarro, stesso prezzo.

Dopo esserci sistemati nelle case, cena al Ristorante Bar Il Colonial, sulla Jose marti. Lunga attesa nonostante avessimo prenotato, qualità media. Probabilmente avremmo fatto meglio a mangiare separati nelle case e vederci dopo, ma il gruppo insisteva a restare ….. siempre junto!! E poi a sentir musica alla Casa della Trova (piccolina ma molto carina) ed al Patio de la Casa de la Cultura, entrambi con musica dal vivo, molto piacevoli. Più chiassosa “La Teraza”, quasi una discoteca, almeno la sera che ci siamo andati noi.

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