06 January 2003

20° g - 6 GEN: Mumbai

Di primo mattino al caotico mercato del pesce. Stranamente, non sono riuscito a capire perché, non è permesso fotografare. Il mio tassista dice di stare attento ma non ci dovrebbero essere problemi. Io però sono troppo visibile con due reflex a tracolla e un poliziotto mi si avvicina con fare minaccioso, agitando le mani, mi sta chiaramente facendo capire che non posso fotografare. OK gli dico di sì, non fotografo. Poi arriva il mio tassista che parla in Hindi con il milite che vedo immediatamente ammansito, poi gira i tacchi e se ne va. Il tassista mi sorride e ci salutiamo. A questo punto non ci sono più poliziotti e posso rubare qualche scatto a pescatori e pescato.

Alcuni marinai riparano le reti stese per terra mentre molti bambini giocano sul pavimento bagnato. Alcuni di loro mi si avvicinano per chiedere soldi.

Mi avvio al traghetto per l'isola di Elephanta, compro il mio biglietto e mi accalco con una piccola folla di turisti indiani sul ponte di poppa. Forse ho capito perché era vietato fotografare i pescatori: il molo commerciale si trova davanti alla sezione del porto riservata alla marina militare. Comunque non ho fotografato unità belliche quindi mi sento la coscienza a posto!

Appena prendiamo il largo però scorgo, in lontananza, dall'altra parte del porto, la portaerei indiana Vikrant oggi non più in servizio e (apprenderò in seguito altrimenti ci sarei andato) usata come museo. Al largo l'altra portaerei, in servizio, la Viraat. Saremo a forse un km di distanza, scatto qualche foto, prometto a me stesso che non le venderò a pakistani!

Mentre ci allontaniamo vedo sempre più lontani, allineati e gradualmente sempre più velati dalla tipica foschia di Bombay, come in una cartolina dell'800, l'hotel Taj Mahal e la Porta dell'India. Dopo una decina di minuti sono spariti, inghiottiti dal velo di smog. Per circa un'ora mi ritrovo a condividere la barca, e la cacofonia rockettara occidentale, assordante, che sgorga dagli altoparlanti sul ponte, con gruppi di turisti indiani. Questi sembrano divertiti dalle telefonate degli ascoltatori che intervallano le canzoni proposte dall'entusiasta DJ della stazione radio. Tutti passano con disinvoltura dall'inglese all'Hindi come se fossero un'unica lingua. Ovviamente capisco solo la metà in inglese, problemini sentimentali di adolescenti, delusioni amorose e speranze segrete che magari non si confidano ad amici e parenti ma si mandano in onda senza vergogna.

Ho trovato che la decantata isola di Elephanta sia soprattutto una grande pattumiera. Anche qui, inspiegabilmente, è vietato fotografare. Le grotte, unica attrattiva a parte un paio di grandi cannoni in disuso, mestamente puntati con alzo negativo, verso il basso. I siti archeologici non sono significativi dopo aver visto Ajanta, Ellora e Aurangabad. Mi intrattengo in conversazione rilassata, del più e del meno, con un gruppetto di Calcutta che mi chiede di fotografarli.

C'è un piccolo bar dove compro del tè, fa caldo e ho sete. Come me un gruppetto di ragazzi sulla ventina che fanno a gara a chi fa i rutti più forti tra una sorsata e l'altra del tè che succhiano dai loro bicchieroni con vortici rumorosi tramite piccole cannucce.

Tornato a terra mi dirigo a piedi verso l'hotel Taj Mahal. Sono vestito in sahariana e pantaloni da trek, sembro più Indiana Jones che un credibile cliente del più costoso albergo della città. Con faccia tosta mi presento come guida di viaggi e chiedo di vedere una stanza, potrebbe essermi utile per i miei clienti in avvenire, dico non molto convinto, ma mi credono e una gentile ragazza mi accompagna al piano superiore.

Mi mostra con orgoglio la suite "Elephanta", dalla cui grande finestra si dovrebbe vedere l'isola da cui sono appena tornato, ma la foschia è tale che a malapena riesco a scorgere la Porta dell'India, che si erge maestosa a pochi metri dall'albergo. La suite è impressionante! Due salottini, impianto stereo di alta fedeltà, marmi, madreperla, velluto. Accanto ai giornali in inglese e hindi una ciotola piena a metà di acqua sulla quale galleggiano coloratissimi petali di rose rosse. Andando via non posso non provare disagio nel vedere, mentre deambula come perso nel corridoio, un cliente americano in canotta da basket che stona come un cavolo a merenda, anzi come un hamburger in un ristorante stellato Michelin.

Ringrazio la gentile hostess, lascio il Taj e mi immergo nuovamente del traffico infernale della città. Destinazione bazar di Chor.

Carino il mercatino musulmano di Chor dove si vendono reperti di navi smantellate (cantieri di disarmo vicino Bombay ed in Gujarat). Ora c’è poco, mi dice un commerciante che non si disarma più tanto qui, ed infatti ho letto recentemente che siccome in India i costi della manodopera salgono (!) e la legislazione del lavoro diventa (giustamente) più severa nell’imporre misure per la protezione ambientale e la prevenzione di malattie ed incidenti, gli armatori tendono a portare le vecchie navi in Pakistan o soprattutto in Bangladesh, dove ancora è tutto più facile ed economico. Lui però perde fonti di approvvigionamento per il suo negozio. Vende sestanti, lampade, bussole, contamiglia per navi. Mi piacerebbe comprare un po' di roba per la mia collezione nautica ma difficile portare con me oggetti di bronzo e ottone, e poi molti mi sembrano falsi, riproduzioni fedeli ma oggetti che non sono mai stati per mare.

Mi dice, senza che io gli avessi chiesto nulla, che i musulmani dell'India non sono come gli altri, sono più pacifici.

Bello il lungomare occidentale, nel pomeriggio l’aria si rinfresca e migliaia di cittadini si riversano sul largo passeggio che marca la costa occidentale della penisola di Mumbai. Coppiette di fidanzatini che tubano sul muretto che dà sul mare mentre il sole scende rapidamente sull’orizzonte. Non è dato vedere grandi affettuosità in pubblico qui in India, ma nella cosmopolita Mumbai la mentalità è un po’ più aperta...

Avevo sentito la musica da lontano, mentre sgranocchiavo delle noccioline che avevo comprato sul lungomare. Lasciata la costa avevo cercato di avvicinarmi alla fonte della musica e dopo qualche centinaia di metri mi trovo in una strada intasata di traffico con un’orchestra di musicisti in livrea, con trombe e tromboni, che suona con grande energia mentre arrivano gli invitati a quello che deve evidentemente essere un matrimonio di una famiglia facoltosa.

Naturalmente sono stato prontamente invitato, e mi sembrava di essere sul set di “Monsoon Wedding”. Mi fermo un po’ ad ascoltare, fotografare, godermi l’atmosfera frenetica. Le donne sono elegantissime, piene di gioielli e disegni fatti con henné sulle mani.

Tornando verso il centro passo davanti ad un predicatore cristiano che urla la sua fede per strada a chiunque abbia voglia di ascoltarlo... qualcuno c’è. Impreca, minaccia, esorta... un invasato! India multiculturale, a Mumbai poi c’è proprio tutto!

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