Colazione abbondante con uova, toast, marlemmate, miele, frutta, ecc ecc, una goduria! Poi a spasso per l’isola, decidiamo di andare verso nord. Bella passeggiata, con nuotate e soste a chiacchierare con i locali. Peccato tanta immondizia per strada, dappertutto, rovina veramente un po’ il posto. Non capisco come facciano a non capire che così distruggono la loro principale risorsa.
Incontriamo anche dei ragazzi che hanno appena pescato una testuggine (qui è legale) e vorrebbero vendere il carapace per 20 TOP! Varrebbe cento volte di più in occidente. Ovviamente rifiutiamo ma loro sono un po’ stupiti e delusi. Anche questi ragazzi non capiscono che così rovinano la loro unica ricchezza. In una cassetta frigorifera che si portano dietro si intravedono le carni della bestia. Mi viene in mente il racconto di mio nonno materno, Pasquale, di Manfredonia, che negli anni cinquanta del XX secolo aveva macellato una testuggine che gli avevano dato i pescatori amici suoi sul balcone della sua casa, in pieno centro! I vicini di casa, allarmati nel vedere tanto sangue scorrere giù fino in strada avevano chiamato la polizia!
Andiamo verso la costa nord ovest dell’isola di ‘Uiha. Sulla strada ci fermiamo da una gentile signora che gestisce un minimarket. Chiediamo qualche bibita fresca ma non ne ha, dice che lei mette le bibite in fresco su ordinazione. Se facciamo un ordine adesso per quando torneremo dalla nostra passeggiata saranno belle fredde! Oltre al minimarket lei fa la maestra della scuola elementare dell’isola.
Maiali dappertutto, qui son come i cani da noi, in tutti i giardini, per strada -- solo che loro poi se li mangiano! Anche molti cani, che non si mangiano ma a volte danno un po’ fastidio avvicinandosi troppo anche in branchi. Sulla strada vari piccoli cimiteri, caratteristici con coperte, drappi e conchiglie. Arriviamo alla meta, una bella spiaggia all’estremo nord ovest dell’isola con alcuni resti archeologici di insediamenti Lapita, i primi abitanti delle isole polinesiane venute dal sud est asiatico. Ci godiamo la giornata tra ruderi, nuotate e passeggiate. Poi, sulla strada del ritorno, la minimarket ci sono pure le nostre bibite ghiacciate
La sera ancora una cena pantagruelica in famiglia, maiale al forno umu, dev’essere quel porcellino che si dimenava nel cortile ieri quando siamo arrivati. Infatti fuori non c’è più. Sempre senza birra o vino... le carni sono state fatte marinare nel pomeriggio in salsa di soia, zucchero, aglio, cipolla, sale, pepe e qualche altro odore non ben identificato, buono!
Saziato l’appetito, anche se non proprio soddisfatta la sete, chiediamo a Kapeta, nipote di Kaloni, 29 anni, emigrato come tanti compatrioti in Nuova Zelanda in cerca di fortuna, ma in questi giorni qui in vacanza, di dirci che fa la gente il sabato sera. Ho sentito parlare delle famose feste tongane e ci piacerebbe molto partecipare ad una di esse. Risponde sorridendo: “C’è una festa della kava, si raccolgono fondi per la chiesa”. La chiesa cristiana, anzi le chiese (ce ne sono almeno una mezza dozzina di confessioni diverse) sono onnipresenti nella vita delle isole, non succede quasi nulla di importante che non sia in qualche modo riconducibile ad una di loro. Andiamo.
La cerimonia della kava
La kava è la bevanda nazionale di Tonga, prodotta con le radici della pianta omonima. La migliore viene dalla vicina isola di Tofua, a qualche decina di miglia da qui, dove il Capitano Bligh approdò con la sua scialuppa subito dopo l’ammutinamento del Bounty a fare rifornimento di acqua, e da cui fu prontamente cacciato dagli abitanti locali. La kava è preziosa perché la pianta deve crescere almeno 5-7 anni in terra vulcanica prima che sia pronta ad essere estirpata per sfruttarne le radici. L’emulsione è servita fredda, ed in grandi quantità induce una leggera euforia, ma più importante dell’effetto fisiologico è il suo ruolo sociale e culturale. Vicino alla chiesa, in questo caso affiliata alla confessione “nazionale tongana”, in un grande salone spoglio, illuminato al neon, stanno seduti in cerchio per terra, su grandi stuoie, quattro gruppi di uomini, una cinquantina in tutto. Le donne infatti sono ammesse alle feste della kava solo per mescere, una tou’a per gruppo, e non devono essere imparentate con quelli che bevono perché ciò potrebbe inibire la conversazione, che spesso volge al pettegolezzo ed alle bravate un po’ machiste dei ragazzoni del villaggio! Davanti a ciascuna tou’a sta il kumete, una ciotolona scolpita di “legno reale”, durissimo, con quattro gambette sottili. Gli inservienti versano nel kumete la kava fresca da un grande barile comune a tutti, poi la tou’a la rimesta con mezzo guscio di noce di cocco a guisa di coppa, e quindi la serve passando il guscio al primo convitato, sempre rigorosamente verso sinistra. Ciascuno degli uomini lo passa a sua volta in giro ed il primo a bere, in un unico sorso, è quello seduto alla destra della tou’a. Poi il guscio vuoto fa il percorso a ritroso, viene riempito e ripassato fino alla persona immediatamente alla destra dell’ultima che ha bevuto. E così via... Ne beviamo tutti un po’. Io me ne sorbisco una mezza dozzina di gusci, devo dire che dopo una certa ritrosia iniziale ci prendo gusto. Anche Cristina e Antonio sono un po’ scettici ma poi vengono coinvolti dall’entusiasmo di tutti.
Cantano a cappella, i bevitori di kava, un gruppo alla volta, melodie amorose ed inni religiosi in contrappunto, potenti e struggenti. Sono ben istruiti nella musica, si esercitano varie volte alla settimana. Quando un gruppo finisce gli altri ringraziano sommessamente... “malo, malo” (“grazie” in tongano) ma non applaudono. Si battono le mani solo per chiedere altra kava. Kepu, cugino di Kapeta, si rammarica che si stiano perdendo queste tradizioni. Qui però noto con speranza non pochi ragazzi che cantano accanto agli anziani. Puoi vedere un video di una cerimonia simile qui.
Per la raccolta dei fondi per la chiesa del villaggio arriva ad un certo punto a sorpresa Lisieli, la figlia maggiore adolescente di Kaloni, che sfoggia un finissimo vestito di tapa e conchiglie fatto dalla mamma per lei e per la sorellina Ileta, ed ha braccia e spalle scoperte ed unte d’olio. Mentre esegue delicate movenze, gli uomini le appiccicano banconote sulla pelle lucida. Lei sorride, evidentemente gratificata della ribalta. Dopo alcuni minuti la musica finisce, Kepu raccatta le banconote che sono cadute per terra, Lisieli ringrazia e se ne va, ma la kava continua a scorrere. Andrà avanti quasi fino all’alba, quando i galli e i primi cori domenicali della chiesa accanto segneranno la fine di una notte di quelle che lasciano il segno.
Una versione di questo post è stata pubblicata su Avventure nel Mondo.
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