La mattina di domenica non c’è scelta: si va alla messa cantata. O meglio, la scelta c’è, dato che anche in un piccolo villaggio come questo ci sono una mezza dozzina di confessioni protestanti diverse, ciascuna con la propria chiesa, che competono da un paio di secoli per le anime degli isolani (e per le loro offerte). Le campane suonano prepotentemente, unu po’ sbilenche le melodie ma nello spirito dell’isola... Ne scegliamo una ed andiamo ad assistere alla Messa.
Durante la liturgia i fedeli tongani si inginochiano all’indietro, dando le spalle all’altare ed al prete scalmanato che urla la sua omelia a squarciagola. Delle parole del prete non capiamo ovviamente nulla, ma quando fa riferimento a “...Paulo..., ...apostulo ... Corinto” è chiaro che l’omelia sta spiegando le famose lettere del santo.
Poi in cammino verso sud a piedi, fino al confine estremo dell’isola, dove si giunge dopo aver attraversato una foresta tropicale ed un boschetto di mangrovie che finisce in mare. C’è una spiaggia fantastica, e davanti a noi la placida laguna piatta, protetta dalla barriera corallina che sta forse ad un chilometro di distanza dalla battigia. Nell’acqua molte striscie di tapa ancorate sul fondo per ammorbidirsi prima di essere intrecciate. I palmeti sono pattugliati da maiali selvatici, con le scrofe in testa e i maialini cuccioli al seguito “Che carini!”, dice Cristina; “che buoni!”, rispondo io.
Passiamo le ultime ore del pomeriggio sulla spiaggia di Esi, in attesa della sera e della grande cena domenicale. Ci servono sulla tavola un maiale intero, cotto nel forno insabbiato “umu”! Anche patate, kasava e toberi vari, qualche pescetto fritto fa da contorno ma anche stasera è il porco che fa la parte del … leone! Mi do da fare con un coltellone che mi ha passato Kalloni e ci mangiamo tutti noi e la famiglia. L’animale è cotto bene, ma nell’umu prende una consistenza più morbida che nei nostri forni, non si crea nessuna crosta bruciacchiata. Per dolce papaya cotta, ottima, impastata fino a farne una poltiglia di media consistenza che fa da degno finale all’ennesima luculliana libagione qui ad Esi.
Ci fermiamo poi a chiacchierare a tavola, ma quando finalmente ci togliamo di mezzo ci accorgiamo che forse avremmo dovuto sgombrare prima, perché appena le sedie sono disponibili piomba giù una serie di parenti, amici, vicini di casa non meglio identificati che in breve fanno sparire il mezzo porco che ancora troneggia sul grande piatto di portata! Due amici, in particolare, sembrano campioni di sumo, peseranno 200 kg ciascuno e sbranano la bestia a quattro mani con voracità! Lisieli e Ileta finiscono delicatamente qualche bocconicino qua e là.
Dopo cena Kaloni ci fa vedere come si intreccia la tapa, e le figlie indossano con orgoglio alcuni abiti elegantissimi che lei ha confezionato per loro. Ha fatto anche alcuni bei tappeti, i "ta 'ovala", stuoie che si possono anche indossare avvolti attorno alla vita e legati con una cinta di corda, ma non ha tempo per produrre abbastanza per vendere.
Prima di andare via voglio lasciare un pensiero sul libro degli ospiti della pensione. Leggo qualcosa lasciato da altri ospiti prima di noi, e mi colpisce questa frase lasciata da due italiani nel 2001: “La vita è respirare aria pura, mangiare cibo naturale, dormire bene e amare tutti (gente, animale e piante). La vita non è: la moda, i soldi e le cose del consumismo. La vita primitiva tongana è la vera vita ed io la amo.” Sono di stucco. Quanta banalità in così poche parole, quanto egoismo. I tongani cercano di uscire da un retaggio di povertà secolare, di affacciarsi alla modernità, e qui due italiani che giocano a Robinson Crusoe per qualche giorno gli dicono di sperare che non cambino mai la loro situazione.
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