Sveglia alle 4 di mattina, un rapido nescafè con scatola di biscotti integrali che hanno l’aria di stare sulla mensola del balcone di Taki da qualche anno (non si vede la data di scadenza, solo che vengono dalle Figi, ma sono buoni) e poi via al traghetto. È ancora buio pesto ma le luci del traghetto sono già tutte accese e la maggior parte dei passeggeri ha già preso posto. Anzi posti. Infatti qui vale la regola che il primo che arriva bene alloggia, si sdraia ed occupa tra l’indifferenza generale tutta una panca da 4 o 5 posti a sedere. Ecco perché Taki mi aveva detto di andare presto se volevo sedermi per la traversata...
Quantro scendo sottocoperta le pache sono già tutte prese da enormi omaccioni tongani cpn i quali è meglio non discutere, sono ben sdraiati, con i neri piedi nudi a penzoloni da un lato delle sedia. Circa la metà di loro russa sonoramente. Tutte prese, le panche, tranne una, forse dimenticata perché la lampada sovrastante è rotta. Ci sta seduto, e non sdraiato, un ragazzo di forse 20 anni. È fatta! Mi siedo dal lato del corridoio, appoggio il pesante zaino fotografico accando a me come cuscino e aspetto fiducioso. Appena mi assesto sulla panca, però, mi accorgo di avere la coscia appoggiata su una vite, avvitata dal basso verso l’alto, la cui punta sporge fastidiosa dall’asse di legno.Devo spostarmi verso il centro della panca, riducendo lo spazio a mia disposizione... comunque almeno non resto in piedi o per terra.
Mi accorgo che non c’è modo di comprare il biglietto per il traghetto, e del resto nessuno me lo chiede durante la traversata.
La luna piena buca le nuvole persistenti da ieri e si lascia ammirare attraverso uno spicchio di oblò che riesco a vedere dal mio posto al centro della panca. Si parte alle 5.30 di mattino, puntuali. Temo l’uscita dal porto, dove potremmo ritrovare i cavalloni che all’andata avevano fatto rollare il traghetto al limite del mal di mare. Invece no: mare piatto e vento quasi calmo. Il ragazzo che era seduto accando a me se ne va dopo un po’ ed io mi posso insperatamente sistemare come un vero tongano, spaparanzandomi su tutta la panca, e financo assopendomi mentre le minime onde cullano beatamente lo scafo ed il motore brontola nel sottofondo. Non credo comunque di aver russato, e certamente non mi sono tolto le scarpe come i tongani! Ed anche se lo avessi fatto non avrei avuto i piedi neri come i loro, o almeno non subito. Forse dopo averli strusciati un po’ su quelle panche!
Albeggia. Siamo in porto a Tongatapu alle 7.30. Scendo dalla nave e qui, eccola!, c’è una tonda bigliettaia vestita di rosa che mi chiede i 25 panga della corsa. Mentre pago mi chiede come mi chiamo. Già mi vedo a cena con suo padre a discutere della dote, ma fortunatamente la simpatica fattorina si limita a scrivere “Marco” sul biglietto che mi consegna, ritira i 25 panga e mi saluta. Dopo qualche metro, mentre già pensavo di conservare il biglietto personalizzato per il mio album di foto, e di scansionarlo per questo blog, un’altra donnona me lo chiede, ma non lo strappa, se lo tiene proprio.
Mattinata che comincia con una supercolazione americanissima al cafè di Daniela. Dopo un paio d’ore si libera una stanza che prendo per la giornata. Poi in giro per gli ultimi acquisti, ma rinuncio alle grandi tapa, ce ne sono fino a 3 metri x 4, e non costano neanche troppo, ma non saprei proprio dove metterle. Mi accontenterò di quella piccolina che ho comprato a Neiafu. Certo una volta non avrei fatto così, l’avrei presa e a metterla da qualche parte ci avrei pensato dopo. Sto invecchiando...
Mi limito a qualche collana di conchiglie da regalare a qualche ragazza in Europa, lo so che saranno soldi sprecati, tanto non serve a niente, ma con un costo tutto sommato molto limitato posso aumentare se pur di poco le probabilità di fare bella impressione, tentar non nuoce. Mi godo un bel pranzetto all’aperto assieme ad alcuni poliziotti australiani e neozelandesi, ce ne sono parecchi qui a dare una mano al governo dopo le sommosse dell’anno scorso.
Sulla strada del rientro, verso fine pomeriggio, dopo una passeggiata sul lungomare di Nuku, mi fermo a comprare una kemete, la ciotolona per la kava, da uno scultore che ha il negozio vicino al mio albergo. Mi regala anche un “amo di Maui” un grande amo di legno che simboleggia il grande amo con cui Dio pescò dal fondo del mare tutte le isole del Pacifico...
Poi in serata trasferimento in aeroporto e partenza per Samoa alle 21. Lascio Tonga con il sano sentimento di inappagatezza che contraddistingue tutti i viaggi di successo, è stato tutto tempo speso bene, ce ne sarebbe voluto di più, e la voglia di ritornare in queste è fortissima.
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