Incontro con Sergeij Karaganov, vice-direttore dell'Istituto per l'Europa dell'Accademia delle Scienze Persona interessante. L'istituto è stato fondato solo poco più di un anno fa, ed è piuttosto piccolo: hanno solo circa una sessantina di persone di staff scientifico! Dovrebbero arrivare a 150 a pieno regime, per ora non hanno neanche una sede definitiva. Lui è uno specialista di sicurezza, ma ora si deve occupare anche di altro.
Gli chiedo cosa pensa della cooperazione europea occidentale in materia di difesa. Dice che non c'è poi molto di concreto ancora di cui preoccuparsi. Il processo è chiaro che va avanti, non si può fermare. Si tratterà di rendere il nuovo pilastro europeo un partner nella costruzione di un sistema di sicurezza europeo migliore, ed in questo senso esso potrebbe essere meglio della NATO. Il legame tra USA ed Europa si sta sfasciando, e questo potrebbe giovare all'URSS, ma il ruolo americano in Europa è anche stabilizzatore del nazionalismo europeo occidentale per cui lui spera che gli USA restino in Europa.
Mi dice che la risposta flessibile non funziona perché manca l'escalation dominance. Gli dico che sono d'accordo e che credo bisogni compensare con una maggiore responsabilizzazione europea nel settore nucleare. Risponde che non crede la cosa possibile perché l'opinione pubblica euro-occidentale non lo permetterebbe. L'unica soluzione è di ridurre le armi nucleari in Europa, anche se non si potrà denuclearizzare per il prevedibile futuro, e mantenere il controllo in mani americane.
Est Europa: i sovietici sono più rassicurati della loro posizione di sicurezza oggi, non avrebbero paura se gli alleati si muovono verso maggiore collaborazione con l'Occidente. Non c'è niente da fare a proposito in ogni modo, anche perché i sovietici si stanno muovendo nella direzione della liberalizzazione della politica più velocemente della maggioranza degli Est europei. Quanto all'atteggiamento euro-occidentale, a parte la propaganda non sono in molti negli establishment occidentali che vorrebbero una neutralizzazione dell'Europa dell'Est, sia politicamente (problema tedesco) sia perché nessuno vuole pagare per i loro problemi economici.
La pratica della cosiddetta "Dottrina Brezhnev" è finita, la sovranità nazionale ha precedenza sull'internazionalismo socialista. E se un bel giorno l'Ungheria dovesse ripensare alla vecchia idea di uscire dal Patto, che succederebbe? Risposta: chissà.
Mi dice che secondo lui nella stessa Germania Occidentale è chiaro che non si pone, almeno per il prevedibile futuro, il problema della riunificazione e nemmeno della completa apertura delle frontiere. Sarebbe difficile per Bonn accogliere tutti quelli, e non sono comunque tanti come in passato, che vorrebbero venire in occidente
Gli chiedo se la "casa comune europea" potrebbe avere un sistema diverso da quello socialista, se il socialismo sia reversibile. Risponde che cosa sia il socialismo è difficile dire, e che quello dell'Est sta assumendo forme di economia di mercato e vice versa in occidente il ruolo dello stato è considerevole. non che i sistemi convergano, ma si avvicinano.
Balcani: Per quanto concerne la Jugoslavia è d'accordo che è un problema sia per Est che per Ovest, sarebbe opportuno consultarsi, a livello di istituti sarebbe meglio che a livello ufficiale, per elaborare contingency plans in caso il paese "esploda". Altri problemi nei Balcani: Ungheria-Romania, Mosca non ne vuole sapere di essere coinvolta, lo considera un affare interno romeno; se il caso fosse portato alle Nazioni Unite lui personalmente si asterrebbe. Gli faccio notare che ciò equivarrebbe ad appoggiare la Romania.
Mi presenta quindi un certo Viktor Shein, che sarà a capo di une dei due dipartimenti su Est-Ovest che si formeranno nell'istituto. Anche lui, come Karaganov, proviene dall'Istituto per gli Stati Uniti e il Canada. Ha incontrato Stefano Silvestri a Ebenhausen pochi giorni fa, si aspetta non ho ben capito che lettera da lui. Personaggio non molto interessante.
Cena con un diplomatico, un esperto finanziario ed un fisico italiani. Cena a casa di un diplomatico italiano. C'è una guardiola all'entrata del comprensorio, abitato tutto da stranieri, per controllare i russi che entrano. Spesso persino gli operai non vogliono andare ad eseguire riparazioni nei comprensori per stranieri per non essere schedati, e lo stato gli assegna operai apposta.
Il diplomatico mi dice che il lasso di tempo tra inizio dei sacrifici e arrivo dei benefici della perestrojka si potrà misurare in svariati lustri, e che quindi l'esperimento è probabilmente destinato ad insabbiarsi perché in quell'intervallo i meccanismi di sviluppo della riforma si incastreranno a poco a poco. L'esperto finanziario non è d'accordo, per lui c'è speranza: quando cominceranno i guai (disoccupazione, meno garanzie sociali) i Russi si metteranno a correre.
La recente sostituzione dell'ambasciatore Sergio Romano era inevitabile e dovuta, non era adatto a gestire il momento che richiede attenzione agli aspetti economici per favorire le industrie italiane nella corsa ai contratti. Non a caso il successore Salleo viene dalla direzione degli affari economici. Romano invece, uomo peraltro intelligentissimo e di grande cultura, preferiva andare alle riunioni con filosofi e slavofili. Lo scontro con De Mita (lo ha fatto letteralmente aspettare per strada quando è andato in ambasciata durante l'ultima visita a Mosca) è stato solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
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