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12 February 2012

Film Review: Midnight in Paris (2010), by Woody Allen, ***

Synopsis

This is a romantic comedy set in Paris about a family that goes there because of business, and two young people who are engaged to be married in the fall have experiences there that change their lives. It's about a young man's great love for a city, Paris, and the illusion people have that a life different from theirs would be much better.


28 January 2012

Book review/Recensione: Persepolis, by Marjane Satrapi, *****

Recensione in italiano di seguito!

Synopsis

Wise, funny, and heartbreaking, Persepolis is Marjane Satrapi’s memoir of growing up in Iran during the Islamic Revolution. In powerful black-and-white comic strip images, Satrapi tells the story of her life in Tehran from ages six to fourteen, years that saw the overthrow of the Shah’s regime, the triumph of the Islamic Revolution, and the devastating effects of war with Iraq. The intelligent and outspoken only child of committed Marxists and the great-granddaughter of one of Iran’s last emperors, Marjane bears witness to a childhood uniquely entwined with the history of her country.


21 January 2012

Book Review: What the Chinese Don't Eat, by Xinran, ***

Synopsis
Since June 2003 Xinran has been writing about China in her weekly column in the Guardian. She has covered a vast range of topics from food to sex education, and from the experiences of British mothers who have adopted Chinese daughters, to whether Chinese people do Christmas shopping or have swimming pools. Each of her columns inspired letters and questions and more opportunities for Xinran to shed light on the culture of her native land. What the Chinese Don’t Eat collects these pieces together for the first time to give one unique Chinese woman’s perspective on the connections and differences between the lives of British and Chinese people today.

13 October 2011

Recensione: People from Ikea, di Andrea Pugliese, ***

Sinossi
Componendo a incastro questi tubi, ripiani, viti e bulloni, sono possibili milioni di combinazioni. Sul catalogo per tale meraviglia si sprecano i sostantivi: guardaroba, libreria, scaffalatura, separatore d'ambiente, portatutto, riassumicasino...

05 June 2011

Lo sfigavventurista

Viaggiare non serve tanto a scoprire nuovi paesi, scrisse una volta Proust, ma a cambiare il modo con il quale si guarda al proprio. Ed è proprio vero, nei miei viaggi ho avuto modo di conoscere l’Italia, anzi gli Italiani, come mai mi era capitato prima, sia perché in Italia avevo vissuto sempre e solo a Roma, sia perché ho passato gran parte della mia vita all’estero.

Per questo motivo ho fatto per anni l'accompagnatore di gruppi di turisti italiani.

Infatti, un pregio impagabile di viaggiare con gruppi di italiani è che essi fungono da grande pentolone, dove si fondono le realtà più disparate del nostro belpaese, un vero “melting pot” direbbero in America. Nei miei gruppi ho avuto la fortuna di dividere camere, bus, jeep, tuk tuk, risciò a pedali, aeroplani, piroghe, e naturalmente tavolate imbandite con partecipanti provenienti da quasi tutta Italia, di tutte le età, delle professioni e mestieri più disparati, con retaggi culturali e sociali diversissimi fra di loro. Questo mi ha arricchito forse quanto aver conosciuto i paesi che ho visitato.

Purtroppo però, i gruppi di italiani sono spesso anche un ricettacolo per annoiati, separati, stufati, mollati, scaricati, e sfigati vari che ricorrono al gruppo perché gli è venuta a mancare la fonte di sostegno primario nella vita di coppia, o in famiglia, e non sanno o non vogliono organizzarsi viaggi per conto proprio, o che comunque sperano di trovare nel gruppo quanto serve a sostituire il sostegno perduto altrove.

Questo tentativo patetico trasforma il curioso viaggiatore in un ridicolo avventurista, sfigatello, tristanzuolo, un po’ depresso forse e qualche volta, a seconda dei casi, anche un po’ irascibile... uno sfigavventurista! Questo è stato, in parte, anche il mio caso personale, dunque con cognizione di causa esorto noi tutti a voce alta... siamo viaggiatori, non sfigavventuristi! Lo svigavventurismo: se lo conosci, lo eviti; dunque, cerchiamo di capire di cosa si tratti.

Com’è fatto uno/una sfigavventurista? Proviamo a descriverne le caratteristiche fondamentali, sono sicuro che ne avrete incontrati nei vostri gruppi. Non importa da quale parte d’Italia venga, che età abbia, o che professione eserciti, ci sono caratteristiche comuni che rendono giuristi e garagisti, analisti e anestesisti, commercialisti e camionisti, psicanalisti e parquettisti, estetisti ed elettricisti... semplicemente sfigavventuristi!

Lo sfigavventurista è innanzitutto un esteta, infatti trova sempre l’aggettivo giusto per definire le caratteristiche dell’oggetto del suo osservare, che sia esso un complesso architettonico o archeologico (“bello!”), un bambino denutrito che si rotola nel fango (“bellissimo!”), un tramonto infuocato (“molto bello!”), un cane randagio che gli lecca le scarpe (“bellino!”), uno spettacolo di danza folklorica (“bello bello bello!!!”).

Lo sfigavventurista è animalista, dunque vuole che gli animali siano sempre trattati bene. Si oppone quindi fermamente alla caccia ed alla pesca (poi però si mangia carne e pesce, nonché ovviamente le uova) e crede fermamente che tutte le vite degli animali debbano essere rispettate (poi però stermina senza pietà zanzare, bacarozzi, ragni e quant’altri animali, soprattutto quelli che hanno avuto la sventura di essere poco valorizzati da Walt Disney nei cartoni animati, si cerchino onestamente di procacciare il cibo nei suoi paraggi o sulla sua cute). Questo nei casi migliori, un po’ di ipocrisia ma alla fine il buon senso prevale.

Nei casi peggiori lo sfigavventurista vorrebbe salvare la vita non solo agli scarafaggi che si aggirano nei suoi bagagli o alle mosche che banchettano sul suo panino, ma anche ai parassiti più pericolosi come come per esempio le locuste che a miliardi divoravano

Lo sfigavventurista è politicamente impegnato, è un idealista; spesso, è comunista. Oppure è stato comunista in passato, o simpatizza in qualche modo con i comunisti, o quantomeno pensa che il comunismo non sia stato una delle più grandi sciagure che abbiano afflitto l’umanità (come pensano quasi tutti i poveretti nei cui paesi è stato sperimentato), ma semplicemente che non sia stato ancora messo in pratica come si deve, ma che un giorno sicuramente lo sarà, magari in Italia. A Cuba, in due settimane, avendo chiacchierato con decine di persone, non ho incontrato neanche un comunista cubano, ma in compenso ne avevo tre o quattro italiani nel gruppo che accompagnavo.

Come corollario di questo credo, lo sfigavventurista pensa che tutti i mali del mondo, a parte gli uragani ed i terremoti, siano da attribuire all’America o alle multinazionali – e alle multinazionali americane in particolare. Ma anche gli uragani ed i terremoti, in quanto riconducibili a cambiamenti climatici e smottamenti tettonici causati, rispettivamente, dall’inquinamento delle multinazionali e dagli esperimenti nucleari, sono, forse forse, colpa degli americani pure loro...

Lo sfigavventurista è arrivista... infatti quando si arriva in albergo, in campeggio, in lodge, si precipita per arrivare prima ad accaparrarsi la camera migliore. Ho imparato a farmi dare tutte le chiavi dalla reception e poi distribuirle io. In bus si piazza sul sedile più comodo e se riesce a farla franca occupa quello accanto a lui con lo zaino. I peggiori li incontri in barca, quando sgomitano per infilarsi nella cabina più comoda. Ho imparato a visionare prima io la barca e poi assegnare le cabine, magari con sorteggio.

Lo sfigavventurista è un igienista, infatti durante il viaggio si lava tutte le settimane, ovunque si trovi nel mondo, spesso anche con il sapone e a volte persino con lo shampoo – preferibilmente non prodotto da una multinazionale. Inoltre si cambia la maglietta almeno con la stessa frequenza con cui si lava, per cui non lascia mai che il lezzo del suo sudore si spanda per distanze superiori ai 100-150 metri (in assenza di vento ovvio, ma se c’è vento e questa distanza dovesse aumentare che colpa ne ha lui/lei?).

Lo sfigavventurista è materialista. Lesina a spendere un euro in più per mangiare meglio, o per dormire in un albergo senza pidocchi, ma non esita a sfornare bigliettoni a palate per farsi abbindolare dal primo bancarellaro di turno al "mercatino tradizionale" del paese per portarsi a casa paccottiglia finta, falsa o Made in China.

Però lo sfigavventurista è materialista solo per quanto lo riguarda personalmente, non per gli altri. Quando vede un paese in via di sviluppo che abbandona le stufe a carbone in casa per quelle a gas si dispiace perché si perdono le tradizioni. Quando vede tetti di plastica ondulata sostituiti da tegole si rammarica perché erano così carine. Quando vede case di mattoni dove prima erano di mattoni di fango si dispera perché snaturano il paese.

Quando poi vede antenne paraboliche, lui che a casa guarda la televisione tutti i giorni, si strappa i capelli perché, oltre a deturpare il paesaggio, sono canale per contaminazione culturale dall'Occidente (e soprattutto dagli americani).

Per non parlare delle antenne della rete cellulare: lo sfigavventurista, dopo aver finito di mandare messaggini a casa in Italia, maledice chi ha autorizzato questo stupro della natura, che oltretutto rende i ragazzi dipendenti dal telefonino ed impedisce il contatto diretto tra le persone del villaggio.

30 June 2010

File review: Whatever works (2009), by Woody Allen, *****

Synopsis

Boris Yellnikoff (Larry David, Curb Your Enthusiasm) is angry, opinionated and happy to live a reclusive life. All that changes when he begrudgingly allows naive Mississippi runaway Melodie (Evan Rachel Wood) to live in his apartment. When her simple optimism proves resistant to his bitter sarcasm, an unlikely friendship begins. A comedy from the inspired partnership of Larry David and writer/director Woody Allen.

21 May 2010

Recensione: Storie di New York, di Alessandra Mattanza, ****

Sinossi
Una New York che non si può dimenticare, capace di entrare nel sangue e scendere profondamente nell'anima. Un banchiere sull'orlo di una crisi di nervi, in piena crisi finanziaria, si accorge di aver perso letteralmente la testa. Una fotografa che si nutre della malinconia dell'uomo che ha perduto per sempre. Un romantico medico che spera un giorno di diventare musicista. Una giornalista che finisce per trovare un momento di consolazione in una sconosciuta incontrata sulla lista di Craiglist. E, come loro, tanti altri: anime alla deriva che formicolano tra grattacieli, strade, stanze di appartamenti, salotti , bar, locali e situazioni. Sono tutti, inconsapevolmente, alla ricerca dell'amore. Ma quel sogno, il sogno americano, in fondo non esiste. Una New York reale e attuale, inedita e talvolta sconcertante quella che viene descritta in queste pagine crude e sincere, forse amare, ma incredibilmente vere. Una New York borderline , al limite, uno specchio crudele della crisi di un'intera società, oltre che di un capitalismo economico che sembrava invincibile.

22 April 2010

Book Review: Sailing Around the World, by Lizzi Eordegh and Carlo Auriemma, *****

Synopsis
In 1993, Elisabetta Eordegh and Carlo Auriemma set sail aboard the specially designed Barca Pulita (which translates, literally, as "clean boat") to circumnavigate the world in an attempt to chronicle the last unspoiled natural sites on earth via a journey that made as little impact as possible on the earth and sea. A 44-foot ketch, the boat was equipped with state-of-the-art equipment that made the most of "green" technology, from the clean conversion of energy to the use of special non-toxic varnish...

09 March 2010

Partire, tornare o ...viaggiare? Ali e radici della mia vita fino ad ora.

Vivo a Bruxelles. Perché? Ne parlavo con il mio amico Marco De Andreis, che ci ha vissuto anche lui fino a qualche anno fa. Forse me ne andrò un giorno, ma non sarà, credo proprio, per tornare a Roma come ha fatto lui. Come Marco, anche io detesto Roma quando ci sto. A differenza di lui però, la continuo a detestare anche quando non ci sto.

Quando ci vado mi spazientisco per mille ragioni, e non vedo l'ora di ripartire. Il momento più bello delle mie visite è la corsa in taxi o trenino verso l'aeroporto. Allora mi rilasso, e penso che anche questa volta l'ho sfangata. Bruxelles, si capisce, non ha neanche un centesimo dei tesori d'arte di Roma, e neanche il sole, e neanche i prodotti freschi al mercato a prezzi bassi, e neanche il mare caldo d'estate a pochi chilometri di distanza d'estate, e neanche le montagne per sciare a pochi chilometri di distanza d'inverno e neanche la pajata, l'amatriciana e la coda alla vaccinara.  

E allora? Perché preferirla? Perché Bruxelles è più ordinata, vivibile, culturalmente attivissima, a dimensione d'uomo, e soprattutto cosmopolita quanto Roma è provinciale.

Insomma sono destinato a restare un emigrante per sempre? E perché no?

Ho passato dieci anni negli USA, cominciando con quattro alla School of Foreign Service della Georgetown University dove ho conseguito con la lode una laurea in relazioni internazionali (studiando politica, strategia, economia, diritto internazionali, allora in Italia non esistevano università che se ne occupassero).

Durante quel periodo passai anche alcuni mesi in Polonia, quando c'era il comunismo, e li racconto in questo libro.

A quel punto mi sono convinto che quanto avevo appreso negli States sarebbe stato utile al mio paese (vero) e quindi apprezzato dai miei compatrioti (non sequitur). In Italia, sul piano professionale, ero oggetto di invidia e non di stima e tanto meno di ammirazione.

Andai all'università di Roma per farmi riconoscere il titolo di studio, ma con la mia laurea un arcigno professore della facoltà di Scienze Politiche mi disse che poteva iscrivermi al terzo anno. Cominciamo bene, mi dissi, ma non mollai.

Tornai in USA e dopo sei anni al M.I.T., completai un corso di Dottorato di Ricerca (Ph.D.) in studi strategici (anche questi, allora, non c'erano da noi). Nel frattempo avevo lavorato - cosa che gli studenti universitari in America fanno sempre, anche se non ne hanno bisogno - prima con mansioni più semplici e poi via via come assistente, ricercatore ed infine insegnante.

A 26 anni di età tenevo al M.I.T. il primo corso universitario tutto mio sulla proliferazione nucleare, con nome, cognome e stipendio miei. Mi invitavano a conferenze in tutta America,  pubblicavo i miei primi articoli (con il mio nome e cognome, mai e poi mai un professore si sarebbe sognato di metterci il suo). Già prima di finire il dottorato ero, per così dire, entrato nel giro, e da solo, senza conoscenze, parentele o amicizie con chicchessìa.

Decisi comunque di riprovare in Italia. Non presso l'università pubblica, dove non avevo alcuna speranza di entrare nelle roccaforti del baronato, ma in una fondazione privata. Insistendo molto riuscii ad  intrufolarmi per la porta di servizio nel principale istituto internazionalistico italiano, l'istituto Affari Internazionali, dove imperava ed impera ancora (2010) un'oligarchia ferrea ivi installatasi alla fine degli anni sessanta (sì, sessanta!). Apprezzavano il mio lavoro e mi pagavano benino, ma ero sempre il ragazzo di bottega da tenere, appunto, in bottega, e non il giovane collega da lanciare in pista.

Cercai appigli anche presso altri centri di studio, che però in Italia erano di due tipi: alcuni legati a personalità singole, solitamente geriatriche, anzi direi da museo di storia naturale. Una volta presso una fondazione politica romana intestata a Ugo La Malfa, un dirigente ultra settantenne, ex ministro, mi disse che stava alla loro generazione prendere le decisioni importanti, non ai quarantenni idealisti che pretendono di cambiare il mondo. Non potevo credere alle mie orecchie, ma ci dovevo credere.

Mi veniva da pensare che in realtà il mondo negli ultimi decenni lo hanno cambiato i trentenni se non i venticiquenni: Bill Gates, Steve Jobs, Tim Berners-Lee, Jeff Bezos negli anni ottanta e novanta e Jim Wales, Larry Page, Sergey Brin, Mark Zuckerberg e loro simili più recentemente. Avrei dovuto dirlo al vecchietto ex ministro, ma mi trattenni.

Altri centri studi erano invece legati a filo doppio ai partiti politici, con una loro linea ben precisa di politica estera. Né dai fossili né dagli apparatchiki ebbi mai la possibilità di pubblicare. Qualche volta andai in televisione come “esperto”, ma solo perché avevo un amico alla RAI, non perché qualcuno apprezzasse quello che avevo da dire.

Provai anche presso una prestigiosa università privata di Roma, la LUISS, ma un altro ultra settantenne che teneva corsi nelle mie materie mi offrì un contratto di insegnamento che mi pare si chiamasse "integrativo": in pratica il professore di ruolo decideva il curriculum, faceva un paio di lezioni, restava titolare del corso e prendeva quasi tutti i soldi, mentre io avrei dovuto fare tutto il resto: lezioni, esami, colloqui con gli studenti ecc.

Dovunque ero considerato il “junior”, il ragazzino di bottega. Dopo un po' di anni di questa deprimente trafila ero pronto a ripartire.

Feci un concorso di medio livello per il segretariato internazionale della NATO, lo vinsi e mi trasferii a Bruxelles. Ci passai oltre sette anni e ne fui gratificato, professionalmente ed economicamente, anche se il lavoro col tempo diventava ripetitivo. Poi siccome allora i contratti dei funzionari erano tutti a tempo determinato dopo due rinnovi mi rimisi a cercare. Provai a restare alla NATO. Per superare la routine feci vari concorsi per posti un centimetro più alti di quello che avevo, ma siccome a quel livello la cosa diventava politica, ed io dietro di me avevo un non-paese che non mi sosteneva, non ci riuscii. Mi disturbava vedermi passare davanti stranieri meno capaci di me solo perché i loro governi, i loro ministeri, si davano da fare per sostenerli ed i miei no.

Ebbi comunque varie offerte di lavoro, soprattutto nel settore privato (da tedeschi, americani, perfino indiani, ma mai da italiani) che mi hanno continuato a trattenere qui a Bruxelles. Che non sarà un capolavoro architettonico o urbanistico, ma ci si sposta abbastanza facilmente, si parcheggia ovunque e le macchine si fermano al semaforo rosso e alle strisce pedonali, che puoi attraversare ad occhi chiusi... 

E poi è una città che si trasforma, vive. Molte brutture degli anni sessanta stanno sparendo per dar spazio a moderni palazzi di indubbio gusto e funzionalità. Come del resto vivono e cambiano le grandi città: Parigi, Londra, Berlino, non Roma.

Morale: ho fatto male a lasciare gli States? Professionalmente sì, di sicuro. I miei compagni di università del M.I.T., anche europei, che sono rimasti là, magari diventando cittadini americani, sono professori, amministratori delegati, ambasciatori, direttori di istituti. Ci tornerei? Non credo, non mi piacciono le minestre riscaldate. E poi da “junior” che ero, in quattro e quattr'otto ormai sono diventato un “senior”, anzi di più, insomma troppo vecchio per ricominciare una carriera. Non so come ma non ho mai avuto l'età giusta! 

Non ho figli, che io sappia, ma se ne avessi gli consiglierei di guardarsi bene intorno tous azimouts prima di decidere alcunché. Di imparare svariate lingue straniere. In Italia siamo un disastro con le lingue e la cosa ci danneggia enormemente. E poi di non fermarsi mai troppo tempo nello stesso posto, né geografico né professionale. Di essere curiosi ed avere il coraggio di rischiare ma senza fare i Don Quixote della situazione e meno che mai i Sancho Panza.

Restare per sempre a Bruxelles dunque? Forse, anche se dopo quindici anni si è esaurito un po' l'effetto novità, la curiosità. Ma allora dove? Potendo scegliere, andrei in Asia, in una cultura diversa, ricca, nuova e per questo stimolante, in un paese che si stia costruendo un futuro, possibilmente democratico, e che non viva del fatto che i problemi non si risolvono “si pperò noi c'avemo er Colosseo”. Se avessi uno straccio di spunto, una opportunità lavorativa, una partner, lo farei subito. Tanto la pasta c' 'a pummarola 'n coppa, grazie alla globalizzazione, si trova dovunque. E forse lo farò comunque, anche senza lo spunto. Per invecchiare lì?

Non necessariamente, e qui vengo alle considerazioni finali: si parla tanto di identità, di radici, ma io non sento veramente di averne: sono italiano, ma mi sento anche molto americano, un po' scandinavo, un po' mitteleuropeo. E c'è tanto mondo da godersi nei così pochi anni che ci stiamo. Penso che potrei diventare anche molto indiano o cinese col tempo. In fondo il futuro è in Asia orientale, che piaccia o no.

Per poi magari andare a morire su qualche isola tropicale - tanto oggi c'è internet e di Robison Crusoe non ce ne sono più, e si può fare quasi tutto quasi dappertutto. E meno male.

Più che radici, preferisco avere ali.

28 August 2007

25° g – 28 AGO (2a volta): in volo per Samoa e fine del viaggio

Arrivo a Samoa alle ore 23 dopo il breve volo da Tonga, ma è la sera del ... 27 Agosto perché ho ripassato la linea del cambio della data, ma stavolta verso oriente. Dunque un’ora dopo il mio atterraggio è di nuovo il mattino del 28 Agosto 2007, giornata che mi appresto a rivivere per la seconda volta! Ma questa è tutta un’altra storia....

Ciao Tonga, a presto, sono sicuro che tornerò. Anzi la prossima volta ci potrei restare, questo potrebbe essere un bel posto per venire a finire la vita!

10 August 2007

6° g - 10 AGO: Vava’u – Foe’ata. La storia di Feleti.

Supercolazione alle 9 (Feleti ci ha pregato di non venire a tavola prima!) con uova, bacon, fantastici pancakes fatti al momento, frutta fresca meravigliosa, abbastanza per tirare avanti fino a cena! Infatti lui stesso ci consiglia di non prendere la pensione completa, sarebbe uno spreco, con la mezza pensione saremo più che satolli, ed aveva ragione! Poi ci rassicura, se a metà pomeriggio avete voglia di uno spuntino qualcosa da mettere sotto i denti si trova sempre! Insomma qui a Foe’ata non faremo dieta!!

24 November 2006

Film review: Nose, Iranian Style (2006), by Mehrdad Oskouei, ***

Sinossi
A documentary about why so many people decide to have a nose job in Iran. Most are women, and a beautiful nose is one of the few parts of their body that can be seen in public, hence the necessity to do the most out of it. You can read a description here on IMDb.

Review
Interesting series of interviews. The director asked lots of people, men and women, young and not so young, why they wanted a new nose and what it did for them. What emerges is the portrait of many people very insecure about themselves. Of course nose jobs are done the world over for this same reason, but the numbers in Iran seem to be very high. Quite a few very good looking girls who decide to have the operation, in my opionion, do so under social pressure (many say it will make it easier to find a husband) but would not really need it at all.



Here on Youtube you can see the film with English subtitles. Unfortuntely I can not find a place to buy the DVD online.

Part 1 and part 2 (without subtitles)

31 January 2005

Risquer

Rire, c'est risquer de paraître idiot.
Pleurer, c'est risquer de paraître sentimental.
Aller vers quelqu'un, c'est risquer de s'engager.
Exposer ses sentiments, c'est risquer d'exposer son moi profond.
Présenter ses idées, ses rêves à la foule, c'est risquer de les perdre.
Aimer, c'est risquer de ne pas être aimé en retour.

Vivre, c'est risquer de mourir.
Espérer, c'est risquer de désespérer.
Essayer, c'est risquer d'échouer.

Mais il faut prendre des risques car le plus grand danger de la vie, c'est de ne rien risquer du tout.

Celui qui ne risque rien, ne fait rien, n'est rien ! Il peut éviter la souffrance et la tristesse, mais il n'apprend rien, ne ressent rien, ne peut ni changer, ni se développer, ne peut aimer, ni vivre. Enchaîné par sa certitude, il devient esclave, il abandonne la liberté.

Seuls ceux qui risquent sont libres.

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J'ai reçu cette poème de Annick, la mère de Brigitte de Clercq, fondatrice du Cercle des Voyageurs à Bruxelles, et décédée il y a quelques jours en Afrique.

27 August 2004

Recensione/Book Review: "Un indovino mi disse/A fortune teller told me", di Tiziano Terzani, ****

English review below

Sinossi

Nel 1976 un indovino cinese avverte Tiziano Terzani, corrispondente dello "Spiegel" dall'Asia: "Attento. Nel 1993 corri un gran rischio di morire. In quell'anno non volare mai". Anni dopo gli torna in mente quella profezia e la vede come un'occasione per guardare il mondo con occhi nuovi. Decide di non prendere aerei per un anno, senza rinunciare al suo mestiere. Il risultato di quell'esperienza è un libro che è insieme romanzo d'avventura, autobiografia, racconto di viaggio e reportage.


07 July 2004

Recensione: Addio Eden(2002), di Ambrogio Borsani, *****

Sinossi

Ambrogio Borsani è andato alle isole Marchesi per ricostruire la storia di grandi anime alla deriva nei Mari del Sud. Il viaggio è un racconto appassionante che sovrappone storie passate e vicende contemporanee. Eroi indigeni, grandi navigatori, conquistatori spietati, balenieri in fuga e avventurieri in cerca dell'impossibile, della felicità qui e ora. Tutti si muovono su scenari di sconvolgente bellezza, dove la natura parla ancora il linguaggio delle origini dell'uomo.


13 September 2003

Book Review: Not Without My Daughter, by Betty Mahmoody, *****

Synopsis
'You are here for the rest of your life. Do you understand? You are not leaving Iran. You are here until you die.'

Betty Mahmoody and her husband, Dr Sayyed Bozorg Mahmoody ('Moody'), came to Iran from the USA to meet Moody's family. With them was their four-year-old daughter, Mahtob. Appalled by the squalor of their living conditions, horrified by what she saw of a country where women are merely chattels and Westerners are despised, Betty soon became desperate to return to the States. But Moody, and his often vicious family, had other plans. Mother and daughter became prisoners of an alien culture, hostages of an increasingly tyrannical and violent man.

11 January 2003

25° g - 11 GEN: Pune e rientro a Mumbai

A Pune convivono, letteralmente fianco a fianco, negli stessi quartieri, bidonville puzzolenti e condomini sfavillanti, ricoveri per bovini randagi e grattacieli di acciaio e cristallo dentro ai quali lavorano migliaia tra i più sofisticati esperti di informatica del mondo!

Qui è stato tenuto prigioniero Gandhi. Ho visitato con una certa emozione l'importante memoriale. Credo che se vedesse l'India di oggi sarebbe molto preoccupato, ma forse ancora speranzoso.

Casa di Jaideep è tipica espressione della emergente classe media indiana, appartamento moderno, dotato di tutto, senza lusso ma comodo e funzionale. Il comprensorio è dotato di parcheggi che sono pieni di auto di categorie media e alta, nuove di zecca, piscina, campi da tennis.

Lui se la passa bene, dopo aver fatto l'università in America è tornato, si è sposato con una brillante architetta presentatagli dal padre, come ancora si usa. Però ci tiene a sottolineare che sono stati solo presentati dalle rispettive famiglie, e non obbligati a sposarsi.

Ovviamente sono entrambi Bramini, stessa casta e sottocasta. L'appartenenza alla stessa casta è ancora un fattore importante nello scegliere un partner di vita, anche se meno di prima.

Jaideep e Sharmila pensano che ai loro figli non importerà molto e loro non faranno pressione. Panta rei? Chissà? Son migliaia di anni che si accoppiano per casta, ma forse è ora di cambiare. Hanno un figlio ed una figlia e son contenti così. In India c’è ancora il problema degli aborti selettivi perché le coppie preferiscono figli maschi, ed il governo ha vietato di fare l'ecografia per capire il sesso del nascituro!

A proposito di usanze tradizionali, mi dicono che il sati, immolazione rituale della moglie quando muore il marito, è ovviamente scomparso come pratica corrente ma ogni tanto, forse una o due volte l'anno, se ne sentono ancora, soprattutto nel Rajasthan.

Nonostante siano Bramini non sono vegetariani. Anzi mangiano anche carne bovina, ma non in India perché siccome se ne consuma poca hanno paura che non sia fresca.

Loro sono entrambi bengalesi, e tra di loro parlano prevalentemente bengalese, ma con i figli che vanno a scuola a Pune prevale il Marathi. Tutti parlano Hindi che però è usato soprattutto in occasioni ufficiali, e alla fine in casa si sente anche molto inglese.

La convivenza di coppie non sposate è ancora molto rara in India, ma comincia ad essere accettata nelle città e nelle famiglie più moderne.

Sharmila e Jaideep vestono all'occidentale. Lei mi dice che ama i sari tradizionali ma li indossa solo in occasioni importanti, è troppo scomodo.

Moltissimi indiani e indiane, anche giovani moderni che hanno studiato all'estero, arrivano vergini al matrimonio. È considerato normale, anche per gli uomini, e svariate persone che ho incontrato in questo viaggio non hanno avuto nessuna difficoltà a dirmi che quella era stata la loro esperienza.

Adesso Jaideep sta facendo una rapida carriera in una azienda di sviluppo di software, anzi mi propone di collaborare per cercare nuovi clienti in Europa.

Hanno due donne di servizio che vengono tutti i giorni a pulire e cucinare (costo: circa 200 euro al mese ciascuna), ed un autista per portare Jaideep in ufficio e sbrigare commissioni varie. Però oggi chissà perché non cucinano.

Per cena Jaideep organizza un takeout. Portiamo la cena calda a casa e mangiamo subito sul grande tavolo. Con le mani naturalmente. In sala da pranzo c’è anche un lavandino con sapone per lavarsi le mani immediatamente dopo mangiato senza andare in giro con salse varie che grondano dalle dita. Molto pratico.

Tutto intorno a questo bel quadretto dell'India emergente però baraccopoli, bufali affamati che mangiano immondizia, fango, migranti senzatetto in cerca di un lavoro. Facciamo una passeggiata e Jaideep mi fa notare come gli spazi pubblici siano trasandati, sgarrupati, mentre quelli privati sono curati, puliti.

Questo sarà un ritornello nelle nostre conversazioni, lui è molto convinto della necessità di liberare le energie del settore privato per lanciare il paese. Io sono d'accordo anche se ci sono enormi problemi di diseguaglianze che solo il governo può mitigare. Ma questo è un altro ritornello, qui come un po’ in tutto il mondo.

Nel tardo pomeriggio rientro a Mumbai, sono meno di 200 km, il collegamento aereo dura solo 30 minuti (55 dollari solo andata) ma non avendo fretta ho preso il taxi collettivo che ci mette tre ore (bottiglia di acqua purificata in omaggio!) e costa 450 Rp.

Appuntamento in aeroporto a notte fonda ed imbarco senza problemi con la fedelissima Royal Jordanian per Amman; stavolta il bagagliaio è ben chiuso!

Sull'aereo della Jordanian i monitor delle TV indicano sempre la direzione della Mecca, anche se non ho mai visto nessuno pregare.

Ad Amman noto con curiosità che le molte ufficialesse al controllo di sicurezza sono tutte a testa coperta da veli solitamente neri. Al contrario, le commesse e le cassiere dei negozi non hanno mai il velo, anzi sono acconciate in modo decisamente accattivante.

Mi viene da pensare come l'Islam sia stato, nei secoli, la cerniera tra Europa ed India. Tra poco siamo a casa.

Anche questo mio terzo viaggio in India è finito, ma più ci vengo e più so che ci tornerò!

07 January 2003

21° g - 7 GEN: aereo per Goa, visita di Panjim

Lascio l'alberto prestissimo e prendo un taxi per l'aeroporto che è ancora buio. Attraversiamo baraccopoli periferiche, case di lamiera, di legno, di ondulato plastico. Ho letto che in qualche caso usano anche pannelli di amianto arrivati chissà come dall'occidente, qui fanno meno caso ai materiali pericolosi.

L'aeroporto per i voli nazionali è un po' sgarrupato ma funzionale. Molti cartelli mi intimano di non fotografare. Un facchino con un cartellino identificativo sbiadito, illegibile direi, mi prende il bagaglio dal bagagliaio del taxi prima che io possa rendermene conto. Mi accompagna al banco dell'accettazione, una cinquantina di metri scarsi più avanti, e gli do 10 rupie. Non gli sta bene, ne vuole 50. Gliene allungo altre 10 per togliermelo di torno.

01 October 2002

Why travel: country collectors, eternal romantics and modernizers

I believe that a journey, like a work of art, should ideally be either enjoyable or interesting – and preferably both. But if traveling is neither enjoyable nor interesting, why bother? Better stay home, unless one is forced to travel unwillingly by some sort of force majeure, like business, natural calamities or war.


If a work of art neither appeals to aesthetic taste, nor conveys any message, the viewer probably will not remember it for long, and will not make an effort to go see it again. On the other hand, if a work of art is considered by a viewer to be beautiful, he or she might wish to buy it if that is an option, or to see it again in a museum, even if it does not carry any particular message with it. Likewise, if a work of art is not really beautiful, but does convey a philosophical, religious, political or any other type of message, it will be worthwhile to study it, maybe buy it, and anyway retain it in our memory and go back to it for future reference.


Much in the same way, travel makes sense if it gives pleasure to the traveler (or explorer, or tourist, I will not get into what is the difference between them here) even if one does not learn much – say a trip to Disneyland. However, travel might be just as worthwhile, and arguably more so, if one learns from it, even if it means going to places which are not especially beautiful or enjoyable to visit – say a tour of a war zone.


In an ideal journey, in my view, one would both enjoy beauty and find interest. My journey to Cambodia and Laos, which constitutes the object of this book, definitely falls into this third category of travel. These countries host absolute natural splendors and sophisticated cultural and artistic traditions. But they also reveal many patterns and problems of modern development, some of which are unique, while others might be applicable to other developing countries around the world.


There are three categories of people who choose to travel to distant, exotic, and often poor places like Cambodia and Laos. Each has perfectly legitimate reasons to travel and it is not my intention to criticize any of them. It might be useful, however, to describe these different approaches.


The first group I would call the country collectors. Though they may not admit it, they go to these countries with the same mental attitude they have when visiting an exhibit, a zoo, or Disneyland. The are curious, but not really interested. They hear the sounds of a country, but do not listen; the see the sights, but do not really look carefully at much.They like ticking countries off their checklist, one year in Laos, the next in Guatemala, then on to in Central Africa. They enjoy travelling but have no real drive to even begin to understand. At most, they will go on some shopping spree, to bring home the modern equivalent of the trophies of old, such as some fine cloth or funny clothes, a cute artifact or possibly some piece of antiquity which is often all the more exciting as it is usually forbidden to take it out of the country.


There is nothing wrong per se with this group. However, people belonging to it are unlikely to be interested in this book, and while as the author I hope some will buy it anyway I think there is little hope they would get much out of it. I would love nothing more, of course, than to be proven wrong here! Well, perhaps they can pass it on to some of their friends who belong to one of the two other groups!


The second group is made up of what I would call the eternal romantics. They like distant, mysterious places almost by definition, before even setting foot on their soil. This is especially true of poor countries where subsistence agriculture is a major component of the economy. When they get there, they fall in love with almost everything they see, and tend to blame any obvious problem they witness (poverty, illiteracy, disease, etc.) either on past colonial rule or on current World Bank driven and inevitably ill-conceived development projects, ruthless Western big-business greed, male-dominated globalizing influences – or on all of the above.


Ah! if only these people had been left alone to mind their own business and live life at their own pace, they way they had always done it, how much better off they would be, the romantics think. When they see an illiterate child playing in the mud, or an open sewer in a malaria infested jungle village, they think it is sooooo beautiful, take a picture, perhaps dispense a pen or a candy here and there, try to establish some sort of communication to prove the happiness of their interlocutors and move on. When they see an ox-driven plow their eyes brighten, it is something they instinctively think is good, genuine, authentic, traditional and that should be preserved. By contrast, when they see a tractor, their shoulders drop in resignation, this is the local culture and civilization being spoilt by careless Western interference, and being lost forever.


The eternal romantics tend to see the glass always half empty, and fear that, as history keeps drinking at it, it will soon be completely empty. They are at heart conservatives (though few would accept to characterize themselves as such, except perhaps in the strictly environmental sense of conserving nature), their main desire being to slow down the pace of change, to preserve tous cours what is old and traditional. They would rather see a developing country sealed off to foreign trade, investment, advise and tourism than being influenced – they would say "spoiled" – by any of them. They always regret that after opening to the outside world the country in question will never be the same again. In this, of course, they are right, it won’t. The question is: will it be better off or worse off? The eternal romantics assume the latter, but they do not always have a strong case.


In reality, idealizing the past and hoping it will come back is just not good enough, especially in developing countries. In the history of western civilizations, romantics have produced great literature and art, but rarely useful policy-oriented ideas, and I fear the same applies when present day romantic travelers. Again, there is nothing wrong with romantics except for the fact that they are much better at nostalgically regretting or recriminating than they can ever be at proposing better alternatives to the reality they do not approve of. Because of this attitude, eternal romantics are often unable to enjoy travel, as they more often than not suffer at seeing the places they visit losing their old “true” nature and acquiring new, foreign traits.


I would call the third group of travelers the modernizers. They see the glass as half full and think history is always pouring more water to fill it up but are never satisfied that it does so fast enough. Modernizers are usually critical of the status quo they witness in the countries they visit – as well as what they leave behind in their own. They see international contacs, be they scientific, economic, political, or at the personal level, as a way to exchange experiences and improve everyone's lot. They see international tourism playing an important role in these exchanges as one of several ways in which countries can benefit from knowing each other a bit better.


The problem with the modernizers is that, as they work for their ultimate goal of open international communication, they often pay too little attention to where each individual countries is starting from and what specific circumstances might require their balanced development not to emulate the experience of others but to acquire tailor-made approaches of their own. Like the eternal romantics, but for opposite reasons, the modernizers are rarely pleased with the half-full glass, and as a result suffer during their travel at what they perceive to be an endless string of missed opportunities for improvement.


The aim of this book is to tell the story of that journey through my eyes of eclectic traveller, critical political scientist and avid photographer. I will try to convey both what was beautiful and what was interesting.


I hope this book will appeal to the eternal romantics as well as to the modernizers. Both groups might find stimulus for further developing their own thoughts. I do not expect these readers to agree with all of my impressions and assessments. Indeed, I would be worried to hear that anyone does. I will have been successful if during this virtual trip through to the last page the reader is stimulated to share some of my enjoyment, to think through some of the issues I raise, to do some additional reading and, most importantly, to travel to Cambodia and Laos.


As a political scientist, I have learned to beware of situations in which everyone agrees. Free thinking, the basis for democracy (which Winston Churchill brilliantly characterized as the worst political system except all the others) needs civilized polemical confrontation like fish need water. Just so the reader knows where I am coming from – it is only fair – I tend to fall among the modernizers myself, though on occasion I find myself in agreement with the eternal romantics. I do not think I really fit the profile of the country collector, though I must concede that sometimes they seem to be the ones who seem to have the best time traveling, and that is also a lesson to be learned. 

04 March 2001

Book Review: A Trip to the Beach: Living on Island Time in the Caribbean, by Melinda and Robert Blanchard, *****

Synopsis

A Trip to the Beach is about the maddening, exhausting and exhilarating challenges Melinda and Robert Blanchard faced while trying to live the simple life after moving to Anguilla to start a restaurant - and the incredible joy when they somehow pulled it off. As their cooking begins to draw 4-star reviews, the Blanchards and their kitchen staff - Clinton and Ozzie, the dancing sous-chefs; Shabby, the master lobster-wrangler; Bug, the dish-washing comedian - come together like a crack drill team. Anyone who's ever dreamed of running away to start a new life on a sun-drenched island will find the Blanchards' seductive, funny tale of pandemonium and bliss unforgettable.