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05 June 2011

Lo sfigavventurista

Viaggiare non serve tanto a scoprire nuovi paesi, scrisse una volta Proust, ma a cambiare il modo con il quale si guarda al proprio. Ed è proprio vero, nei miei viaggi ho avuto modo di conoscere l’Italia, anzi gli Italiani, come mai mi era capitato prima, sia perché in Italia avevo vissuto sempre e solo a Roma, sia perché ho passato gran parte della mia vita all’estero.

Per questo motivo ho fatto per anni l'accompagnatore di gruppi di turisti italiani.

Infatti, un pregio impagabile di viaggiare con gruppi di italiani è che essi fungono da grande pentolone, dove si fondono le realtà più disparate del nostro belpaese, un vero “melting pot” direbbero in America. Nei miei gruppi ho avuto la fortuna di dividere camere, bus, jeep, tuk tuk, risciò a pedali, aeroplani, piroghe, e naturalmente tavolate imbandite con partecipanti provenienti da quasi tutta Italia, di tutte le età, delle professioni e mestieri più disparati, con retaggi culturali e sociali diversissimi fra di loro. Questo mi ha arricchito forse quanto aver conosciuto i paesi che ho visitato.

Purtroppo però, i gruppi di italiani sono spesso anche un ricettacolo per annoiati, separati, stufati, mollati, scaricati, e sfigati vari che ricorrono al gruppo perché gli è venuta a mancare la fonte di sostegno primario nella vita di coppia, o in famiglia, e non sanno o non vogliono organizzarsi viaggi per conto proprio, o che comunque sperano di trovare nel gruppo quanto serve a sostituire il sostegno perduto altrove.

Questo tentativo patetico trasforma il curioso viaggiatore in un ridicolo avventurista, sfigatello, tristanzuolo, un po’ depresso forse e qualche volta, a seconda dei casi, anche un po’ irascibile... uno sfigavventurista! Questo è stato, in parte, anche il mio caso personale, dunque con cognizione di causa esorto noi tutti a voce alta... siamo viaggiatori, non sfigavventuristi! Lo svigavventurismo: se lo conosci, lo eviti; dunque, cerchiamo di capire di cosa si tratti.

Com’è fatto uno/una sfigavventurista? Proviamo a descriverne le caratteristiche fondamentali, sono sicuro che ne avrete incontrati nei vostri gruppi. Non importa da quale parte d’Italia venga, che età abbia, o che professione eserciti, ci sono caratteristiche comuni che rendono giuristi e garagisti, analisti e anestesisti, commercialisti e camionisti, psicanalisti e parquettisti, estetisti ed elettricisti... semplicemente sfigavventuristi!

Lo sfigavventurista è innanzitutto un esteta, infatti trova sempre l’aggettivo giusto per definire le caratteristiche dell’oggetto del suo osservare, che sia esso un complesso architettonico o archeologico (“bello!”), un bambino denutrito che si rotola nel fango (“bellissimo!”), un tramonto infuocato (“molto bello!”), un cane randagio che gli lecca le scarpe (“bellino!”), uno spettacolo di danza folklorica (“bello bello bello!!!”).

Lo sfigavventurista è animalista, dunque vuole che gli animali siano sempre trattati bene. Si oppone quindi fermamente alla caccia ed alla pesca (poi però si mangia carne e pesce, nonché ovviamente le uova) e crede fermamente che tutte le vite degli animali debbano essere rispettate (poi però stermina senza pietà zanzare, bacarozzi, ragni e quant’altri animali, soprattutto quelli che hanno avuto la sventura di essere poco valorizzati da Walt Disney nei cartoni animati, si cerchino onestamente di procacciare il cibo nei suoi paraggi o sulla sua cute). Questo nei casi migliori, un po’ di ipocrisia ma alla fine il buon senso prevale.

Nei casi peggiori lo sfigavventurista vorrebbe salvare la vita non solo agli scarafaggi che si aggirano nei suoi bagagli o alle mosche che banchettano sul suo panino, ma anche ai parassiti più pericolosi come come per esempio le locuste che a miliardi divoravano

Lo sfigavventurista è politicamente impegnato, è un idealista; spesso, è comunista. Oppure è stato comunista in passato, o simpatizza in qualche modo con i comunisti, o quantomeno pensa che il comunismo non sia stato una delle più grandi sciagure che abbiano afflitto l’umanità (come pensano quasi tutti i poveretti nei cui paesi è stato sperimentato), ma semplicemente che non sia stato ancora messo in pratica come si deve, ma che un giorno sicuramente lo sarà, magari in Italia. A Cuba, in due settimane, avendo chiacchierato con decine di persone, non ho incontrato neanche un comunista cubano, ma in compenso ne avevo tre o quattro italiani nel gruppo che accompagnavo.

Come corollario di questo credo, lo sfigavventurista pensa che tutti i mali del mondo, a parte gli uragani ed i terremoti, siano da attribuire all’America o alle multinazionali – e alle multinazionali americane in particolare. Ma anche gli uragani ed i terremoti, in quanto riconducibili a cambiamenti climatici e smottamenti tettonici causati, rispettivamente, dall’inquinamento delle multinazionali e dagli esperimenti nucleari, sono, forse forse, colpa degli americani pure loro...

Lo sfigavventurista è arrivista... infatti quando si arriva in albergo, in campeggio, in lodge, si precipita per arrivare prima ad accaparrarsi la camera migliore. Ho imparato a farmi dare tutte le chiavi dalla reception e poi distribuirle io. In bus si piazza sul sedile più comodo e se riesce a farla franca occupa quello accanto a lui con lo zaino. I peggiori li incontri in barca, quando sgomitano per infilarsi nella cabina più comoda. Ho imparato a visionare prima io la barca e poi assegnare le cabine, magari con sorteggio.

Lo sfigavventurista è un igienista, infatti durante il viaggio si lava tutte le settimane, ovunque si trovi nel mondo, spesso anche con il sapone e a volte persino con lo shampoo – preferibilmente non prodotto da una multinazionale. Inoltre si cambia la maglietta almeno con la stessa frequenza con cui si lava, per cui non lascia mai che il lezzo del suo sudore si spanda per distanze superiori ai 100-150 metri (in assenza di vento ovvio, ma se c’è vento e questa distanza dovesse aumentare che colpa ne ha lui/lei?).

Lo sfigavventurista è materialista. Lesina a spendere un euro in più per mangiare meglio, o per dormire in un albergo senza pidocchi, ma non esita a sfornare bigliettoni a palate per farsi abbindolare dal primo bancarellaro di turno al "mercatino tradizionale" del paese per portarsi a casa paccottiglia finta, falsa o Made in China.

Però lo sfigavventurista è materialista solo per quanto lo riguarda personalmente, non per gli altri. Quando vede un paese in via di sviluppo che abbandona le stufe a carbone in casa per quelle a gas si dispiace perché si perdono le tradizioni. Quando vede tetti di plastica ondulata sostituiti da tegole si rammarica perché erano così carine. Quando vede case di mattoni dove prima erano di mattoni di fango si dispera perché snaturano il paese.

Quando poi vede antenne paraboliche, lui che a casa guarda la televisione tutti i giorni, si strappa i capelli perché, oltre a deturpare il paesaggio, sono canale per contaminazione culturale dall'Occidente (e soprattutto dagli americani).

Per non parlare delle antenne della rete cellulare: lo sfigavventurista, dopo aver finito di mandare messaggini a casa in Italia, maledice chi ha autorizzato questo stupro della natura, che oltretutto rende i ragazzi dipendenti dal telefonino ed impedisce il contatto diretto tra le persone del villaggio.

23 September 2010

Recensione: Filippo Tommaso Marinetti. Invenzioni, avventure e passioni di un rivoluzionario (2010), di Giordano Bruno Guerri, *****

Sinossi

Dopo il Rinascimento, la creazione culturale italiana più originale e importante è stata il futurismo: avanguardia di tutte le avanguardie del Novecento, ha cambiato per sempre il modo di intendere l'arte e il rapporto arte-società. Da non molto la critica ha cominciato a riconoscere la forza dirompente di questo movimento che nel 2009, centenario del Manifesto, ha avuto la sua apoteosi, in un diluvio di mostre, studi e celebrazioni. Eppure si continua a trascurare la figura e l'opera del geniale inventore del futurismo. Filippo Tommaso Marinetti ebbe una vita affascinante di artista e rivoluzionario.

Lancio del manifesto futurista su Le Figaro, 1909
Nato nel 1876 a Alessandria d'Egitto, fu poeta, editore, romanziere, saggista, oltre che uno straordinario provocatore, dissacratore e motore di cultura, in ogni ambito. La sua capacità di scoprire e suscitare talenti non ha pari. Per sostenere il futurismo, disperse il patrimonio di famiglia, ma una sua caratteristica peculiare fu essere un uomo felice, cui non venne mai meno l'entusiasmo. Seduttore dalle mille avventure, ebbe un lungo e appassionato matrimonio con Benedetta, pittrice e scrittrice futurista. Fra i tanti luoghi comuni che questo libro smentisce c'è quello del "disprezzo della donna", che in realtà Marinetti voleva emancipare fino a metterla alla pari dell'uomo. In politica fu sostanzialmente un anarchico: anche nello stesso pensiero anarchico, perché considerava la Patria più importante della libertà.


09 March 2010

Partire, tornare o ...viaggiare? Ali e radici della mia vita fino ad ora.

Vivo a Bruxelles. Perché? Ne parlavo con il mio amico Marco De Andreis, che ci ha vissuto anche lui fino a qualche anno fa. Forse me ne andrò un giorno, ma non sarà, credo proprio, per tornare a Roma come ha fatto lui. Come Marco, anche io detesto Roma quando ci sto. A differenza di lui però, la continuo a detestare anche quando non ci sto.

Quando ci vado mi spazientisco per mille ragioni, e non vedo l'ora di ripartire. Il momento più bello delle mie visite è la corsa in taxi o trenino verso l'aeroporto. Allora mi rilasso, e penso che anche questa volta l'ho sfangata. Bruxelles, si capisce, non ha neanche un centesimo dei tesori d'arte di Roma, e neanche il sole, e neanche i prodotti freschi al mercato a prezzi bassi, e neanche il mare caldo d'estate a pochi chilometri di distanza d'estate, e neanche le montagne per sciare a pochi chilometri di distanza d'inverno e neanche la pajata, l'amatriciana e la coda alla vaccinara.  

E allora? Perché preferirla? Perché Bruxelles è più ordinata, vivibile, culturalmente attivissima, a dimensione d'uomo, e soprattutto cosmopolita quanto Roma è provinciale.

Insomma sono destinato a restare un emigrante per sempre? E perché no?

Ho passato dieci anni negli USA, cominciando con quattro alla School of Foreign Service della Georgetown University dove ho conseguito con la lode una laurea in relazioni internazionali (studiando politica, strategia, economia, diritto internazionali, allora in Italia non esistevano università che se ne occupassero).

Durante quel periodo passai anche alcuni mesi in Polonia, quando c'era il comunismo, e li racconto in questo libro.

A quel punto mi sono convinto che quanto avevo appreso negli States sarebbe stato utile al mio paese (vero) e quindi apprezzato dai miei compatrioti (non sequitur). In Italia, sul piano professionale, ero oggetto di invidia e non di stima e tanto meno di ammirazione.

Andai all'università di Roma per farmi riconoscere il titolo di studio, ma con la mia laurea un arcigno professore della facoltà di Scienze Politiche mi disse che poteva iscrivermi al terzo anno. Cominciamo bene, mi dissi, ma non mollai.

Tornai in USA e dopo sei anni al M.I.T., completai un corso di Dottorato di Ricerca (Ph.D.) in studi strategici (anche questi, allora, non c'erano da noi). Nel frattempo avevo lavorato - cosa che gli studenti universitari in America fanno sempre, anche se non ne hanno bisogno - prima con mansioni più semplici e poi via via come assistente, ricercatore ed infine insegnante.

A 26 anni di età tenevo al M.I.T. il primo corso universitario tutto mio sulla proliferazione nucleare, con nome, cognome e stipendio miei. Mi invitavano a conferenze in tutta America,  pubblicavo i miei primi articoli (con il mio nome e cognome, mai e poi mai un professore si sarebbe sognato di metterci il suo). Già prima di finire il dottorato ero, per così dire, entrato nel giro, e da solo, senza conoscenze, parentele o amicizie con chicchessìa.

Decisi comunque di riprovare in Italia. Non presso l'università pubblica, dove non avevo alcuna speranza di entrare nelle roccaforti del baronato, ma in una fondazione privata. Insistendo molto riuscii ad  intrufolarmi per la porta di servizio nel principale istituto internazionalistico italiano, l'istituto Affari Internazionali, dove imperava ed impera ancora (2010) un'oligarchia ferrea ivi installatasi alla fine degli anni sessanta (sì, sessanta!). Apprezzavano il mio lavoro e mi pagavano benino, ma ero sempre il ragazzo di bottega da tenere, appunto, in bottega, e non il giovane collega da lanciare in pista.

Cercai appigli anche presso altri centri di studio, che però in Italia erano di due tipi: alcuni legati a personalità singole, solitamente geriatriche, anzi direi da museo di storia naturale. Una volta presso una fondazione politica romana intestata a Ugo La Malfa, un dirigente ultra settantenne, ex ministro, mi disse che stava alla loro generazione prendere le decisioni importanti, non ai quarantenni idealisti che pretendono di cambiare il mondo. Non potevo credere alle mie orecchie, ma ci dovevo credere.

Mi veniva da pensare che in realtà il mondo negli ultimi decenni lo hanno cambiato i trentenni se non i venticiquenni: Bill Gates, Steve Jobs, Tim Berners-Lee, Jeff Bezos negli anni ottanta e novanta e Jim Wales, Larry Page, Sergey Brin, Mark Zuckerberg e loro simili più recentemente. Avrei dovuto dirlo al vecchietto ex ministro, ma mi trattenni.

Altri centri studi erano invece legati a filo doppio ai partiti politici, con una loro linea ben precisa di politica estera. Né dai fossili né dagli apparatchiki ebbi mai la possibilità di pubblicare. Qualche volta andai in televisione come “esperto”, ma solo perché avevo un amico alla RAI, non perché qualcuno apprezzasse quello che avevo da dire.

Provai anche presso una prestigiosa università privata di Roma, la LUISS, ma un altro ultra settantenne che teneva corsi nelle mie materie mi offrì un contratto di insegnamento che mi pare si chiamasse "integrativo": in pratica il professore di ruolo decideva il curriculum, faceva un paio di lezioni, restava titolare del corso e prendeva quasi tutti i soldi, mentre io avrei dovuto fare tutto il resto: lezioni, esami, colloqui con gli studenti ecc.

Dovunque ero considerato il “junior”, il ragazzino di bottega. Dopo un po' di anni di questa deprimente trafila ero pronto a ripartire.

Feci un concorso di medio livello per il segretariato internazionale della NATO, lo vinsi e mi trasferii a Bruxelles. Ci passai oltre sette anni e ne fui gratificato, professionalmente ed economicamente, anche se il lavoro col tempo diventava ripetitivo. Poi siccome allora i contratti dei funzionari erano tutti a tempo determinato dopo due rinnovi mi rimisi a cercare. Provai a restare alla NATO. Per superare la routine feci vari concorsi per posti un centimetro più alti di quello che avevo, ma siccome a quel livello la cosa diventava politica, ed io dietro di me avevo un non-paese che non mi sosteneva, non ci riuscii. Mi disturbava vedermi passare davanti stranieri meno capaci di me solo perché i loro governi, i loro ministeri, si davano da fare per sostenerli ed i miei no.

Ebbi comunque varie offerte di lavoro, soprattutto nel settore privato (da tedeschi, americani, perfino indiani, ma mai da italiani) che mi hanno continuato a trattenere qui a Bruxelles. Che non sarà un capolavoro architettonico o urbanistico, ma ci si sposta abbastanza facilmente, si parcheggia ovunque e le macchine si fermano al semaforo rosso e alle strisce pedonali, che puoi attraversare ad occhi chiusi... 

E poi è una città che si trasforma, vive. Molte brutture degli anni sessanta stanno sparendo per dar spazio a moderni palazzi di indubbio gusto e funzionalità. Come del resto vivono e cambiano le grandi città: Parigi, Londra, Berlino, non Roma.

Morale: ho fatto male a lasciare gli States? Professionalmente sì, di sicuro. I miei compagni di università del M.I.T., anche europei, che sono rimasti là, magari diventando cittadini americani, sono professori, amministratori delegati, ambasciatori, direttori di istituti. Ci tornerei? Non credo, non mi piacciono le minestre riscaldate. E poi da “junior” che ero, in quattro e quattr'otto ormai sono diventato un “senior”, anzi di più, insomma troppo vecchio per ricominciare una carriera. Non so come ma non ho mai avuto l'età giusta! 

Non ho figli, che io sappia, ma se ne avessi gli consiglierei di guardarsi bene intorno tous azimouts prima di decidere alcunché. Di imparare svariate lingue straniere. In Italia siamo un disastro con le lingue e la cosa ci danneggia enormemente. E poi di non fermarsi mai troppo tempo nello stesso posto, né geografico né professionale. Di essere curiosi ed avere il coraggio di rischiare ma senza fare i Don Quixote della situazione e meno che mai i Sancho Panza.

Restare per sempre a Bruxelles dunque? Forse, anche se dopo quindici anni si è esaurito un po' l'effetto novità, la curiosità. Ma allora dove? Potendo scegliere, andrei in Asia, in una cultura diversa, ricca, nuova e per questo stimolante, in un paese che si stia costruendo un futuro, possibilmente democratico, e che non viva del fatto che i problemi non si risolvono “si pperò noi c'avemo er Colosseo”. Se avessi uno straccio di spunto, una opportunità lavorativa, una partner, lo farei subito. Tanto la pasta c' 'a pummarola 'n coppa, grazie alla globalizzazione, si trova dovunque. E forse lo farò comunque, anche senza lo spunto. Per invecchiare lì?

Non necessariamente, e qui vengo alle considerazioni finali: si parla tanto di identità, di radici, ma io non sento veramente di averne: sono italiano, ma mi sento anche molto americano, un po' scandinavo, un po' mitteleuropeo. E c'è tanto mondo da godersi nei così pochi anni che ci stiamo. Penso che potrei diventare anche molto indiano o cinese col tempo. In fondo il futuro è in Asia orientale, che piaccia o no.

Per poi magari andare a morire su qualche isola tropicale - tanto oggi c'è internet e di Robison Crusoe non ce ne sono più, e si può fare quasi tutto quasi dappertutto. E meno male.

Più che radici, preferisco avere ali.

15 November 2009

Concert: Sacrificium, by Cecilia Bartoli, *****

Today I went to listen to Cecilia Bartoli at the Brussels Bozar. One of the most powerful voices on the planet. This project is about XVIII century music written for "castrati", young males who were castrated before puberty to keep their voices from maturing into full male voices.

A stunning performance, she can not just sing but enthrall the crowd to with her flamboyant personality. She was clearly having fun! I was lucky enough to find a ticket close enough to her to feel my bones vibrate at her seemingly endless warble. Her technical virtuosity is almost painful to hear, one keeps wondering how she can keep going so long, so powerfully and so well without breathing. The concert hall was shaking. She sounds supernatural. Maybe she is. I think "Eyebags" put it very well here in this blog.

13 November 2009

Recensione film: Dallo Zolfo al Carbone (2008), di Luca Vullo, *****

Sinossi

La storia e le sofferenze degli emigranti siciliani in Belgio che il giovane regista Luca Vullo ha voluto raccontare in Dallo zolfo al carbone, documentario di 53 minuti che prende spunto dal Patto Italo-Belga del 1946, accordo firmato dal primo Presidente della Repubblica Luigi Einaudi che con questa astuta mossa assicurava non solo un lavoro certo ai tanti disoccupati italiani, e nella fattispecie meridionali, ma anche una sicura fornitura energetica all’Italia in tempi di crisi post-bellica. La realtà dei fatti, quello che veramente è significato accettare quell’accordo, ci viene raccontata dalla viva voce, a volte rotta dalla commozione, a volte sorprendentemente energica, dei veri protagonisti della vicenda, coloro i quali nel dopoguerra erano bambini o ragazzetti e che, pane duro e coraggio, sono saliti su un treno e hanno raggiunto quelle preziose miniere di carbone.

07 September 2008

Visita a Aidone e Morgantina, Sicilia

Giornata in visita ai siti archeologici della zona.

Arriviamo con la mia amica L. a Piazza Armerina per ammirare i famosi mosaici della villa romana. Qui sono testimone del fatto che i mosaici delle sale accessibili erano resi quasi invisibili dalla polvere: i colori vivissimi delle tessere erano tutti di un beige smunto ed uniforme. Le guide autorizzate, alla testa di plotoni di giapponesi e altri turisti stranieri, si adoperavano come potevano per far venire fuori questi colori, per esempio gettandovi dall'alto dei camminamenti acqua minerale dalle loro bottiglie. Cadendo l'acqua umidificava, a chiazze irregolari, le maioliche, evidenziandone per alcuni secondi i colori... Uno spettacolo patetico.

22 August 2008

Recensione: La Quarta Sponda - La Guerra di Libia 1911-1912 (ed. 2007), di Sergio Romano, *****

Nascita e crescita dell'occupazione italiana in Libia
Sinossi

Considerata a lungo un episodio poco luminoso del nostro nazionalismo, la guerra italo-turca fu in realtà molto più complessa, e meno provinciale, di quanto possa sembrare. La vollero non solo i nazionalisti, ma anche i cattolici, buona parte dei democratici e persino alcuni socialisti. Per ragioni diverse suscitò consensi nella borghesia del Nord e fra i contadini del Sud. Giovanni Giolitti, allora primo ministro, la preparò forse controvoglia perché il Paese gliela chiedeva.

L'Italia che guardava alla "quarta sponda" come alla terra promessa andò alla conquista della Libia per ansia di riscatto, ma, attaccando l'impero ottomano, rischiava di riaccendere un braciere tutt'altro che spento, con focolai prossimi a nuove scintille (crisi marocchina e guerre balcaniche) e che sarebbe esploso, due anni dopo, nel primo conflitto mondiale.

Ho letto l'edizione del 2007 ma il libro è di esattamente 30 anni prima.


Recensione

L'Italia il primo paese ad effettuare un bombardamento aereo
Il libro è una descrizione puntuale degli avvenimenti che portarono alla conquista italiana della Libia, della campagna militare che ne seguì, e degli strascichi fino alla Grande Guerra, dove Italia e Turchia si ritrovarono di nuovo una contro l'altra. Il facile sbarco delle prime truppe, le alterne vicende dei combattimenti a terra, i negoziati di pace, il tutto viene trattato da Romano con la necessaria freddezza dello storico e con la meticolosità del ricercatore scrupoloso. Tantissimi i dettagli forniti, forse anche troppi da digerire per il lettore medio. Ma consola sapere che c'è tutto, o quasi, nel libro, che si legge con piacere ma serve anche da opera di riferimento cui tornare per rinfrescare la memoria.

Lettura piacevole ma che richiede un certo impegno e concentrazione, molto stimolante. Non molto utile invece il capitolo finale su Gheddafi, e destinato ad diventare obsoleto in breve tempo, al contrario del libro che probabilmente resterà valido nel tempo.

Utile anche un breve glossario alla fine, mentre come quasi sempre per i libri italiani manca un vero indice, c'è solo un indice dei nomi ed un sommario con titoli dei capitoli che comunque ne svelano il contenuto e facilitano la ricerca.



01 April 2007

Visit of the Vittoriale degli Italiani, home of Gabriele D'Annunzio

Gabriele D'Annunzio was an iconic writer that polarized Italian literary critics during his lifetime and continues to do so decades after his death.

His home is still an incredible collection of stuff that made his life in peace and war.

The museum is worth a detour if you are around Lake Garda.



The MAS (Mezzi d'Assalto Siluranti), a highly successful family of weapon systems of the Italian navy in WW I and II.

Here is a model from WW I.

Pictures were not allowed in most of the home so here is a few I took where I could. You can find more pictures of additional items here on Wikipedia. His home was full to the brim with all kinds of art and mementos.

I feel close to him in his abhorrence of empty spaces. Horror vacui it was called, and I share it a bit in my home.


Italian warship Puglia

05 March 2007

Recensione: I Nullafacenti (2008), di Pietro Ichino, ****

Sinossi

"Perché, mentre si discute di tagli dolorosi alla spesa pubblica per risanare i conti dello Stato, nessuno propone di cominciare a tagliare l'odiosa rendita parassitaria dei nullafacenti?" Il 24 agosto 2006, dalle colonne del "Corriere della Sera", Pietro Ichino lancia una proposta che scuote il mondo politico e sindacale...

04 January 2005

Discorso di fine anno del presidente Ciampi

Lettera inviata a Sergio Romano e pubblicata dal Corriere della Sera il 4 Gennaio 2005.

Sono un italiano che vive da anni all'estero e pur essendo disgustato dalla nostra politica interna ogni 31 dicembre ascolto il discorso del presidente della Repubblica, il mio presidente, per sentire il polso della situazione del mio Paese.

Sono rimasto deluso quest'anno nell'ascoltare il presidente Ciampi augurare buon anno prima di tutto con grande enfasi al Papa e solo dopo agli italiani. Mi ha irritato essere messo in secondo piano, dal capo del mio Stato, per dare la precedenza a un capo di Stato straniero, per quanto autorevole.

Ma allora, come disse il titolo di un bel libro di Giordano Bruno Guerri, gli italiani sono sempre sotto la Chiesa?

Compra il libro su Amazon:

16 November 2004

Book Review: The Dark Heart of Italy, by Tobias Jones. *

Synopsis

In 1999 Tobias Jones travelled to Italy, expecting to discover the pastoral bliss described by centuries of foreign visitors and famous writers. Instead, he discovered a very different country, besieged by unfathomable terrorism and deep-seated paranoia, where crime is scarcely ever met with punishment. Now, in this travelogue, Jones explores not just Italy's familiar delights (art, climate, cuisine), but the livelier and stranger sides of the bel paese: language, football, Catholicism, cinema, television and terrorism. Why, he wonders, do bombs still explode every time politics start getting serious? Why does everyone urge him to go home as soon as possible, saying that Italy is a 'brothel'?


Review

This must be the worst book on Italy I have ever read. Uninformed, superficial, exuding prejudice and smugness, politically biased. The author displays phenomenal ignorance and his judgement is superficial almost to the point of being funny! Were it not for some specific anecdotes he tells rather amusingly, I would have wondered whether he ever set foot in the country at all. He is obsessed with Berlusconi, he just hates the guts of the man. Well that's fine, many Italians do too, but it does not make for informative reading. His writing style is full of smugness, he says he loves the country but he is very condescending toward Italians and does not display the least interest in truly integrating in Italian society. Inaccuracies are too many to list here. A book that is better avoided by those who want to understand contemporary Italy.

04 May 2003

L'olio d'oliva extra-vergine alle Maldive

Dopo cena quattro compagni di crociera vanno a pesca con il barchino d’appoggio, poco più di un guscio di noce. Il piccolo fuoribordo li porta un po’ lontano dalla rada dove siamo ancorati. C’è la luna piena, la laguna è calma come l’olio, il cielo quasi pulito, il silenzio (quando convinco il comandante a spegnere il generatore di bordo) è assoluto. Dopo un paio d’ore gli intrepidi pescatori tornano con un sacco di pesci di media taglia, che domani saranno il nostro pranzo, un po’ fritti, che qui va molto, ed un po’ semplicemente grigliati e conditi con un po’ d’olio d’oliva e limone.

D’abitudine quando vado in crociera alle Maldive chiedo a tutti i miei compagni di viaggio di portare dall’Italia un po’ di limone (più saporito del lime locale) e un po’ di olio d’oliva extravergine della propria regione (qui si trova più che altro olio di semi). Si sa che in Italia siamo un po’ tutti maniaci dell’olio della nostra terra. Anche a Bruxelles, dove vivo, è divertentissimo ascoltare le discussioni tra italiani espatriati riguardo all’olio d’oliva. Con il vino è diverso: tutti vantano le doti organolettiche dei vini della propria regione, ma c’è una generale disponibilità ad apprezzare anche i vini di altre regioni, e magari stranieri.

Con l’olio no: ognuno è sinceramente convinto che quello della propria regione, qualunque essa sia, se non della propria provincia, per non parlare di quelli che lo producono in famiglia, sia oggettivamente il migliore olio del mondo, che non ci sarebbe neanche da doverlo dire tanto è ovvio: l’acidità, il sapore, il colore, la leggerezza, tutto grazie al sole, al terreno, alla macrobioticità, la coltivazione «bio», ecc. ecc. Si vedono le persone più equilibrate e mansuete irrigidirsi, scattare di nervi, solo a suggerire che magari in altre regioni italiane (oppure, sacrilegio, all’estero!) ce ne sia di altrettanto buono o, percaritàdiddio, di migliore, e magari a prezzo più conveniente. Forse, in tutta Italia, solo i residenti delle valli ladine non accampano con convinzione il primato sull’olio d’oliva.

Tutto questo è un ridicolo campanilismo, frutto di ottusità culturale e miopia degustativa. Perché azzuffarsi così puerilmente? Tanto si sa che l’olio migliore del mondo è indiscutibilmente quello pugliese, e precisamente quello del Gargano, ed in particolare quello prodotto sui «Monticelli» alla periferia di Manfredonia dove mio nonno materno per decenni accudiva i suoi uliveti. Al quale, oggettivamente, può tener testa solo quello calabrese prodotto dai miei cugini Carlo e Giuliana, specificatamente della provincia di Catanzaro ed esattamente di Lamezia Terme, che mio padre mi riporta ogni tanto quando torna a visitare i nostri familiari. Chiarito questo,...


Questo post è un estratto del mio libro sulle Maldive. Per comprare il libro formato kindle su Amazon clicca qui.

04 July 2002

Book Review: Extra Virgin (2001), by Annie Hawes, *****

Synopsis

A small stone house deep among the olive groves of Liguria, going for the price of a dodgy second-hand car. Annie Hawes and her sister, on the spot by chance, have no plans whatsoever to move to the Italian Riviera but find naturally that it's an offer they can't refuse. The laugh is on the Foreign Females who discover that here amongst the hardcore olive farming folk their incompetence is positively alarming. Not to worry: the thrifty villagers of Diano San Pietro are on the case, and soon plying the Pallid Sisters with advice, ridicule, tall tales and copious hillside refreshments ...


25 February 2001

Lettera a Indro Montanelli sulla sinistra italiana

Caro Montanelli,

la leggo dall'estero, vivo in Belgio, perché lei rimane un raggio di chiarezza nel guazzabuglio quale appare la scena politica italiana all'avvicinarsi delle elezioni.


Condivido le sue riserve sulla Casa delle Libertà, ma mi pare lei dia troppo credito alla sinistra. 


Lei dice che la voterà perché non ci ha tolto le libertà che avevamo e ci ha "portato in Europa". La sinistra non ha portato l'Italia in Europa perché c'era già: l'Italia ha fondato l'Europa negli anni cinquanta e, nonostante la sinistra ci abbia in passato provato, non ne è mai uscita; e non credo la potrebbe o vorrebbe far uscire un qualunque altro governo.


Le libertà: anche se avessero voluto, ed io non lo credo, come avrebbero potuto togliercele? Sono finiti quei tempi.


A lei preoccupa un Berlusconi che controlli sei reti TV, e sono d'accordo, anche se lui dice che privatizzerebbe 2 reti RAI. Ma le reti RAI, oggi, le paiono migliori, o solo diverse, da Mediaset? A me, no: la gazzarra e la sguaiatezza sono identiche; i moderatori delle trasmissioni politiche che da esse si fanno travolgere, anche; le cosce lunghe e le tettone che rimbalzano al vento, che alla fine sono le sole cose di qualità che ci propinano, pure. E poi la stessa inflazione degli applausi: ma perché in televisione si applaude sempre? Il pubblico si batte col privato per quote di ascolto e, così facendo, il guazzabuglio di cui sopra lo ripropone ed amplifica ad nauseam, con l'aggravante di farlo a spese di chi paga il canone.


Comunque lei almeno il suo voto lo potrà esprimere: io, che ho la colpa di rappresentare l'Italia in un'organizzazione internazionale, la NATO per essere precisi. Non è possibile che tutti i funzionari ed impiegati italiani della NATO e dell'Unione Europea, più tutti quelli che lavorano a Bruxelles nell'indotto, possano venire in Italia per votare, anche se la NATO me lo permetterebbe.


Godrò invece del beneficio di non dovermi turare il naso per votare, dato che anche questa volta questo diritto mi viene negato dalla mancanza di una legge che, dopo averla osteggiata per decenni, il governo "europeista" di  sinistra ora finalmente dice di volere ma che, in cinque anni di potere, non è riuscito a partorire.

26 April 1999

Book Review: An Italian Education, by Tim Parks, *****

Product Description
Tim Parks’s best seller, Italian Neighbors, offered a sparkling, witty, and acutely observed account of an expatriate’s life in a small village outside of Verona. Now in An Italian Education, Parks continues his chronicle of adapting to Italian society and culture, while raising his Italian-born children. With the exquisite eye for detail, character, and intrigue that has brought him acclaim as a novelist, Parks creates an enchanting portrait of Italian parenthood and family life at home, in the classroom, and at church. Shifting from hilarity to despair in the time it takes to sing a lullaby, Parks learns that to be a true Italian, one must live by the motto “All days are one.”

Review
Tim Parks has written a highly readable and perceptive account of his life in Italy. Unlike many English authors who write about the country he does not display any sense of smugness and has no complex of superiority! In fact he has so much integrated into Italian society that one might as well say he is Italian by now! He grasps the nouances of life in Italy from the point of view of a normal person living there, not a traveler, not a tourist, not a scholar. He can even make fun of Italians without being offensive. He also appreciates much that most foreigners miss. An open window into contemporary Italy. Highly recommended.

Addendum 2011: While the book was written in the nineties pretty much everything he says is still very much true ten years on.

22 November 1998

Book Review: "Italian Neighbors", by Tim Parks, *****

Synopsis

In this deliciously seductive account of an Italian neighborhood with a statue of the Virgin at one end of the street, a derelict bottle factory at the other, and a wealth of exotic flora and fauna in between, acclaimed novelist Tim Parks celebrates ten years of living with his wife, Rita, in Verona, Italy.

31 October 1991

2° g - 31 OTT: incontri con un italiano di Tirana e all’università

Dopo una misera colazione usciamo a piedi per le strade di Tirana, non c’è più la Mercedes blu. In questi giorni andremo a tutti gli appuntamenti sempre a piedi, per fortuna che Tirana non è molto grande, almeno il centro dove sono i luoghi dei nostri incontri, non c’è nessuno per strada ed il tempo è bello. Arriviamo subito piazza Skanderbeg, intitolata al glorioso personaggio della resistenza nazionale, che è totalmente deserta, solo alcuni mezzi pubblici abbandonati, senza carburante o con semiassi rotti, finestrini sfasciati. Fino a pochi mesi fa le auto private erano vietate, ora sono permesse ma ovviamente nessuno se le può permettere al momento. In compenso in questi giorni abbiamo incontrato, in piena città, qualche pastore con le sue pecore. Non ci sono semafori.

26 June 1987

Book review: Obiettivo Difesa, by Luigi Caligaris and Carlo Maria Santoro, ****

this English review was originally published in Survival, Vol XXIX, No 4, July/August 1987.


Recensione

In the last few years, the international economic and political stature of Italy has increased. One domestic repercussion of this has been a generalized concern about security policy. This renewed interest in security has revitalized a dormant debate along different currents of thought which have long characterized Italian defense thinking. At the risk of oversimplifying, three currents of thought can be identified. At one end of the spectrum there are the nationalists, who want Italy to assume an independent role above and beyond its Alliance commitments In the middle is a group, the "mediators", who want Italy to remain closely aligned with its Western partners, while simultaneously assuming a high diplomatic profile world-wide. At the other end one finds the "integrationists", who stake everything on European and Atlantic cohesion The work of Santoro and Caligaris falls somewhere between the first two groups.

While presented as a cooperative effort, the book is divided into three quide distinct and separately authored parts. The first part, written by Santoro, addresses the broad issue of the geopolitical context of Italy. What transpires here is the desire for both a greater national assertiveness at the regional lever - mainly in the Mediterranean - and a more active involvement in Alliance security and foreign policies at the global level. Santoro sees the world as fundamentally bipolar (p.14), but the implications he draws from that bipolarity are not wholly clear. On the one hand, he believes that should a medium power choose "not to belong to one of the two blocs ... instead of gaining in terms of independence it would see its task become more difficult", because its operating area would remain under the control of one or the other of superpower. He cites India and Yugoslavia as two such medium powers (p.15).

On the other hand, he recognizes that for a medium power the coordination of national interests and alliance obligations can often be problematic, and cites the crises of Suez in 1956, Cyprus in 1974 and Libya in 1986 as examples (p.29).

The implications for Italy are ambiguous: should it attach itself more tightly to NATO, in order to safeguard its freedom within world bipolarism, or should it disregard NATO whenever its national interests conflict with American ones? It does not seem possible to do both, as Santoro seems to wish. Also, it would have been helpful if he had explained why Indian or Yugoslavian foreign polity might have been more "independent" had those countries belonged to one of the two blocs; or how the medium powers involved in the afore-mentioned crises might have been at an advantage had they disregarded their respective blocs.

Santoro points to a possible answer when he writes that Italy should pursue national interests at the regional level in the Mediterranean area while framing its global interests within NATO (p.106). This however poses another set of unanswered questions. First, Italian national interests in a region may be global interests for one or both of the supposedly omnipresent superpowers, thus restricting its room for manoeuvre. Santoro does write that Italy needs a "more manoeuvrable and flexible tactical room for manoeuvre" (p.32) but the meaning of that phrase remains rather enigmatic to this reviewer.

Second, he states the need for Italy to develop a "package of national strategic objectives" which should "stress its natural role as a thermoregulator of the Mediterranean" (p.48). Again, it would have been interesting to read what he has in mind when he speaks of such objectives, and how Italy could impose them upon the Alliance and US, even if only at the regional level.

Finally, some elaboration would have been welcome as to why, in order to perform its thermoregulating function, Italy could "no longer maintain a low-profile political and military position" (p.42).

The difficulty of defining, before pursuing, national security interests is clearly recognized by Gen. Caligaris in the second part of the book, devoted to an analysis of the problems facing the italian political leadership. But, he points out, this is only one of the challenges facing the Italian leadership. Others include improving a highly deficient defense legislation (it is unclear, for instance, who would hold the High Command in case of war (p.202); creating an environment - for example, in the universities - where a security culture might flourish (p.205); refurbishing the now rather inadequately structured decision-making apparatus, both for day-to-day and for crisis-management purposes; restoring the position of Chief of Defense Staff above the service chiefs (p.287).

Unless these problems are satisfactorily solved, so the main thrust of Caligaris' argument implies, Italy will remain confined to its parochial dimension, wherein it is constantly seeking not to be excluded from international bodies and meetings - especially those restricted to the major industrialized countries - quite irrespective of what it can "say, deny or offer" as its own contributions (p.190).

The last part of the book, also by Caligaris, addresses specifically the issue of the military instrument, seen as an "extremely critical aspect of a national security policy" (p.243). Throughout this part he points to the dual function of force for both the "successful resolution of otherwise unresolvable crises" (war fighting) and the "catalization of effectively mediated solutions" (deterrence) (p.243).

Caligaris, however, betrays an overall uneasiness with the fact that, because of deterrence, military strategy has acquired an "unusual dimension" to the point of having both "lost its identity" (p.249), and weakened the military's commitment to force preparation. Moreover, nuclear deterrence in NATO has brought along a "deresponsibilization" and a "denationalization" of defense, as many countries, including Italy, found it easier to passively accept American protection (p.250).

With Caligaris' concluding chapter the book comes full circle. The main theme that emerges throughout is the perception on the part of the authors that Italy is not playing a role in the management of international security - particularly at the regional level - that is commensurate with its rising international profile, and that this role should increase. On this score, most Italians concerned will agree.

However, he means through which to achieve this end are more varied than the book would lead one to believe. Gen Caligaris does highlight several areas where Italy's defense posture is wanting, and his work is a useful contribution in the rather desolate panorama of Italian security literature. However, the book fails to provide clear prescriptions in terms of security policy objectives. It also does not convince that a higher military - and particularly nuclear (p.160) - profile is needed for Italy to be able to provide a better contribution to international security.



01 August 1980

Windsurfing in Sardegna

Marco a Golfo Aranci, in Sardegna, agosto 1980

24 June 1980

End of the semester abroad in Poland

We spend the morning in Venice, just showing Cathy the highlights. I have some rubles left and manage to change them, at a very unfavorable rate, at a money changer in Piazza San Marco.

After lunch we get back into Giallina one last time for the home stretch to Rome. Mum, dad and my brother Fabio are waiting at our apartment in Via dei Mille, and a genuine Italian home-made dinner prepared by our family chef Anna concludes our trip.

It is over.

But I know it is not really over. I know I will return to Poland in the future, for personal and professional reasons. Borzena is scheduled to come and visit this Summer. Marian and Ewa surely will be in touch and we'll try to make some money together trading goods between Italy and Poland.

It's been the most instructive period of my life. I went to Poland because I was interested in the "real" socialism. Never a socialist myself, as a political scientist in the making I wanted to understand the thinking beyond the wall. I thought better knowledge could foster mutual understanding, and peace.

The problem is, no one in Poland seemed to care about socialism. Those who did speak about it hardly ever said anything positive. It was different in the USSR, where some of those we met did seem to believe in their official ideology.

We'll see, for now it's time to take in a good night sleep in my own bed!