24 April 2007

NECROLOGIO: Boris Eltsin, un gigante del XX secolo

Eltsin intima a Gorbaciov di leggere un documento al Soviet russo
Boris Eltsin è stato, più di chiunque altro, il simbolo della trasformazione della Russia negli ultimi venti anni. Di più: della trasformazione del dibattito ideologico internazionale, con la fine della contrapposizione globale tra mercato e democrazia da una parte e pianificazione e comunismo dall’altra.

Quando arrivò a Mosca nel 1985 per guidare il potentissimo apparato del partito comunista locale, corrotto e fatiscente, ci mise poco a capire che il compito affidatogli da Gorbaciov, attuare la perestrojka (ristrutturazione) nella capitale, era una missione impossibile. Da membro del Politburo, il massimo organo decisionale dell’URSS, cercò invano di convincere i gerontocrati ed i neo-stalinisti che bisognava girare pagina.

Gorbaciov ebbe il grande merito di favorire la distensione nelle relazioni con l’Occidente, e di aprire uno spiraglio di libertà anche in URSS e nell’Europa occupata dai russi, e questo è il suo importantissimo posto nella storia. Era però - appoggiato in questo dall’apparato onnipotente del partito, dai militari e dal KGB - convinto che il comunismo andava sì riformato, ma era un buon ideale per il quale lavorare, e andava quindi salvato.

Continuò a crederlo anche quando, dopo il colpo di stato che temporaneamente lo esautorò nell’estate del 1991, tornò al Soviet Supremo a dire che i cospiratori andavano puniti ma il comunismo bisognava recuperalo. In questo egli fu appoggiato fino all’ultimo da molta sinistra europea e specialmente dai comunisti e parte dei socialisti italiani, che cercarono in tutti i modi di vedere in lui la prova che un comunismo democratico era possibile e che quindi osteggiavano Eltsin. Non volevano o non potevano capire, i nostri illusi compatrioti, che Gorbaciov stava creando un colossale ossimoro, e che i nodi sarebbero, più prima che poi, venuti al pettine.

Il ruolo storico di Eltsin, ancora più importante di quello del suo mentore, fu quello di capire per primo, dal di dentro del partito comunista sovietico, e già dal 1987, quando ne fu estromesso, che il comunismo era irriformabile, era finito. Capì che il mondo poteva aver paura dei missili nucleari dell’URSS, ma nessuno ne sarebbe più stato ispirato dall’esempio politico. E lo disse apertamente al Comitato Centrale del PCUS, senza previa approvazione di Gorbaciov, lasciando di stucco gli zombi del Politburo, che lo accusarono di immaturità, di irresponsabilità, e lo estromisero da tutte le sue cariche.

Eltsin però guardava più avanti, e non era più disposto a giocare con le vecchie regole. Non si trattava di ristrutturare o democratizzare, bisognava buttare tutto a mare e ricominciare da capo. Lo capì prima degli eventi dell’annus mirabilis del 1989, e prima della svolta del Partito Comunista Italiano, che avvenne ancora più tardi, nel 1991. Questo agire poco convenzionale di Eltsin non piacque neanche a molti in Occidente e non solo a sinistra: spaventava chi temeva le destabilizzanti ripercussioni internazionali di uno sfacelo dell’URSS, che infatti seguì a ruota il crollo del PCUS; e infastidiva chi temeva la fine definitiva della chimera del comunismo democratico, dal volto umano. Ma i fatti gli diedero ragione.

Seguì un quindicennio di sviluppi convulsi, punteggiato di passi coraggiosi in avanti, di decisioni controverse, ma anche di gravi errori e battute d’arresto. Basti citare le privatizzazioni e le liberalizzazioni selvagge che crearono una potente oligarchia e favorirono il crimine organizzato, la crescente difficoltà di quelli che non potevano adattarsi al nuovo sistema (soprattutto gli anziani), le cannonate del 1993 al Parlamento ribelle che voleva esautorarlo pur non avendo i numeri per farlo in base alla Costituzione. Per quanto drammatiche però, queste vicende non erano che icidenti di percorso nel più grande disegno di impedire un disastroso riflusso verso il passato. Tutto sommato, considerando l’immensità della posta in gioco, ci fu solo un limitato spargimento di sangue – eccezion fatta per la Cecenia, e non è eccezione da poco – e la Russia oggi è avviata sulla strada della trasformazione in un paese normale, integrato nella comunità internazionale. Non sarà facile e non sarà indolore, ma sta avvenendo ed è interesse di noi tutti che il processo continui.

Altro grande merito di Eltsin fu quello di capire quando era arrivato il momento di farsi da parte. Dopo le cruciali elezioni del 1996, gradualmente la sua salute si deteriorava – un cuore debole, che le sue frequenti sbornie certo non aiutavano – e gli rese impossibile governare. Questo lo distingue da tanti, tantissimi politici, capi, capetti, professori, direttori, presidenti, segretari generali, ecc. grandi e piccoli, dittatori e democratici, che restano attaccati al potere con le unghie e con i denti fino alla morte. Scelse una data simbolica, il 31 dicembre 1999, andando a sopresa in televisione, chiedendo umilmente scusa per gli errori fatti e dicendo ai Russi che il nuovo secolo – che in realtà sarebbe cominciato un anno più tardi, ma non sottilizziamo! – avrebbe avuto bisogno di una nuova generazione di governanti.

La Russia di Putin, il successore che Eltsin scelse personalmente nel 1999, non è certamente un modello di democrazia, tutt’altro. Ma la direzione intrapresa è quella giusta. Su quella strada molti dei paesi ex-satelliti sono andati già molto più avanti, sono democrazie consolidate, godono di economie di mercato aperte ed in forte crescita, fanno parte della NATO e dell’Unione Europea, hanno recuperato la loro storia e la loro cultura. Tutto questo è dovuto al coraggio, forse alla temerarietà, di Boris Eltsin, che in tempi non sospetti si buttò nel ring da solo contro tutti, le prese di santa ragione, fu quasi messo KO, ma si rialzò e vinse.

Gia pubblicato su www.fulm.it

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