03 May 2010

Il vecchio paradigma nucleare

Gli esperti di strategia, strana risma alla quale ho un tempo appartenuto, cercano spesso il sensazionalismo. Ciò è necessario per giustificare la propria esistenza come categoria, i convegni, le riviste, i viaggi, ed i soldi che vengono loro dati per scrivere articoli quasi sempre irrilevanti che comunque, per fortuna, non legge quasi nessuno. Insomma «the gravy train», un modus vivendi tutto particolare e comunque, lo posso dire per esperienza, meglio che lavorare...

A questo sensazionalismo si aggiunge una certa supponenza, un’atteggiamento del tipo «se solo i governi facessero quello che noi scriviamo sarebbe un mondo migliore ma invece pensano solo ad essere rieletti». Così, successivamente al 1989, quasi ogni articolo di strategia internazionale attaccava con «Dopo la fine della Guerra Fredda,…», per anni e anni, on and on, a farci sapere, come se qualcuno non se ne fosse accorto, che il mondo era cambiato. Fino al fatidico 11 Settembre 2001, dopo il quale gli esperti, per anni e anni, iniziavano i loro articoli con «Dopo l’undici settembre…» e giù fiumi di saggezza a dirci come fare per aumentare sicurezza e stabilità nel nuovo mondo che era sopravvissuto a ground zero. Ma sono passati dieci anni e non sono più successi fatti così drammatici, in positivo come nel 1989 o in negativo come nel 2001, e gli esperti fanno fatica a trovare spunti iperbolici per il primo paragrafo dei propri articoli. 

Persino l'amico Marco De Andreis, che scrive al di là di ogni sospetto in quanto non viaggia sul «gravy train», scrive una lucida analisi degli ultimi sviluppi in materia di disarmo nucleare nientepopodimenoché con un riferimento ad un «cambiamento epocale nel modo in cui l’uomo percepisce e amministra la sua più potente invenzione, l’arma nucleare, è in corso e culmina in questi giorni». Si potrebbe discutere se le armi nucleari siano l’invenzione più potente, io direi piuttosto il world wide web, ma questo non è l’argomento di questo articolo. Invece il cambiamento epocale sì.

A me non sembra che le cose siano cambiate in modo così radicale, e nella misura in cui sono cambiate ciò non è stato a causa né della fine della guerra fredda, né dell’undici settembre. Le armi nucleari, oggi, potrebbero fare grosso modo le stesse cose che fecero nel 1945, sessantacinque anni fa, in Giappone, e cioè ammazzare un mucchio di gente molto rapidamente e poi molta altra gente lentamente, negli anni a seguire: un orrore, anche se non tanto peggio di certi bombardamenti meramente «convenzionali», per esempio a Dresda e Tokyo. 

Proprio questo orrore però, per decenni, ha costituito la base della deterrenza che forse ha impedito la Terza Guerra Mondiale. Dico «forse» perché, come dice bene Marco, siccome non possiamo ripetere la storia, non lo sapremo mai. Io però, se dovessimo mai reincarnarci tutti e rivivere la seconda metà del XX secolo, le mie belle bombe nucleari nella NATO le rivorrei. Ma in questo, proprio come le bombe sono un residuato metallico di quel periodo, mi rendo conto di essere un po’ un residuato intellettuale. Ma non sono da solo. In quello che è forse un lapsus freudiano, anche Marco fa riferimento nel suo articolo ad «USA ed URSS» come i firmatari del Trattato firmato pochi giorni fa. In fondo entrambi ci siamo formati in quello scenario e non ce lo scrolliamo più di dosso.

Vediamo allora di cercare di aggiornare il nostro pensiero ed inquadrare la situazione odierna. Quante e dove sono oggi le armi nucleari, queste sconosciute? Che problemi pongono alla nostra sicurezza? Si può continuare ad accettare un mondo in cui alcuni paesi dispongono dell’arma ed altri no? Cosa possono fare Europa ed Italia?

Piccola premessa: c’è un’infinità di generali e di politici che quando sono in carica fanno una cosa e quando sono in pensione ne dicono un’altra. Do as I say, don’t do as I did. Forse vedono la luce sulla via di Damasco. Più probabilmente, annoiandosi, cercano di attirare attenzione su sé stessi con dichiarazioni e prese di posizione iperboliche e sensazionalistiche. Insomma da operatori pragmatici diventano «esperti» idealisti; pubblicano articoli, intervengono a convegni, rilasciano interviste e si fanno pagare profumatamente per farlo. Cercano cioè di salire sul «gravy train». Non li biasimo, ma francamente non li prendo troppo sul serio.

Ronald Reagan, che Marco cita, finito il mandato è stato zitto, se ne è tornato nel suo ranch e si è goduto la vecchiaia fino a che la salute glielo ha consentito. Ma quando era in carica di cose strane sulle armi nucleari ne diceva parecchie, come quando voleva renderle «impotenti ed obsolete» con lo strampalato progetto delle Guerre Stellari o come quando diceva, lui che aveva il dito sul bottone di lancio, che non aveva paura di una guerra per errore perché i missili intercontinentali una volta lanciati potevano essere «richiamati». Inoltre, almeno durante il primo mandato (1981-1985) Reagan lanciò un poderoso programma di riarmo, nucleare e non. Dunque mi sia consentito non prendere troppo sul serio neanche il suo pensiero in materia come oggi ci viene riportato dalla moglie.

E veniamo alle armi nucleari. Anche se la NATO non mi paga più lo stipendio, e quindi non mi sento in obbligo di parlarne bene, mi preme sottolineare che, almeno a partire dall’inizio degli anni ottanta, il numero delle armi nucleari NATO è già diminuito di oltre il 95%; da oltre diecimila a meno di cinquecento (numeri stimati). Meno riduzioni per i russi, che ne hanno ancora circa dieci volte di più solo di tattiche, ma anche loro hanno smaltito, in gran parte grazie ad un programma finanziato dagli americani negli anni novanta. (Numericamente, le armi delle altre potenze sono di uno, due o anche tre ordini di grandezza meno rilevanti.) La potenza distruttiva media di queste armi è diminuita ancora di più del 95% (oggi si fanno armi meno potenti e più precise) e soprattutto sono stati migliorati le procedure ed i meccanismi per evitarne l’uso accidentale.

Persino nella baraonda che è seguita alla dissoluzione dell’Urss l’unica cosa che fu fatta con un certo ordine (grazie alla diligenza del Kgb che ne deteneva il comando e controllo!) fu il rispiegamento delle armi nucleari. L’arsenale nucleare sovietico, assieme alla metropolitana di Mosca, era l’unica struttura che funzionasse bene in quel paese. Si noti che questo processo di riduzione era iniziato non nel 1989 ma all’apice della guerra fredda, mentre i sovietici invadevano l’Afghanistan e la NATO spiegava gli euromissili. Un processo graduale e abbastanza costante che è ancora in atto e che probabilmente porterà ad una denuclearizzazione delle superpotenze, nei fatti e nelle strategie prima che nei trattati. Perché allora affannarsi tanto?

Un motivo che viene addotto dai disarmisti più focosi è che così si renderebbe più difficile l’acquisizione di armi nucleari da parte di nuovi paesi, quella che si chiama la proliferazione (del numero di dita sui grilletti nucleari). Io non vedo alcuna ragione per credere questo. Non vedo perché regimi come quello iraniano, o nordcoreano, dovrebbero desistere se le attuali potenze nucleari si denuclearizzassero. Per «fair play»? Per che la loro coscienza glielo imporrebbe? Perché le rispettive opinioni pubbliche lo esigerebbero? Per pressioni da parte di altri stati magari loro amici? O magari per qualche articolo di qualche esperto che li esorterebbe a farlo? Non credo proprio. Per non parlare di eventuali attori nucleari non statali tipo Al-Qaeda. Ve lo immaginate Bin Laden che il giorno dopo la firma di un ipotetico trattato di disarmo tra le grandi potenze dà ordine ai suoi di abbandonare ogni ambizione nucleare perché ora non sarebbe più accettabile? Io no.

Invece abbiamo visto la stragrande maggioranza dei paesi del mondo rinunciare a queste armi per libera scelta, e firmare il Trattato di Nonproliferazione come paesi non nucleari, perché era nel loro interesse rinunciarci anche se altri non lo facevano. E ci sono stati regimi un tempo pericolosi che ci stavano provando a farsela, la bomba, e che sono stati convinti a rinunciare, o con le buone (Libia) o con le cattive (Iraq). E poi altri paesi che sono stati una fonte di instabilità in un recente passato ma si sono trasformati ed hanno abbandonato i loro programmi militari nucleari (Argentina, Brasile, Taiwan). Il Sud Africa razzista ce le aveva già belle e pronte le sue armi nucleari, ed è il primo stato a denuclearizzarsi del tutto. E tutto ciò senza che nessuno di questi stati pretendesse il disarmo delle suddette potenze nucleari e senza cambiare idea quando nuove potenze nucleari come Corea del Nord (peccato non averla « convinta » in tempo, forse si sarebbe potuto), Israele, India e Pakistan siano apparse sullo scenario internazionale.

Ma questo perpetua un’asimmetria intollerabile, si obietterà, ed è questo il secondo motivo dei disarmisti, tra gli haves and have-nots. Sì è vero, e allora? Io non ci perdo il sonno per questa asimmetria. Le armi francesi o inglesi, o quelle americane dislocate in Italia, non mi provocano alcuna ansietà. So che stanno in buone mani, sotto controllo democratico e con quanto serve ad evitare incidenti. E se domani un paese pacifico e democratico come il Belgio, dove abito, volesse per qualche motivo dotarsi di armi nucleari, non mi turberei punto -- se non per la paura che potrebbero tirarsele addosso Fiamminghi e Valloni tra di loro, ed io a Bruxelles mi troverei proprio come Clint Eastwood fra i Baxter ed i Rojo in «Per un pugno di dollari»: nel mezzo del fuoco incrociato, a prenderle da tutti e due. 

Mentre il sonno ce lo perderei, eccome!, se le armi ce le avesse l’Iran degli ayatollah, o la Libia di Gheddafi o anche l’Arabia dei Saud, o se ce le avesse avute l’Iraq di Saddam. Non perdo tanto sonno sulle armi nucleari nordcoreane solo perché questo paese è abbastanza lontano da noi, ma se fossi giapponese sarebbe ben diverso. Ed infatti per i giapponesi, o i sudcoreani, è ben diverso, e se non ci fossero gli americani a proteggerli, anche con le armi nucleari a stelle e strisce, non credo che sarebbero stati lì a guardare mentre uno scriteriato dittatore rischia di farli saltare tutti per aria. Insomma il Tnp serve a controllare soprattutto i paesi che non hanno bisogno di essere controllati, e non può quasi nulla contro quelli che non vogliono essere controllati e ne restano fuori o ne escono, come il nostro «Caro Leader» Kim Jong-Il ha fatto. Dunque ben venga a mio avviso l’asimmetria. Al mondo non ci sono popoli buoni e popoli cattivi ma ci sono buoni e cattivi governi.

Questo è un punto debole del Tnp che, e non potrebbe essere altrimenti, considera tutti gli stati membri e tutti i governi con pari diritti, e dunque impegna gli «haves» riconosciuti (i cinque membri del Consiglio di Sicurezza, forse l’organismo internazionale più obsoleto del mondo) a denuclearizzare. Cosa che appunto stanno facendo. Ma non abbastanza rapidamente forse? Obama, realisticamente, dopo gli annunci altisonanti degli ultimi mesi, ha sussurrato il caveat sul mondo senza armi nucleari che Marco riporta… che suona un po’ come uno «yes, but not on my watch».

E allora cosa possono fare l’Italia e l’Europa? Qui mi permetto una piccola vanità personale da «esperto»: in un libro che pubblicai quasi venti anni fa, proponevo che dalla fusione degli arsenali nucleari inglese e francese si creasse una forza nucleare europea. Forse i tempi sono maturi per rispolverare questa idea. Esiste oggi più che allora una dimensione di sicurezza nell’Unione Europea. Nell’Unione Europa, l’integrazione è ormai tale che gli interessi nazionali non sono più vitali, e quelli vitali, per i quali entrano in gioco le armi nucleari, non sono più nazionali. Inoltre sia inglesi che francesi fanno una faticaccia a mantenere i costosi deterrenti nazionali e, come ha dimostrato il recente incidente tra i loro sommergibili, rischiano addirittura il ridicolo a non coordinarsi. Europeizzando il tutto, magari anche all’interno della NATO, ora che i francesi sono rientrati nella struttura integrata, si ammortizzerebbero i costi da una parte. E dall’altra si disarmerebbe, perché dai due «grilletti nucleari» europei si passerebbe ad uno solo, e sarebbe una riduzione più importante dello smantellamento di qualche centinaio di ferri vecchi in qualche bunker in giro per l’Europa.

Infine una proposta nuova per i colleghi esperti strateghi di oggi : invece di armi nucleari occupiamoci di argomenti meno eclatanti ma più importanti per la nostra sicurezza, come le centinaia di milioni di mine anti-uomo sparse per il mondo o la proliferazione delle armi automatiche, con queste ultime che dai teatri di guerra arrivano in grandi numeri anche nelle nostre città. Queste due categorie di armi, oltre ad essere militarmente quasi inutili a detta degli stessi militari, ammazzano soldati e civili innocenti ogni giorno di ogni settimana di ogni mese di ogni anno. Se potessi scegliere tra eliminare tutte le armi nucleari dal mondo o tutte le mine anti-uomo e le mitragliatrici? Meglio eliminare queste ultime, senza dubbio, ma questo sarebbe forse meno utile a pubblicare articoli iperbolici e ad viaggiare sul «gravy train».

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