06 January 2007

Palla avvelenata a Eboodohoo, atollo di Ari, Maldive

Ormeggiamo ad un centinaio di metri dalla spiaggia bianchissima. Accanto a noi ha dato fondo una barca maldiviana, di una decina di metri di lunghezza, che ora è vuota. Andiamo a terra e incontriamo molti maldiviani sulla spiaggia, circa un centinaio. Sono i passeggeri della barca vuota, l’unica oltre alla nostra. Difficile immaginare che siano stati tutti stipati in quello scafo, ma è proprio così. Nessuno di loro fa il bagno.

Su una lingua di sabbia che si allunga dalla spiaggia verso il mare una ventina di bambini ed adolescenti giocano ad una specie di «palla avvelenata». Due squadre di 3-4 persone sono ai due lati opposti di un quadrato immaginario sulla sabbia, al centro del quale sta un terzo gruppo di una decina di ragazzi. A turno ciascuna squadra tira una palla cercando di colpire qualcuno tra la mischia che sta in mezzo. Tutti cercano di schivare la palla, e quando uno è colpito è eliminato ed esce dal gioco. Vince chi rimane per ultimo al centro del campo, e poi si ricomincia. Sono particolarmente brave a tirare la palla le bambine, tutte naturalmente imbacuccate di nero dalla testa ai piedi.

Cerchiamo di fare due chiacchiere con questi ragazzi, ma non è facile. In parte la difficoltà di conversazione è dovuta alla lingua. Per quanto tutti qui studino l’inglese, il livello è piuttosto basso, il loro vocabolario generalmente limitato. Un piccoletto di quattro o cinque anni però è molto disinvolto, si atteggia a capetto di tutti i ragazzini. Mi avvicina e mi chiede, serio serio, se sono mussulmano. Io sorrido e gli dico di no. Poi mi chiede se sono cristiano e gli dico pure di no, non tanto per intavolare una discussione teologica quanto per sondare il suo modo di pensare. La terza domanda, a bruciapelo, è: «Ma se non sei mussulmano e non sei cristiano, che sei?»

Mi trovo in difficoltà. Che gli dico? Certo non posso dirgli che sono un liberale, agnostico, riformista, scettico, con simpatie per l’illuminismo e per il buddhismo (ma solo come filosofia e non come religione) e convinto della necessità di separazione tra Stato e Chiesa nel pieno rispetto della fede religiosa di chi ce l’ha, qualunque essa sia, basta che rispetti a sua volta quella degli altri. O che sono cresciuto in una cultura giudeo-cristiana, che ho inevitabilmente in parte assorbito, ma resto molto autocritico ed aperto ad assorbire elementi di culture diverse che mi possano arricchire.

Alla fine farfuglio qualcosa sulla necessità di pensare con la propria testa, ma è chiaro dal suo sguardo che non mi sono spiegato affatto e tantomento l’ho convinto. Non ho convinto neanche me stesso veramente. Dal suo sguardo infatti penso di essere notevolmente scaduto nella sua considerazione, anche se era venuto da me proprio perché sono il capo della gente della mia barca, e nella cultura degli atolli il capo è sempre il capo. Spero che quando sarà un po’ più grande forse si ricorderà della nostra breve conversazione e la misurerà con occhi diversi. E comunque spero che, anche se non se ne ricorderà, capirà che al mondo non ci sono solo mussulmani o cristiani, e che anche mussulmani e cristiani non sono solamente mussulmani e cristiani ma anche tante altre cose. Di questi tempi, tanti adulti, mussulmani e cristiani, sfortunatamente continuano a non capirlo.

Vivere in una società moderna e complessa rende più difficile spiegare la propria identità, soprattutto in termini semplici, come è necessario per farsi capire da un bambino. Tutto sommato questo è un bene, perché vuol dire che abbiamo identità complesse, sfaccettate, non a senso unico. Amartya Sen spiega bene, nel suo libro Identità e Violenza, che spesso è proprio da un’identità unica o comunque preponderante che ha origine la violenza contro chi di identità unica e preponderante ne ha un’altra. Invece se ci rendiamo conto di avere tutti identità multiple, più facilmente potremo accettare le molteplicità degli altri. Ma a tutto questo ci penso adesso, con calma. Lì per lì sono stato preso alla sprovvista, dopo anni di ricerca politologica e dibattiti in conferenze internazionali mi trovo spiazzato con un bambino maldiviano di neanche cinque anni.

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