15 April 1987

NON PRIMO USO E CONGELAMENTO DELLE ARMI NUCLEARI

Contributo di Marco Carnovale al progetto "Unilateralismo: Opzioni per l'Italia", dell'Istituto Affari Internazionali (IAI) e dell'Istituto per le Ricerche sul Disarmo, lo Sviluppo e la Pace (IRDISP).

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Nell'ambito delle possibili iniziative unilaterali (e non) che le potenze nucleari potrebbero intraprendere nel settore del controllo degli armamenti nucleari, si possono distinguere due grandi categorie: le iniziative volte al controllo della quantità e della qualità delle armi spiegate sul campo, e quelle volte al controllo dei criteri per il possibile uso delle stesse armi.

Nella prima categoria, che potremmo definire di controllo dell' hardware nucleare, cadono la maggioranza degli accordi sinora negoziati tra potenze nucleari esistenti (SALT, Trattato ABM) o potenziali (Trattato di Nonproliferazione). In questa categoria si trovano anche quasi tutte le proposte al momento sul tavolo dei negoziati di Ginevra.


Nella seconda categoria, che potremmo definire di controllo del software nucleare, si trovano altre iniziative come il Trattato per la Limitazione Parziale degli Esperimenti Nucleari (LTBT, dall'inglese Limited Test Ban Treaty) ed i recenti accordi tra Nato e Patto di Varsavia (che coinvolgono per per lo più forze convenzionali) sulla regolamentazione degli spiegamenti e delle manovre di forze in Europa.

In entrambe le categorie, quasi tutti i negoziati ed i trattati per il controllo della armi nucleari, sulla scia di tutti i maggiori trattati dell'anteguerra dalle Convenzioni dell'Aia in poi, sono stati sinora caratterizzati dalla ricerca di una qualche reciprocità nelle limitazioni da imporsi nell'interesse comune. La più importante eccezione a questo proposito senza dubbio il summenzionato Tnp (Trattato di Nonproliferazione), ove decine di paesi hanno unilateralmente rinunciato a dotarsi di armi nucleari. Tuttavia anche nel Tnp ai paesi militarmente nucleari (PMN) stato richiesto l'impegno alla riduzione ed eventuale eliminazione degli arsenali esistenti ed all'assistenza nucleare a fini pacifici.

Prevalenza storica quindi del bilateralismo o del multilateralismo in materia di limitazione degli armamenti, e presenza quasi senza eccezioni di criteri di reciprocità. È probabilmente sopratutto a causa di questa prevalenza che molti politici e studiosi ritengono il negoziato bi- o multilaterale e la reciprocità una conditio sine qua non per la rinuncia a questo o quel sistema d'arma o per l'adozione di misure volte ad una qualche limitazione operativa della forza armata. Questa conditio è  tuttavia ingiustificata, perché è indubbio che, in tutti i paesi, innumerevoli sono state le decisioni nazionali unilaterali in materia di sicurezza nazionale che hanno coinciso con misure di controllo e di limitazione dell'apparato bellico (riduzioni, smantellamenti, rispiegamenti di armi e di uomini). Le motivazioni sono state le più disparate: costi troppo elevati, scarsa affidabilità, sostituzione con sistemi più moderni, pressioni di politica interna, ecc. Il problema non dunque tanto di stabilire se iniziative unilaterali per il controllo e la limitazione degli armamenti potrebbero essere auspicabili, ma quali.

In questo capitolo si analizzeranno due proposte di iniziativa unilaterale per il controllo delle armi nucleari della NATO, con lo scopo di valutare se esse possano, al di là della reciprocità che potrebbe venir negoziata col Patto di Varsavia, diminuire i pericoli di conflitti in Europa e quindi meglio garantire quella sicurezza alla quale gli armamenti sono preposti.

La prima proposta, che rientra nella categoria software nucleare che la Nato adotti una dottrina di non primo uso (NFU, dall'inglese no first use) nucleare. Col termine NFU si intende la rinuncia unilaterale all'opzione, in caso di crisi o di conflitto convenzionale, di ricorrere all'uso di armi nucleari prima che l'abbia fatto la parte avversa. Si vedrà come si discutono poi molte varianti di questo concetto di base, ma bene chiarire subito che col termine "primo uso" non si intende "primo colpo", e cioè un attacco nucleare alle forze nucleari avversarie avente lo scopo di disarmare il nemico, per guadagnare all'attaccante un vantaggio decisivo nel conflitto. La distinzione importante soprattutto perché il primo uso fa parte integrante della dottrina della Nato, mentre il primo colpo è ufficialmente respinto sia per quanto concerne i criteri di programmazione dell'acquisizione delle forze che nelle finalità che si propone.

La seconda proposta, che rientra invece nella categoria dell' hardware nucleare, è che l'arsenale nucleare della Nato venga bloccato (o "congelato" secondo la terminologia anglosassone) agli attuali livelli di forza. Anche in questo caso, si vedrà come su un concetto di base relativamente semplice come quello di "fermarsi dove siamo" si sviluppino varianti tecnicamente complesse dovute in parte alla complessità di ci che si vuole congelare ed in parte alla difficoltà di verifica di eventuali accordi.

Si sono scelte queste due proposte tra le moltissime iniziative unilaterali discusse da politici ed osservatori, per vari motivi. Primo, entrambe sono proposte interessanti in quanto si potrebbero definire "moderate", nel senso che non vengono avanzate da parti ideologicamente sospettabili di pregiudizio. Per esempio, NFU appoggiata da molti dei più autorevoli esperti statunitensi vicini all'establishment, tra cui almeno un ex segretario della difesa, Robert McNamara, che molto ha contribuito alla formazione dell'attuale strategia nucleare della Nato. Inoltre, una risoluzione di appoggio al congelamento, anche se con molte riserve, è stata adottata dalla Commissione Affari Esteri del Congresso degli Usa nel 1982 per essere poi respinta con un margine di soli due voti (204 contro 202) dall'assemblea plenaria.

Secondo, entrambe hanno avuto un ruolo importante nel dibattito sulla sicurezza che si è  sviluppato negli ultimi anni sia negli Stati Uniti che in Europa occidentale (in qualche misura le proposte di congelamento hanno avuto seguito anche in qualche paese del Patto di Varsavia).

Dopo aver esposto le principali argomentazioni sia a favore che contro l'adozione delle due misure menzionate, cercherò di delinearne le prospettive future e di trarre qualche conclusione più generale per l'unilateralismo nucleare nella Nato.

Il NonPrimo Uso delle Armi Nucleari

Il dibattito sull'opportunità di riccorrere all'uso di armi nucleari nel corso di un conflitto è vecchio quanto le armi nucleari stesse. Già  dalla vigilia del bombardamento di Hiroshima s'era sviluppato nei ristretti circoli americani preposti alla decisione dell'impiego dell'arma nucleare contro il Giappone un dibattito sulla sua opportunità. Con l'avvento dell'era atomica e dell'acquisizione di armi nucleari da parte dei due blocchi contrapposti in Europa, la questione del primo uso si è indissolubilmente intrecciata con la ricerca di una strategia di deterrenza e di difesa nucleare per l'Alleanza.

Si può accennare che ci sono stati in passato simili dibattiti riguardo ad altre armi che, per la loro brutalità, generavano pressioni a negoziarne la messa al bando. Quest'ultima è stata spesso tanto più efficace quanto più le parti contraenti non si aspettavano benefici militari da una sua violazione, anche unilaterale ed a sorpresa. Sfortunatamente, tali accordi non sono stati molti.

Caso sintomatico ed importante fu la messa al bando nel primo dopoguerra dell'uso delle armi chimiche, che tanto orrore e tanto pochi risultati militari avevano procurato nella Grande Guerra. È interessante notare che, forse proprio perché non c'era poi da aspettarsi grossi vantaggi militari dal loro uso, durante la Seconda Guerra Mondiale nessun belligerante ne abbia fatto uso.

Il primo uso nucleare come compensazione della apparentemente insanabile inferiorità quantitativa convenzionale che nessuno, o quasi, metteva in discussione, entrava a far parte della dottrina della Nato verso la metà degli anni '50, quando divent ovvio a tutti che i livelli di forza convenzionale concordati nel 1952 non sarebbero stati raggiunti, e che sarebbe stato necessario acquisire pi forza militare per unit di spesa ("a bigger bang for the buck", letteralmente "un botto pi forte per il dollaro" come voleva un motto in voga al tempo) puntando sul nucleare. Nel 1954 la Nato codific la dottrina della "rappresaglia massiccia", incorporata nel documento MC 14/2, che prevedeva l'uso del nucleare immediatamente o quasi in caso di attacco sovietico in Europa. Le autorit della Nato cercavano di convincere sia i sovietici che i molti occidentali, soprattutto in Europa, che rimanevano preoccupati della preponderanza convenzionale sovietica, che "non si tratta pi di chiarire 'se saranno usate', in quanto definitivamente certo che 'saranno usate, se saremo attaccati'", come ebbe a dire in una celeberrima conferenza l'allora viceComandante Supremo delle Forze Alleate in Europa (Deputy Saceur) Bernard L. Montgomery.

Non questa la sede per una rielaborazione delle argomentazioni pro e contro il MC 14/2; basti sottolineare come l'adozione di quel documento signific l'abbandono ufficiale di ogni tentativo di raggiungere gli scopi prefissi nel 1952 a Lisbona (e cio di rafforzare il dispositivo convenzionale fino a che esso avrebbe potuto da solo scoraggiare e se necessario fronteggiare un attacco) a favore di quello che veniva definito il "New Look", e cio un tentativo di sviluppare alternative che potessero raggiungere gli stessi obiettivi di Lisbona ma con minore spesa. Fu presto chiaro che l'unico modo di far ci era quello di enfatizzare il deterrente nucleare come arsenale e la minaccia del primo uso nucleare come strategia per prevenire o contrastare anche attacchi solo convenzionali. L'idea sedusse la maggioranza degli europei. Era rassicurante pensare che si poteva ora garantirsi la propria sicurezza con la minaccia del primo uso nucleare, lasciando agli Stati Uniti la responsabilit e l'onere di gestirla. La promessa di difesa americana era non solo rassicurante ma, agli occhi degli europei, credibile, perch i sovietici non disponevano ancora di un dispositivo nucleare equivalente con cui minacciare il territorio americano.

Ma le speranze riposte nella difesa nucleare a buon mercato non durarono molto. L'accrescersi della capacit nucleare sovietica mise presto in dubbio la credibilit della difesa americana dell'Europa. Inoltre, gli studi su eventuali future battaglie nucleari in Europa e le esercitazioni Nato in cui si simulava l'uso, anche relativamente limitato, di armi nucleari per la difesa del fronte centrale, fornivano responsi tutt'altro che rassicuranti. Il danno umano e materiale, per i difensori quanto per gli attaccanti, era al di l di quanto potesse essere ragionevolmente considerato accettabile. Si prospettava per l'Europa occidentale la possibilit che, ad un attacco convenzionale sovietico, la scelta sarebbe stata tra la resa e la distruzione nucleare.

Tuttavia la maggioranza degli Europei aborriva il pensiero di dover ricominciare ad occuparsi di come si sarebbe combattuta la prossima guerra convenzionale sul continente, e preferiva continuaread affidarsi, quasi ciecamente, agli americani.

Se per gli europei preferivano ignorare il duplice problema della credibilit e della distruttivit della difesa nucleare, il nodo veniva comunque al pettine in sede Nato nel 1962, quando il Segretario della Difesa americano McNamara annunciava l'abbandono della dottrina della rappresaglia massiccia a favore della "risposta flessibile", che prevedeva l'uso del nucleare solo in una fase relativamente avanzata del conflitto, ove il convenzionale non fosse bastato. Non questa la sede per dilungarsi sul merito della nuova dottrina, che dopo prolungate resistenze europee venne adottata dall'alleanza nel 1967. Basti sottolineare che, anche se in forma meno inequivocabile di prima, rimaneva la minaccia del primo uso come parte integrante del deterrente Nato.

Il dibattito perciò continuava a svilupparsi sul quando e sul come tale uso sarebbe stato di giovamento alla difesa della Nato se il suo effetto deterrente avesse fallito. Tale dibattito acquisiva nuovo vigore e più alto profilo anche politico quando quattro autorevolissimi esponenti americani pubblicavano un articolo in cui sostenevano che il primo uso non era in nessun caso nell'interesse della difesa dell'Europa e chiedevano che la Nato adottasse una nuovadottrina in cui lo si ripudiasse senza riserve. A quell'articolo ne seguirono moltissimi altri, di molti autori europei ed americani. Il dibattito tutt'altro che esaurito, ed anzi si spesso colorato di pregiudizi politici che poco hanno a che fare con le considerazioni strategiche e militari che dovrebbero governare la scelta di una dottrina militare. Nelle pagine che seguono cercher di fornire una selezione delle argomentazioni pi convincenti, e meno ideologizzate, che sono state proposte da sostenitori ed oppositori dell'adozione del NFU.

I sostenitori del NFU sottolineano che in decenni di elaborazione strategica nessuno sia ancora riuscito a dimostrare in che modo le armi nucleari possano essere utilizzate operativamente ed apportare vantaggi significativi ad una eventuale difesa della Nato da un attacco del Patto di Varsavia. Si fa notare che "i primi piani di uso nucleare erano segretissimi ed altamente ipotetici", in quanto, specialmente dopo la celebre (o meglio, famigerata) esercitazione "Carte Blanche" non appariva pi affatto scontato, come si erainizialmente speculato, che la difesa sarebbe stata avvantaggiata rispetto all'offesa dall'uso di armi nucleari contro le concentrazioni di forze convenzionali di quest'ultima.

Gli oppositori del NFU rispondono che comunque la minaccia del primo uso inserice nei calcoli sovietici un elemento di incertezza che rafforza la deterrenza, e che quindi si riduce la probabilit che si scateni un conflitto, nucleare e non. Infatti, aggiungono, grazie alla minaccia del primo uso nucleare l'Europa ha goduto di quattro decenni di pace che altrimenti, alla luce delle molteplici crisi intercorse tra i due blocchi, sarebbero molto probabilmente stati interrotti da conflitti armati, se pur solo convenzionali.

Oppositori e sostenitori del NFU sono in maggioranza d'accordo oggi molto più che in passato sulla necessità di rafforzare le difese convenzionali della Nato per alzare comunque la soglia nucleare, a prescindere dal fatto che si adotti o meno il NFU. Ma mentre i secondi la vorrebbero alzare ad oltranza, i primi credono che mantenere, esplicitamente, l'opzione nucleare rafforzerebbe la deterrenza, per i motivi citati sopra.

Per quanto concerne specificamente la distruttività di una eventuale guerra nucleare che abbia lo scopo di difendere un certo territorio ed una certa popolazione, i proponitori del NFU sottolineano che sinora "nessuno ha fornito argomentazioni persuasive per convincere che un qualsiasi ricorso al nucleare, anche il più limitato, possa offrire una garanzia affidabile di rimanere limitato" di non diventare cioè il preludio di una guerra nucleare generalizzata. Su ciò i più sono d'accordo, ma mentre per chi propone il NFU la possibilità di una guerra generalizzata di per se un un pericolo assolutamente da evitare, per gli oppositori del NFU questo pericolo va misurato paragonandolo a quello di altri tipi di conflitti.

In altre parole, dovendo scegliere tra una minore probabilità di conflitto nucleare (se pur più distruttivo) ed una maggiore probabilità di conflitto convenzionale (se pur meno distruttivo), gli oppositori del NFU tendono a favorire la prima, mentre i sostenitori del NFU la seconda.

I sostenitori del NFU mettono in discussione anche quello che tradizionalmente era stato uno dei cavalli di battaglia dei suoi oppositori, e cio la convenienza economica di una difesa imperniata sul nucleare. Si sostiene invece che la rinuncia al primo uso ridurrebbe di molto i requisiti nucleari in termini di livelli di forza in quanto per garantire un "secondo uso" basterebbe un deterrente minimo che potesse sopravvivere al primo uso nemico, e non servirebbe la complicata e diversificata macchina da guerra nucleare attualmente spiegata dalla Nato e che viene continuamente modernizzata. Ciò che così si risparmierebbe si potrebbe devolvere al rafforzamento dell'apparato convenzionale, contribuendo in tal modo ad alzare la soglia nucleare e diminuire quindi ulteriormente il pericolo di guerra nucleare generalizzata. A ciò viene risposto da coloro che credono nel primo uso e nella deterrenza nucleare ma non nel "primo colpo" (vedi sopra) e nella possibilità di una "vittoria" in caso di guerra nucleare, che anche una dottrina di primo uso potrebbe basarsi su un deterrente minimo, purché invulnerabile, a patto che si prefigga solamente di scoraggiare un attacco, e non di sconfiggerlo. A chi pone il problema di cosa accadrebbe se la deterrenza fallisse, i sostenitori del deterrente minimo rispondono che, inevitabilmente, la guerra si generalizzerebbe e non ci sarebbero né vinti né vincitori.

Oltre alle implicazioni strategicomilitari del NFU (deterrenza, difesa, controllabilità, livelli di forza, ecc.) non si possono trascurare quelli che sarebbero gli effetti della nuova dottrina sulle relazioni interatlantiche e sulla coesione dell'alleanza. Si nota a questo proposito come in prevalenza dalla fine degli anni '50, e cioè da quando i sovietici hanno acquisito la capacità di colpire il territorio americano con missili nucleari, siano stati gli americani a proporre una graduale convenzionalizzazione delle difesa dell'alleanza, ed in particolare dell'Europa. Tale preferenza americana facilmente comprensibile, in quanto un conflitto convenzionale potrebbe toccare gli Usa, nel peggiore dei casi, solo marginalmente. Non che gli americani non siano interessati alla difesa dell'Europa ed alla prevenzione di qualunque tipo di guerra; ma, dal punto di vista americano, le guerre non sarebbero tutte uguali.

Gli europei invece fanno meno discriminazioni tra guerra nucleare e convenzionale, in quanto una ennesima guerra anche "solo" convenzionale in Europa porterebbe distruzioni senza precedenti, tanto che fare distinzioni tra queste e quelle che conseguirebbero ad un conflitto nucleare perde forse del tutto di significato.

Non sorprende quindi che i sostenitori del NFU siano in maggioranza americani, mentre la maggioranza degli "establishmment" europei sia contraria o, al più, scettica. Con ciò non si vuol per dire che la maggioranza degli americani (operatori militari, politici, od osservatori) sia favorevole al NFU: se così fosse, il NFU sarebbe forse già dottrina per tutta la Nato. Né si vuol dire che la maggioranza degli europei veda con favore un uso precoce indiscriminato del nucleare.

Vanno infatti sottolineati alcuni elementi di schizofrenia che sono emersi nel tempo sia nelle posizioni degli americani che degli europei. Se vero che gli americani tendono a ridurre l'enfasi sulla difesa nucleare è anche vero che quando di primo uso nucleare si è parlato essi hanno spinto per un uso non solo precoce ma anche massiccio, purché finalizzato ad obiettivi strettamente militari e confinato alle operazioni militari in corso. La preoccupazione costante che sottosta a questo tipo di proposte è sempre la stessa: cercare di risolvere un problema militare al più presto, prima che il conflitto possa assumere (volenti o nolenti le parti in causa) proporzioni globali. E risolverlo localmente, per evitare finché possibile di fornire incentivi all'Urss per allargare la geografia del conflitto per includere il nordamerica: evitare quindi finché possibile di colpire il territorio sovietico.

Spesso non meno contraddittorie le posizioni degli europei, da una parte ansiosi sia di coinvolgere, subito e massicciamente, gli americani in un qualunque ipotetico conflitto europeo, sia di assicurare la nuclearizzazione di tale conflitto (soprattutto allo scopo di scoraggiare i sovietici dallo scatenarlo); e dall'altra terrorizzati dall'eventualità di uno scambio nucleare combattuto sì dagli eserciti sovietico ed americano, ma sul territorio europeo, che lasciasse invece indenni dall'apocalisse nucleare i territori dei due paesi che di tale apocalisse sarebbero i principali esecutori, anche se non necessariamente i maggiori responsabili.

Queste schizofrenie, europee ed americane, impongono di mantenere qualche riserva su quello che potrebbe essere l'effetto dell'adozione del NFU sull'alleanza. Molto dipenderebbe dalla contingenza di politica interna del momento nei vari paesi europei. Tuttavia, in tutta probabilità, il NFU verrebbe interpretato dalla maggior parte degli europei come un ulteriore passo americano verso la denuclearizzazione della difesa dell'Europa e, pertanto, verso la separazione di tale difesa da quella degli Usa stessi. In prospettiva storica, un altro esempio di isolazionismo americano.

In conclusione, si deve ammettere che rimane molta incertezza su quelle che sarebbero le conseguenze del NFU sulla deterrenza, sulla controllabilità di un eventuale conflitto e sulla coesione dell'alleanza atlantica. Tale incertezza è dovuta al fatto che non si può né provare che in mancanza della dottrina di primo uso la cose sarebbero andate meglio in passato, né che adottando il NFU andrebbero meglio in futuro, ma neanche il contrario. Pertanto, c'è chi suggerisce di lasciare le cose come stanno perché non si sa come migliorarle.

Chi scrive è  leggermente meno agnostico. Anche se poco si può provare scientificamente, c'è molto spazio per un'analisi informata. Il problema è semmai di chiarirsi quali obiettivi la Nato si prefigge ed in quale ordine di priorità.

Per quanto riguarda la deterrenza e la controllabilità di un conflitto in Europa, è opinione diffusa che maggiore è la minaccia di uso nucleare e minore è la probabilità di scoppio di un conflitto; ma qualora un conflitto dovesse comunque scoppiare esso sarebbe meno facilmente controllabile.

Per contro, la dottrina di NFU potrebbe diminuire la probabilità di "escalation" nucleare e quindi garantire una maggiore controllabilità di un possibile conflitto a livelli più bassi di violenza; ma proprio per questo, se intesa seriamente, tale dottrina potrebbe rendere le conseguenze di un conflitto armato più calcolabili e quindi, ceteris paribus, aumentare le probabilità che esso scoppi.

È preferibile avere una maggiore probabilit che scoppi una guerra più limitata o una minore probabilità che ne scoppi una incontrollabile o quasi? Le opinioni divergono a secondo, spesso, del punto di vista geografico: la maggior parte degli americani, almeno a livello di establishment, preferisce la prima possibilità, in quanto una guerra convenzionale o, forse, anche una nucleare limitata, lascerebbe il territorio Usa intoccato. Gli europei, che verrebbero comunque pesantemente investiti da qualunque conflitto, generalmente prediligono la seconda. È necessario sottolineare che si parla qui di probabilità comunque molto basse allo stato attuale delle relazioni internazionali ed in particolare dei rapporti Est-Ovest; tuttavia, il dilemma permane e la scelta è inevitabile.

Il Congelamento della Armi Nucleari

La seconda proposta di opzione unilaterale analizzata in questo capitolo è  quella del congelamento degli arsenali nucleari. Il principio fondamentale che rende questa proposta intuitivamente interessante è semplice: dato che esistono negli arsenali delle superpotenze quantitativi tali di ordigni da poter soddisfare abbondantemente ogni ragionevole requisito di forza per il mantenimento di un deterrente nucleare e dato che quindi ulteriori aumenti di forza incontrerebbero utilità marginali minime se non nulle, perché non fermare la crescita degli arsenali stessi ai livelli attuali?

Prima di passare ad analizzare una per una la argomentazioni che vengono addotte da proponitori e oppositori del "congelamento" a sostegno delle rispettive posizioni, bisogna chiarire cosa si intende con questo termine. Esistono infatti svariate versioni di congelamento. Esamineremo qui le due principali categorie nelle quali si possono raggruppare le pi importanti di tali versioni. La prima categoria, che si potrebbe definire congelamento quantitativo, indica il blocco di nuove acquisizioni negli arsenali nucleari: si propone cioè che il numero delle armi non aumenti. Il concetto è semplice, forse troppo semplice in quanto lascia troppi dettagli indefiniti. Esistono quindi delle varianti su questo tema di base. C'è il congelamento che si potrebbe definire quantitativo senza sostituzioni, che prevede il divieto di sostituire armi di nuova fabbricazione ad armi più vecchie che venissero ritirate. Un congelamento quantitativo con sostituzioni lascierebbe per contro la facoltà alle parti contraenti di effettuaretali sostituzioni.

La seconda categoria, che si potrebbe definire congelamento qualitativo, indica il blocco dello sviluppo tecnologico applicato alle armi nucleari. Lo scopo qui è quello di prevenire la realizzazione di armi sempre più micidiali o per la loro distruttività o per caratteristiche destabilizzanti. Un congelamento qualitativo potrebbe essere a sua volta di due tipi diversi: assoluto, nel caso che nessuna modernizzazione di alcun tipo venisse permessa; o condizionale, nel caso in cui modernizzazioni venissero permesse solo se volte al fine di aumentare la stabilità complessiva dell'arsenale, per esempio aumentandone l'invulnerabilità.

Sia un congelamento quantitativo che qualitativo possono poi essere totali o parziali, a secondo che tutte le armi nucleari siano coperte ovvero che lo siano solo alcune categorie.

I vantaggi che i proponitori del congelamento indicano sono molteplici e di natura molto varia, e dipendono in larga misura da quale dei tipi di congelamento sopra descritti viene di volta in volta adottato. Esaminerò qui alcuni di questi potenziali vantaggi e li confronterò con le controargomentazioni di chi al congelamento invece si oppone. Questa rassegna raccoglie le tesi che maggiore spicco hanno avuto nel dibattito specialistico in materia. Inoltre si porrà qui particolare attenzione alle implicazioni di un congelamento unilaterale invece che reciproco con l'Unione Sovietica e/o altre potenze nucleari.

Primo, il congelamento quantitativo senza sostituzioni potrebbe essere un buon terreno comune tra disarmisti e chi ha paura che accordi che prevedano rapide riduzioni delle forze di deterrenza potrebbero in qualche modo favorire gli avversari dell'Occidente. Come ho avuto modo di indicare sopra nella discussione del NFU, c'è chi non considera l'eventuale eliminazione del deterrente nucleare come positiva, mentre il suo congelamento potrebbe essere accettato almeno da chi tra costoro al nucleare chiede solo una funzione di deterrenza pura (o "minima") e non capacità di combattere in modo militarmente efficace.

Infatti, un arsenale nucleare che venisse congelato senza la possibilità di sostituire componenti che superino il limite della loro vita operativa soffrirebbe necessariamente di una affidabilità sempre più ridotta. Tale ridotta affidabilità ridurrebbe la capacità dei possessori di quell'arsenale di lanciare un attacco di primo colpo, per il quale si richiede un'altissima affidabilità; non muterebbe invece sostanzialmente la capacità di secondo colpo, o di rappresaglia, in quanto a tale scopo basta che anche solo una percentuale ridotta degli ordigni possa essere utilizzata. I comandanti di siffatti arsenali sarebbero quindi scoraggiati a lanciare un attacco per primi, in quanto il grado di riuscita dello stesso sarebbe altamente incerto; ma saprebbero invece che l'arsenale nemico, anche se ugualmente inaffidabile, potrebbe comunque rispondere con una parte, per quanto piccola, delle forze che sopravviverebbero al primo colpo e con esse infliggere danni con tutta probabilità inaccettabili. Questa incertezza del'attaccante, affiancata dalla certezza del difensore, ridurrebbe le probabilità di guerra nucleare.

Chi a questo tipo di congelamento si oppone risponde che, primo, i problemi di verifica sarebbero insormontabili in quanto lecomponenti nonnucleari dalle quali l'affidabilit dipende sarebbero facilmente sostituibili in clandestinit da chi volesse mantenere il proprio arsenale massimamente efficiente ed avvantaggiarsi cos nei confronti di chi restasse ligio ad un accordo di congelamento senza sostituzioni. Secondo, si sostiene a volte che un'adeguata manutenzione delle forze indispensabile a garantire la sicurezza di chi con esse o vicino ad esse lavora in tempo di pace.

Va sottolineato che il congelamento unilaterale senza sostituzioni potrebbe essere accettabile dal punto di vista militare solo se venisse adottata una dottrina di rappresaglia massiccia con pochissime opzioni operative. Infatti non sarebbe possibile fare affidamento in modo credibile in una dottrina quale quella della Nato oggi, che prevede centinaia di possibilità diverse di impiego senza un alto grado di affidabilità dei sistemi d'arma, affidabilità che, come si è detto, verrebbe inficiata da un congelamento senza sostituzioni.

A tutte queste critiche rispondono i proponitori del congelamento quantitativo con sostituzioni, che potrebbe essere inoltreregolamentato per consentire l'introduzione progressiva di armi più stabilizzanti a scapito di quelle attualmente sul campo che pi preoccupano per le loro caratteristiche o per il loro spiegamento. Si potrebbero avere cos arsenali sempre moderni, affidabili per scopi di deterrenza e progressivamente pi rassicuranti contro pericoli di guerra accidentale o di tentazioni di attacco anticipatore.

Altro tipo di congelamento quello "qualitativo", che potrebbe essere a sua volta "assoluto" o "condizionale", a secondo che non si ammetta alcun ammodernamento ovvero che se ne ammettano solo quelli che potrebbero contribuire alla riduzione dei rischi.

Un congelamento qualitativo assoluto si prefiggerebbe lo scopo di fermare lo sviluppo di armi che, per vari motivi (maggiore instabilità, alto costo, ecc.), vengano considerate meno desiderabili delle odierne. Un accordo di congelamento di tal tipo consentirebbe dunque solo la sostituzione di armi obsolescenti con altre identiche in uguale numero, e farebbe quindi rimanere immutata la formazione degli arsenali dal momento dell'entrata in vigore dell'accordo. Tale accordo avrebbe il vantaggio di evitare alterazioni unilaterali dell'odierno sostanziale equilibrio strategico, cheverrebbe così perpetuato sine die. L'ovvio svantaggio è che si perpetuerebbero anche i difetti di tale equilibrio, in termini di instabilità, costi di manutenzione, ecc.

Un congelamento qualitativo potrebbe però essere condizionale se limitasse l'ammodernamento all'introduzione di sistemi d'arma di nuova concezione che sostituissero altri, già spiegati, che più preoccupano perch più destabilizzanti. Per esempio, se si crede che i missili basati a terra siano destabilizzanti perché vulnerabili, si potrebbe consentire lo spiegamento di nuovi missili basati su sottomarini per ogni missile basato a terra che venisse ritirato dal servizio. Tale tipo di congelamento potrebbe essere attuato mediante la messa al bando dell'introduzione di nuovi sistemi appartenenti a ben predefinite categorie.
Entrambi i tipi di congelamento qualitativo potrebbero essere adottati unilateralmente, ma solo se si crede che se l'altra parte non potrebbe comunque ottenere un vantaggio militarmente significativo dall'acquisizione di sistemi cui si rinunciasse unilateralmente. Il discorso torna quindi sul piano della dottrina: la capacità dell'avversario di trarre profitto da un congelamento unilaterale dipende infatti da ci che ci si aspetta dal proprio deterrente. Se ci si prefigge un deterrente minimo con opzioni limitate e obiettiviprecipuamente "countervalue", non pensabile che un congelamento unilaterale porterebbe alcun rischio. Se invece si chiede al proprio arsenale di svolgere ruoli controforza, i requisiti di efficienza militare aumentano moltissimo, e c'è il rischio che l'autoimposizione di restrizioni unilaterali vanifichi le possibilità di riuscita di questo tipo di ruolo.

Conclusioni

Alla luce della discussione sul NFU e sul congelamento, emergono le seguenti tre conclusioni.

Primo, c'è senza dubbio molto spazio per iniziative unilaterali per il controllo degli armamenti nucleari, sia nel software che nell'hardware. L'unilateralismo viene troppo spesso ingiustificatamente associato con passività, indifferenza o, peggio, collaborazionismo con potenziali avversari. Il problema non è invece solo l'avversario, ma spesso soprattutto il disaccordo che permane tra alleati, come il dibattito sul NFU ampiamente dimostra. Una iniziativa unilaterale di indubbia e continua necessità è quindi la ricerca di coesione in seno all'alleanza che sia basata sull'appianamento delle divergenze e non, come troppo spesso accade, sulla politica dello struzzo che permette di ignorare le divergenze lasciando ognuno libero di interpretare come meglio crede accordi vaghi ed ambigui. Ci si riferisce qui soprattutto al disaccordo latente e all'ambiguità sulla strategia della Nato, che determina direttamente il dibattito sul NFU.

Secondo, esistono il più delle volte elementi di incertezza considerevoli che rendono difficilissima una valutazione affidabile dei pro e dei contro di proposte di controllo unilaterale come il NFU ed il congelamento. Conseguenza di ciò è che spesso dall'incertezza nascono prese di posizione ideologizzate a priori. Per esempio, si tende spesso ad associare misure di controllo degli armamenti unilaterali con il disfattismo, oppure, per contro, l'introduzione unilaterale di nuove armi con propositi aggressivi. Gioverebbe probabilmente invece alla causa delle sicurezza comune che il dibattito divenisse invece meno ideologizzato e più incentrato sul merito delle questioni.

Terzo, anche nella migliore delle ipotesi, le misure unilaterali di controllo degli armamenti non possono bastare, da sole, a risolvere i problemi della contrapposizione di potenze nucleari con conflitti di interessi. Alla base della pace dovrà necessariamente rimanere la reciprocità di intenti delle parti in causa. Ciò è forse difficile da accettare perché è sempre difficile ammettere di essere impotenti di fronte a problemi di importanza assoluta, come la pace. Tuttavia, chi scrive crede che né il NFU, né un qualsiasi tipo di congelamento nucleare, né alcun altro tipo di iniziativa unilaterale di software o hardware potrebbero risolvere alla base i problemi che mettono a rischio la pace.

Non è  possibile provare con certezza che tali misure rafforzerebbero o indebolirebbero la stabilità in Europa, aumentando o diminuendo le probabilit che una crisi degeneri in una guerra. Ci potrebbero tuttavia essere altri vantaggi, in termini di risparmio di risorse e di distensione politica, che ne potrebbero derivare. La gestione politica dell'unilateralismo potrebbe infatti essere più importante delle sue conseguenze militari. In mancanza di risposte definitive, bisogna continuare a cercarle.

Chi scrive vuole quindi infine cautelare da una parte contro i facili entusiasmi che spesso sono ricorsi tra i sostenitori dell'unilateralismo e dall'altra contro il pessimismo a priori di chi all'unilateralismo si oppone sempre e comunque come se fosse sintomo di debolezza. Le scelte unilaterali in materia di controllo degli armamenti devono essere considerate spregiudicatamente nel contesto delle scelte di sicurezza di ciascun paese, perché della politica di sicurezza fanno parte.

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