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30 November 1992

Sviluppi in Russia e Yugoslavia

Comunità degli Stati Indipendenti

Nel periodo in esame si è assistito alla frammentazione dell'URSS e alla costituzione da parte di undici delle ex-repubbliche (escluse le tre baltiche e la Georgia) della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). La creazione della CSI è stata sin dall'inizio parvasa da ambiguità istituzionali: la sovrapposizione di competenze (ovvero il vuoto delle medesime) tra istituzioni della Comunità e dei singoli stati ha fatto sì che nel corso del 1992 siano rimaste in una sorta di limbo numerose e vitali questioni di carattere politico, economico e militare.

Dovendo semplificare, si nota come i problemi principali nella divisione hanno toccato in primo luogo il territorio e le minoranze etniche. Prima fra tutte si ricorda la contesa sulla Crimea tra Ucraina e Russia, ma nel sottofondo si intravvedono problemi ancora più gravi tra Russia e Kazakhstan e tra Moldova e Ucraina. La guerra tra armeni e azeri ha continuato a piagare il Caucaso meridionale, mentre in Georgia settentrionale sono esplose violentemente—anche se rimangono circoscritte—le rivendicazioni degli osseti e degli abkhazi.

In secondo luogo, le ex-repubbliche sovietiche hanno negoziato la ripartizione delle forze armate ex-sovietiche. In questo ambito si sono raggiunti accordi (la cui implementazione però richiederà tempo) sulla riassegnazione delle forze nucleari strategiche alla Russia (quelle tattiche sono state tutte trasferite in territorio russo durante la prima metà dell'anno) e sulla suddivisione delle quote di forze convenzionali cui aveva diritto l'URSS in base al trattato CFE.

Infine, numerose trattative sono state avviate sulla suddivisione delle infrastrutture ex-sovietiche, dei beni mobili e immobili e del debito estero. Alla fine del 1992, con tutte queste trattative ancora in fase di risoluzione o di implementazione, i rapporti tra gli stati della CSI rimangono caratterizzati da incertezza diffusa, anche se si prende atto che nessuna disputa connessa alla disgregazione sovietica è risultata ancora in guerra aperta tra le repubbliche. 

Per il 1993, le prospettive sono quindi contraddittorie. In alcuni settori, primo fra tutti quello militare, si prefigura una risoluzione del contenzioso sulla flotta del mar Nero ed una stabilizzazione del processo di ripartizione delle altre forze armate, che saranno comunque ridotte da tutti gli attori principali. Il problema più grave sarà invece quello di controllare l'esportazione del sovrappiù verso paesi terzi, che si sta già verificando e comporta seri problemi di proliferazione, specialmente in Medio oriente.

In altri settori il panorama è meno incoraggiante: si delinea chiaramente il fallimento della riforma economica in Russia, con gravi possibili conseguenze sociali. Il pericolo di un ritorno di fiamma autoritario, acceso da quella che sta diventando una bizzarra alleanza tra militari, burocrati ex-comunisti e nazionalisti di destra, potrebbe essere reso più grave dal disorientamento politico generale, dal crollo della popolarità di Eltsin, da contenziosi nazionalistici alla periferia della federazione e dalla mancanza di credibili alternative democratiche.

Relativamente stabilizzata la situazione nelle altre repubbliche europee, mentre verso est e verso sud si nota il ristabilimento, o meglio il mantenimento, di una forte influenza russa. In Asia centrale Mosca sta trovando una inaspettata intesa politica con la Turchia. In queste repubbliche, c'è un rafforzamento al potere degli apparati ex-sovietici, tutti contraddistinti, se pur in misura variabile, dall'inalberamento della bandiera nazionalista (o persino religiosa, si noti il battesimo del presidente goergiano Shevardnadze!) al posto di quella comunista.


Balcani

Contemporaneamente al disfacimento istituzionale dell'URSS, si ratifica nel gennaio 1992, con il riconoscimento europeo a Croazia e Slovenia, lo smembramento definitivo della Jugoslavia. Risolto il conflitto sloveno già nell'estate del 1991, quello croato si bloccava nel corso della prima metà del 1992 con un sostanziale stallo militare che vedeva le forze serbe occupare circa un terzo della Croazia e le forze del corpo di interposizione ONU (UNPROFOR) attestarsi in regioni contese della Croazia orientale e meridionale. 

Il riconoscimento senza condizioni, contrariamente a quanto raccomandato dallo stesso rapporto comunitario "Badinter", apriva la strada ad una complessa problematica regionale legata al rafforzamento del principio del diritto allo stato nazionale, precedente pericoloso e foriero di un'inestricabile matassa di irredentismi intrecciati. Il riconoscimento, voluto fortemente da Bonn, e contemporaneo all'inizio in dicembre di una politica monetaria tedesca generalmente percepita come in contrasto con gli accordi di Maastricht appena firmati, è stato un segnale importante anche in ambito intra-occidentale: ha segnato la prima decisa riasserzione della politica estera nazionale della Germania unificata.

In primavera si assisteva all'espansione del conflitto alla Bosnia-Erzegovina, riconosciuta dall'occidente in Aprile, con gli slavi musulmani stretti fra un'equivoca alleanza tra serbi, croati e milizie irregolari autoctone filo-serbe. Gli orrori di questo conflitto, particolarmente cruento e senza apparente solubilità, hanno fatto crescere un senso di frustrazione e di impotenza in Occidente, in contrasto con la motivazione che aveva spinto all'intervento contro l'Iraq nel 1991. Al crescente consenso sulla necessità di fare qualcosa, si abbinava infatti la realizzazione che un impegno militare sarebbe stato ben più impegnativo e pericoloso di quello in Kuwait dell'anno precedente.

Prospettive

L'Occidente ha sempre identificato la stabilità con il mantenimento dello status-quo: invece, appariva chiaro almeno dalla fine del 1990 che lo status-quo gorbacioviano non era stabilizzante ma comprimeva (ritardandola, ma allo stesso tempo rendendola più potente) una epocale esplosione dello stato e del partito. 

Gorbaciov ha svolto il suo ruolo storico nel dare il primo, decisivo scossone all' elefantiaco impero sovietico, ma non voleva (e comunque non avrebbe saputo) gestire la transizione verso la democrazia ed il mercato. 

Parimenti, l'Occidente appoggia oggi Eltsin nella convinzione che la sua caduta sarebbe foriera di destabilizzazione; ma Eltsin, che ha svolto il suo ruolo storico nel cancellare il regime sovietico, rivoluzionario di indubbie doti carismatiche e trascinatore di popolo, non è uno statista in grado di governare una democrazia. 

Il problema oggi per i democratici sovietici (che l'Occidente vorrebbe aiutare) non è mantenere al potere Eltsin ma trovare rapidamente un credibile successore.

Di fronte a queste difficoltà di Mosca, l'atteggiamento dell'Occidente è stato politicamente e soprattutto economicamente cauto. All'appoggio entusiasta verso l'ammorbidimento gorbacioviano del comunismo prima, e al colpo di grazia infertogli da Eltsin poi, non faceva infatti riscontro il massiccio impegno economico e finanziario che era stato richiesto dall'URSS prima e dalla Russia e dalla altre repubbliche poi. Gli aiuti economici sono stati esigui, e gli investimenti hanno stentato a decollare a causa dell'elevato rischio politico del paese.

17 November 1991

Mosca: incontro con E, deputato del Soviet Supremo russo

Mi racconta la sua visione del momento di trasformazione in corso:

Qui da noi la Russia vorrebbe fare società miste con l'Occidente per produrre beni poi esportabili nel Terzo Mondo. Abbiamo buone capacità tecniche ma mancano di conoscenze manageriali, di marketing, di finanza, pubblicità, ...

Presto la Russia toglierà all'URSS il controllo dell'emissione valutaria, Gorbaciov è irresponsabile a stampare moneta 24 ore su 24. La Russia accetterà tutto il debito estero dell'URSS, ma si prenderà anche tutti i crediti e tutte le proprietà all'estero.

I centro-asiatici vogliono restare nell'URSS più di quanto i Russi ce li vogliano tenere. Paura del fondamentalismo islamico, già in forte crescita. Problemi seri con le forti minoranze russe in quelle repubbliche, e specialmente in Kazakhstan, dove più della metà della popolazione è di madrelingua russa. (?)

L'islamismo naturalmente può avere idee democratiche, ma in pratica queste non prevalgono (vedi soprattutto Iran).

Non c'è pieno accordo oggi nel governo russo. Probabilmente sarà necessario un periodo di autoritarismo per governare. Questo sia contro le nazionalità ribelli sia per far accettare le riforme in Russia. Non si può continuare con il populismo che si è fatto finora. La volontà di riformare c'era in agosto, ma i nuovi democratici erano impreparati, non sono stati capaci di fare il loro lavoro. Successivamente è subentrata anche una mancanza di volontà politica, lo stesso Eltsin ha cambiato "cappello" (da comunista a capitalista) ma non la mentalità.

Molti non vogliono la privatizzazione perché preferiscono sfruttare una sorta di "privatizzazione illegale", si sta infatti vedendo come i vecchi direttori di fabbriche, di kolkhoz, ecc., possano ora governare di fatto (visto che manca l'autorità centrale) ma senza assumersi le responsabilità della proprietà che ricadrebbero su di loro in caso di privatizzazione. In pratica è una specie di mafia che sarà difficile spezzare.

13 November 1991

Mosca: Incontro con P, esperto russo di disarmo

Mi racconta la sua visione della situazione in Europa.

Unione di sicurezza possibile con Ucraina e Belorussia, anche se ostacoli nel breve termine. Non è certo che Eltsin sarà adatto come leader politico, è un buon rivoluzionario ma non uno statista. Anche per Gorbaciov però non sarà possibile avere più che un ruolo simbolico. Più probabile una svolta autoritaria, oggi c'è molta richiesta per una "mano forte", ma non per un pensiero chiaro, che invece sarebbe più necessario.

Ruzkoi, il vice presidente, potrebbe succedere a Eltsin in primavera, Eltsin soffrirà politicamente dell'inverno difficile. Sarebbe stato più facile per lui iniziare le riforme prima, quando la popolarità era alle stelle, ora sarà più difficile.

La Russia e le repubbliche centro-asiatiche avranno difficoltà ad essere alleate nel lungo periodo. Ci sono troppe difficoltà nella visione dello sviluppo futuro nelle rispettive società. In Asia c'è un crecente fondamentalismo islamico, che porterà quelle repubbliche più vicino all'Iran. L'unione economica sarà più facile, gli interessi sono complementari.

La Russia ha ritirato non solo tutte le armi nucleari, ma anche tutto l'equipaggiamento corazzato pesante dal Caucaso. Dall'Ucraina sono state ritirate le testate dagli ICBM mentre si sta procedendo al ritiro delle tattiche che è ancora in corso. Nel Kazakhstan le testate nucleari tattiche sono custodite in zone popolate da russi, se i Kazaki tentassero di prenderne possesso si rischierebbe la spaccatura della repubblica, abitata in prevalenza da russi al nord e da kazaki al sud. I lucchetti di sicurezza esistono su tutte le testate (più o meno moderni), ma potrebbero essere neutalizzati da capaci ingegneri, mentre sarebbero efficaci contro eventuali furti da parte di terroristi o altri fanatici. É convinto che il presidente ucraino Kravchuk si debba mostrare più interessato alle testate nucleari di quanto non sia veramente per motivi politici interni. Difficile che insisterà troppo al di là del diritto di veto.

L'Occidente ha sbagliato a non insistere con i paesi baltici perché firmassero il TNP, e si impegnassero a non superare pro-rata le rispettive sotto-quote di zona per il CFE. Avrebbe costituito un precedente utile per l'Ucraina. Ciononostante la soluzione politica è probabile, perché è nell'interesse di tutti. La somma delle forze armate di tutte le repubbliche indipendenti sarà probabilmente inferiore al totale sovietico nel CFE.

12 November 1991

Incontro con S, politologo russo

Si parla della divisione dei beni sovietici tra le nuove repubbliche avviate all'indipendenza. L'Accademia della Russia (e non dei Russi, o russa), possiede il 95% delle risorse di quella sovietica, è logico che abbia assorbito la vecchia struttura.

Secondo lui Eltsin non è particolarmente interessato alla politica estera, i suoi consiglieri fanno fatica a fargli fare attenzione alla questione. La Russia dovrebe sostituire l'URSS nella maggior parte delle funzioni, ma non è chiaro se ci saranno veramente 15 stati indipendenti, secondo S. è più probabile un'aggregazione con molti di loro.

Quella di oggi in Russia è una vera rivoluzione, pacifica ma non per questo meno tale. Le cose sono destinate a peggiorare prima di migliorare, sia nelle relazioni tra le repubbliche che all'interno di esse. L'elemento determinante è l'Ucraina, ed è pericoloso perché la dirigenza è molto nazionalistica. Anche se potrebbe volere un deterrente nazionale in futuro, per ora Kiev vuole "acchiappare" le testate nucleari solo per avere una merce di scambio nel negoziato sull'indipendenza, e come status symbol. Si tratta in realtà di terrorismo di stato. Eltsin ad agosto aveva detto che avrebe "preso" le testate dislocate in Ucraina (altre fonti avevano detto che avrebbe "accettato" le testate offertegli da Kiev quando questi aveva detto di voler essere uno stato denuclearizzato).

Interessato a intensificare la collaborazione con l'Italia, ma non tramite i vecchi schemi dell'Accademia; si potrebbe invece fare del fund-raising insieme presso le fondazioni internazionali. Disposto anche a fare un'iniziativa multilaterale con Ucraina e Belorussia e magari altri.

Secondo S., se l'Ucraina si stacca uniltaeralmente dall'URSS, è la guerra. Non esiste, in realtà, l'Ucraina come tale, è stata una creazione artificiale dei Bolscevichi. Eltsin probabilmente ha i giorni contati, il suo successore sarà però ancora più debole e parimenti fallirà. Ciò creerà un'opportunità per una rinascita politica per Gorbaciov, visto che non ci sono peronaggi alternativi, e che potrebbe essere questa volta appoggiato dai militari, che vedrebbero in lui l'unica speranza di mantenere un ruolo preminente.

Il ruolo internazionale della Russia/URSS diminuirà, ma continuerà. Le repubbliche guardano alla Comunità europea per aiuti, staranno a sentire se Bruxelles dovesse minacciare sanzioni in caso di guerra. L'influenza che l'Occidente può avere è generalmente sottovalutata. Sta all'Occidente darsi da fare per auto-coinvolgersi di più degli affari interni sovietici.

C'è bisogno di allargare all'area ex-sovietica un sistema di sicurezza collettiva. Allargare la NATO fino agli Urali, anche senza magari integrare le forze sovietiche ed est europee nella struttura militare (á la francese o, meglio, alla spagnola). Altrimenti si dovrebbe irrobustire la Carta di Parigi.

Se il paese si frantuma, l'aiuto occidentale sarà ancora meno utile di oggi, si perderebbe nella inevitabile guerra economica tra le repubbliche. L'Ucraina lo sta capendo, è già più realistica di qualche settimana fa.