17 October 2003

1° g - 17 OTT: Partenza per le sorgenti del Gange

Eravamo in India centrale, avevamo appena lasciato Varanasi, e dirigevamo verso Aurangabad. Il fumo delle cremazioni viste in riva al Gange ci spiralava ancora davanti agli occhi, l’odore acre della carne umana bruciata ristagnava nelle narici. Il bus si era fermato per l’ennesima volta per una delle periodiche riparazioni lungo la strada, non avremmo capito mai se fosse il radiatore o una sospensione, un giunto... inutile fare troppe domande. Fabrizio, informatico padovano, era sceso a fumarsi una sigaretta e insieme notammo che, sul parabrezza, il nostro autista Kumar aveva apposto un grande adesivo raffigurante un misterioso santone. Interrogato, ci spiegò che lo aveva messo lì quando aveva portato un gruppo di pellegrini alle sorgenti del Gange, nel Garhwal. Già, il Gange, il fiume più sacro dell’induisimo, ...

ne avevamo appena visto il cuore pulsante di pellegrini, funerali e ciarlatani, a Varanasi e Allahbad. Dico a Fabrizio che sarebbe interessante continuare il percorso culturale visitandone le tre sorgenti, Gangotri, Kedarnath e Badrinath, nell’Himalaya indiano. Il pellegrinaggio laggiù rappresenta per gli indù, mutatis mutandis, quello che il viaggio alla Mecca rappresenta per i musulmani, un’una tantum della vita che dovrebbe disintossicare lo spirito dal male terreno e aiutare a preparasi alla prossima vita nell’aldilà (per i musulmani) o di nuovo nell’aldiqua (gli indù reincarnati). Fabrizio non ci pensa due volte... “io ci sono, ma non mi riportare in India troppo presto perché sennò finisce che ci rimango, questo paese mi affascina troppo”. Be’, siamo a Gennaio, in ogni caso in primavera fa troppo caldo, in estate ci sono i monsoni e in Himalaya non si vedono le montagne, ma l’inizio dell’ Autunno è la stagione ideale... “Perfetto” conclude Fabrizio, “a me comunque non piace prendere le ferie ad Agosto, Ottobre va benissimo.” Intanto il radiatore o cos’altro s’era rotto è stato rimesso più o meno a posto, tirerà avanti forse ancora un centinaio di chilometri, la sigaretta è finita e ripartiamo. Ma il pallino del trek alle sorgenti del Gange intanto si era annidato nel nostro cervello, e cominciava a diventare un chiodino fisso...

Detto, fatto. A settembre ci sono 6-7 iscritti, cominciano le sventagliate di email, poi alcune improvvise cancellazioni all’ultimo momento e restiamo ... in tre! Fabrizio, io e Simona, camiciaia bergamasca (pardon, di Canonica d’Adda!) ed imperterrita arrampicatrice, tanto minuta e fragile d’apparenza quanto grintosa e tenace in salita. Temiamo un comprensibile annullamento del viaggio ma da VnM mi fanno sapere che non c’è problema, partiamo lo stesso! Ci si prospetta un viaggio a metà tra il naturalistico ed il mistico in Garhwal, cui abbiamo aggiunto qualche giorno di relax più disimpegnato nel Kumaon (che insieme al Garhwal costituisce lo stato indiano dell’Uttaranchal) alla fine dell’itinerario. Appuntamento a Roma, solito scalo di rito ad Amman con il fedelissimo volo Royal Jordanian, e rieccoci in India. L’arrivo all’aeroporto di Delhi è sempre un piccolo shock, la puzza dell’India ti assale (altro che “L’odore dell’India” di Pasolini, libro peraltro sempre attuale e che consiglio di leggere) ma poi, in poco tempo, a mano a mano che ci si addentra nel paese, il lezzo si trasforma in un magico complesso di profumi, che si mischiano ai vivacissimi colori e ti avvolgono inesorabilmente, fino a che i colori, i profumi e certamente anche i sapori dell’India ti abbracciano e ti rapiscono.

Ci troviamo con un autista che sembra simpatico ma non parla una parola d’inglese e non è mai stato in Uttaranchal. Quando, conscio dei percorsi accidentati che ci aspettano, storco un po’ il naso, il corrispondente di Avventure a Delhi me lo cambia e ci da Pappu, che si rivelerà il migliore autista che abbia mai avuto in tutti i miei viaggi. Guiderà magistralmente, con naturalezza, sempre alla velocità ideale per non perdere tempo (e sulle strade indiane è facile perdere tantisssssimo tempo) ma senza mai rischiare; ci farà sempre sentire sempre sicuri nonostante le strade scassate, il traffico, le mandrie di ovini, caprini e le immancabili mucche, nonché le frane che ci hanno spesso spinto sull'orlo di precipizi da capogiro; inoltre parla abbastanza inglese da comunicare almeno l’essenziale, ci aiuterà in mille occasioni ed è anche una persona simpatica con cui chiacchierare di tante cose... L’ho però spesso dovuto rimproverare (peraltro inutilmente!) quando si ostinava a buttare per terra, o dal finestrino, ogni tipo di rifiuti (carta, plastica, vetro, astucci dei nostri rullini fotogafici) ed alle mie rimostranze sull’importanza di mantenere pulito l’ambiente rispondeva, sorridendo, con un disarmante “This is India!”. Ed eccoci in strada...

Partenza da Delhi, ci mettiamo due ore ad uscire dal caos infernale del traffico cittadino, e quindi sosta Khatauli, buon pranzetto, l’ultimo con carne di qualsiasi tipo in quanto dopo poco entriamo in Garhwal, che è considerata regione sacra, e quindi vi è consentita solo alimentazione vegetariana, e niente alcolici!

Arriviamo a Haridwar nel tardo pomeriggio, e presa la stanza in albergo usciamo per una passeggiata, fermandoci al tramonto ad assistere alla Puja (preghiera) serale lungo le rive del Gange che in questa stagione è poco più di un patetico rigagnolo fangoso; difficile pensare che questo sia il germe da cui sboccia l’immenso fiume che abbiamo visto a Varanasi! La puja è suggestiva, le alte fiaccole sacre illuminano i corpi mingherlini degli officianti, i pellegrini si accalcano stendendo la mano fin quasi a lambire le fiamme per purificarsi, ovviamente c’è chi ci prova e viene a chiederci un’offerta... chissà perché proprio a noi che siamo gli unici occidentali nella mischia...

Posso raccomandare la letture di questo libro di un americano che ha fatto un viaggio molto simile a quello raccontato in questo blog.

Una versione di questo post e dei giorni successivi è apparsa sulla rivista Avventure nel Mondo.




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