25 May 1993

Conversazione sulla politica internazionale: nazionalismo, realpolitick, stabilità e cambiamento.

Oggi ho avuto una lunga conversazione con CM, un senior della dirigenza dello IAI, istituto dove lavoro come ricercatore. Si è parlato di stabilità e cambiamento negli scenari politici europei nei quali è chiamata a giocare le sue carte l'Italia.

Sonnenfeldt (al centro) con Kissinger

Il senior ragiona ancora con i criteri della guerra fredda. Pensa che la contrapposizione tra stabilità e cambiamento sia ancora una vera alternativa. In altre parole, favorire il cambiamento in Europa orientale, per esempio facilitando il loro accesso alla NATO, porterebbe a maggiore instabilità e rischio di conflitto con la Russia.

Penso che fosse così durante la guerra fredda, ed era facile (anche se un po' egoistico) per noi europei occidentali preferire la stabilità. Bastava ricordare cosa era successo nel 1956 in Ungheria, nel 1968 in Cecoslovacchia e nel 1981 in Polonia. Pensavo così anche io fino al 1989. Il cambiamento ci avrebbe portato pochi vantaggi, si diceva, e molti rischi. Quindi conveniva a noi lasciare l'Europa orientale prigioniera nel Patto di Varsavia, ma forse conveniva anche all'Europa orientale stessa, dato che l'alternativa sarebbe stata la repressione militare.

Mentre ovviamente di parere contrario erano quelli che, in Europa orientale, satelliti sovietici, avevano poco da perdere a rischiare il cambiamento.

Insomma era la "dottrina Sonnenfeldt", cui molti in Occidente credevano, ma pochi lo ammettevano allora e nessuno lo ammetterebbe oggi. Sonnenfeldt stesso non lo ammise mai in pubblico. Comunque, a torto o a ragione, il suo pensiero è stato così interpretato e da molti condiviso. Una volta lo incontrai ad una conferenza accademica e gli chiesi se lui veramente voleva lasciare l'Europa orientale ai russi in cambio della stabilità in Europa occidentale. Lui mi rispose un po' evasivamente, e poi purtroppo non ci fu tempo per approfondire.

Io penso però che oggi la contrapposizione tra stabilità e cambiamento sia diventata obsoleta. Oggi stabilità non vuol dire più mantenimento dello status-quo, ma gestione del cambiamento. In questo contesto, quindi, direi che la contrapposizione è piuttosto tra cambiamento e continuità.

In questo periodo va molto di moda parlare, o riparlare dopo tanto tempo, di interessi nazionali, della Realpolitik, anche da parte della sinistra che li ha sempre avversati nel nome dell'internazionalismo socialista. CM pensa ai nazionalisti come ai fautori della Realpolitik. Da questo punto di vista la Realpolitik è il legittimo perseguire dei propri interessi reali, concreti, a differenza di quelli ideali o morali. A questa Realpolitik, secondo lui, bisognerebbe contrapporre una politica multilaterale.

Bisogna invece dire che la Realpolitik italiana oggi richiede che si rafforzi il multilateralismo, perché un approccio unilaterale (cioè nazionalistico) sarebbe velleitario e perdente, soprattutto per un paese del peso dell'Italia.

In altre parole, è il nazionalismo ad essere idealista ed irrealista, mentre il multilateralismo offre le maggiori possibilità di raggiungimento di obiettivi di Realpolitik, cioè dei reali interessi dello stato italiano.

13 December 1992

Occidente e Turchia

Mi chiedono un appunto sulla Turchia per la direzione dello IAI. Eccolo.

Il crescente ruolo internazionale della Turchia pone l'Occidente di fronte ad una scelta: da una parte si potrebbe integrare sempre più il paese nelle istituzioni occidentali, per poterne influenzare quindi in modo decisivo la politica di potenza regionale verso forme democratiche, integrazioniste e secolarizzate. 

Questa prima scelta comporterebbe però degli ovvi costi politici ed economici.

Oppure si può continuare a tenere la Turchia ai margini del sistema Occidente, comoda base militare per la NATO ma fuori dal circolo ristretto delle democrazie europee. Per esempio, da alcune parti si ritiene di non dover ammettere la Turchia nell'Ueo così da non far divergere la membership Ueo da quella della CE. 

Questa scelta comporterebbe però il rischio di una progressiva nazionalizzazione della politica estera di Ankara e magari anche di una sua futura islamizzazione in senso integralista, con i rischi che questo significherebbe per la regione balcanica, per l'Asia centrale ex-sovietica e per il vicino oriente. 

La recente ammissione del paese all'Ueo come membro associato sembra indicare una tendenza verso la prima soluzione, che deve essere ulteriormente incoraggiata in futuro.

30 November 1992

Sviluppi in Russia e Yugoslavia

Comunità degli Stati Indipendenti

Nel periodo in esame si è assistito alla frammentazione dell'URSS e alla costituzione da parte di undici delle ex-repubbliche (escluse le tre baltiche e la Georgia) della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). La creazione della CSI è stata sin dall'inizio parvasa da ambiguità istituzionali: la sovrapposizione di competenze (ovvero il vuoto delle medesime) tra istituzioni della Comunità e dei singoli stati ha fatto sì che nel corso del 1992 siano rimaste in una sorta di limbo numerose e vitali questioni di carattere politico, economico e militare.

Dovendo semplificare, si nota come i problemi principali nella divisione hanno toccato in primo luogo il territorio e le minoranze etniche. Prima fra tutte si ricorda la contesa sulla Crimea tra Ucraina e Russia, ma nel sottofondo si intravvedono problemi ancora più gravi tra Russia e Kazakhstan e tra Moldova e Ucraina. La guerra tra armeni e azeri ha continuato a piagare il Caucaso meridionale, mentre in Georgia settentrionale sono esplose violentemente—anche se rimangono circoscritte—le rivendicazioni degli osseti e degli abkhazi.

In secondo luogo, le ex-repubbliche sovietiche hanno negoziato la ripartizione delle forze armate ex-sovietiche. In questo ambito si sono raggiunti accordi (la cui implementazione però richiederà tempo) sulla riassegnazione delle forze nucleari strategiche alla Russia (quelle tattiche sono state tutte trasferite in territorio russo durante la prima metà dell'anno) e sulla suddivisione delle quote di forze convenzionali cui aveva diritto l'URSS in base al trattato CFE.

Infine, numerose trattative sono state avviate sulla suddivisione delle infrastrutture ex-sovietiche, dei beni mobili e immobili e del debito estero. Alla fine del 1992, con tutte queste trattative ancora in fase di risoluzione o di implementazione, i rapporti tra gli stati della CSI rimangono caratterizzati da incertezza diffusa, anche se si prende atto che nessuna disputa connessa alla disgregazione sovietica è risultata ancora in guerra aperta tra le repubbliche. 

Per il 1993, le prospettive sono quindi contraddittorie. In alcuni settori, primo fra tutti quello militare, si prefigura una risoluzione del contenzioso sulla flotta del mar Nero ed una stabilizzazione del processo di ripartizione delle altre forze armate, che saranno comunque ridotte da tutti gli attori principali. Il problema più grave sarà invece quello di controllare l'esportazione del sovrappiù verso paesi terzi, che si sta già verificando e comporta seri problemi di proliferazione, specialmente in Medio oriente.

In altri settori il panorama è meno incoraggiante: si delinea chiaramente il fallimento della riforma economica in Russia, con gravi possibili conseguenze sociali. Il pericolo di un ritorno di fiamma autoritario, acceso da quella che sta diventando una bizzarra alleanza tra militari, burocrati ex-comunisti e nazionalisti di destra, potrebbe essere reso più grave dal disorientamento politico generale, dal crollo della popolarità di Eltsin, da contenziosi nazionalistici alla periferia della federazione e dalla mancanza di credibili alternative democratiche.

Relativamente stabilizzata la situazione nelle altre repubbliche europee, mentre verso est e verso sud si nota il ristabilimento, o meglio il mantenimento, di una forte influenza russa. In Asia centrale Mosca sta trovando una inaspettata intesa politica con la Turchia. In queste repubbliche, c'è un rafforzamento al potere degli apparati ex-sovietici, tutti contraddistinti, se pur in misura variabile, dall'inalberamento della bandiera nazionalista (o persino religiosa, si noti il battesimo del presidente goergiano Shevardnadze!) al posto di quella comunista.


Balcani

Contemporaneamente al disfacimento istituzionale dell'URSS, si ratifica nel gennaio 1992, con il riconoscimento europeo a Croazia e Slovenia, lo smembramento definitivo della Jugoslavia. Risolto il conflitto sloveno già nell'estate del 1991, quello croato si bloccava nel corso della prima metà del 1992 con un sostanziale stallo militare che vedeva le forze serbe occupare circa un terzo della Croazia e le forze del corpo di interposizione ONU (UNPROFOR) attestarsi in regioni contese della Croazia orientale e meridionale. 

Il riconoscimento senza condizioni, contrariamente a quanto raccomandato dallo stesso rapporto comunitario "Badinter", apriva la strada ad una complessa problematica regionale legata al rafforzamento del principio del diritto allo stato nazionale, precedente pericoloso e foriero di un'inestricabile matassa di irredentismi intrecciati. Il riconoscimento, voluto fortemente da Bonn, e contemporaneo all'inizio in dicembre di una politica monetaria tedesca generalmente percepita come in contrasto con gli accordi di Maastricht appena firmati, è stato un segnale importante anche in ambito intra-occidentale: ha segnato la prima decisa riasserzione della politica estera nazionale della Germania unificata.

In primavera si assisteva all'espansione del conflitto alla Bosnia-Erzegovina, riconosciuta dall'occidente in Aprile, con gli slavi musulmani stretti fra un'equivoca alleanza tra serbi, croati e milizie irregolari autoctone filo-serbe. Gli orrori di questo conflitto, particolarmente cruento e senza apparente solubilità, hanno fatto crescere un senso di frustrazione e di impotenza in Occidente, in contrasto con la motivazione che aveva spinto all'intervento contro l'Iraq nel 1991. Al crescente consenso sulla necessità di fare qualcosa, si abbinava infatti la realizzazione che un impegno militare sarebbe stato ben più impegnativo e pericoloso di quello in Kuwait dell'anno precedente.

Prospettive

L'Occidente ha sempre identificato la stabilità con il mantenimento dello status-quo: invece, appariva chiaro almeno dalla fine del 1990 che lo status-quo gorbacioviano non era stabilizzante ma comprimeva (ritardandola, ma allo stesso tempo rendendola più potente) una epocale esplosione dello stato e del partito. 

Gorbaciov ha svolto il suo ruolo storico nel dare il primo, decisivo scossone all' elefantiaco impero sovietico, ma non voleva (e comunque non avrebbe saputo) gestire la transizione verso la democrazia ed il mercato. 

Parimenti, l'Occidente appoggia oggi Eltsin nella convinzione che la sua caduta sarebbe foriera di destabilizzazione; ma Eltsin, che ha svolto il suo ruolo storico nel cancellare il regime sovietico, rivoluzionario di indubbie doti carismatiche e trascinatore di popolo, non è uno statista in grado di governare una democrazia. 

Il problema oggi per i democratici sovietici (che l'Occidente vorrebbe aiutare) non è mantenere al potere Eltsin ma trovare rapidamente un credibile successore.

Di fronte a queste difficoltà di Mosca, l'atteggiamento dell'Occidente è stato politicamente e soprattutto economicamente cauto. All'appoggio entusiasta verso l'ammorbidimento gorbacioviano del comunismo prima, e al colpo di grazia infertogli da Eltsin poi, non faceva infatti riscontro il massiccio impegno economico e finanziario che era stato richiesto dall'URSS prima e dalla Russia e dalla altre repubbliche poi. Gli aiuti economici sono stati esigui, e gli investimenti hanno stentato a decollare a causa dell'elevato rischio politico del paese.

21 November 1992

Appunti da incontri a Malta

Bandiera di Malta
La partecipazione al convegno dei "Giovani Cristiano-democratici europei" è stata  interessante. Il tema era "Il dialogo euro-arabo", ma non era stato invitato nessun arabo—in compenso c'era un israeliano! Indicativo dello spirito politico prevalente a Malta, che si allontana dai tradizionali legami con il mondo arabo per abbracciare l'Europa occidentale e le sue istituzioni.

Ne hanno le tasche piene del socialismo terzomondista di Dom Mintoff, dei vicini cugini arabi e della neutralità, oggi interpretata in materia restrittiva solo nel principio non ospitare forze armate straniere. Da quando il partito nazionalista (di nome ma non di fatto: è molto europeista) è andato al governo nel 1987 Malta si è proiettata anima e corpo verso la Comunità ed in particolare verso l'Italia. Ci manca poco che chiedano il ritorno della flotta NATO.

Il paese è però diviso esattamente a metà tra i laburisti che continuano ad essere in larga parte anti-UE e certamente anti-NATO e i nazionalisti che vogliono portare Malta in entrambe le istituzioni. Negli anni a venire questa spaccatura, che polarizza fortementeil paese, rischia di diventare destabilizzante e comunque sarà al centro del dibattito politico sul futuro del paese.

21 May 1992

Diploma di C d'Argento in aliante

Oggi ho conseguito il Diploma di C d'argento in aliante. Le insegne sono denominate C perché in passato il brevetto di volo a vela era denominato "brevetto C".



Brevetto fregiato di insegna C d'argento per il pilota che ha raggiunto i seguenti obiettivi nell'ambito di due soli voli:
- Permanenza in volo per almeno 5 ore consecutive calcolate dall'orario dello sgancio in quota
- Effettuazione di un trasferimento di almeno 50 km
- Guadagno quota dal punto di sgancio di almeno 1000 metri (lo sgancio deve essere effettuato ad una quota massima di 500 metri sul punto di partenza).

Eccolo!





09 May 1992

Stage aliante a Rieti


Vignetta disegnata da un collega pilota di aliante che fa il caricaturista di professione. Io sono quello in basso a destra, pelato e con la barba. Infatti nel corso di questo stage sono atterrato una volta senza carrello!

20 February 1992

Letter on nuclear proliferation to the Editor of the International Herald Tribune

Regarding "Nuclear Proliferation Will No Longer Be Stopped" (Opinion, Jan. 30) by William Pfaff:

While nothing in history is forever, nonproliferation policies have made a difference. It was commonly believed in the early 1960s that there would be at least 25 nuclear states in 20 years' time. Today there are only six. Whether deterrence may work or not in the future does not depend on the size of the parties concerned but on their political stability, their interest in not altering the status quo, and their leaders' rationality, some or all of which would be wanting in most new nuclear aspirants. An "isolated event" like a nuclear war somewhere in the Third World that might hit cities, or nuclear power plants, would surely not be as tragic as an all-out nuclear superpower confrontation. But immediate and delayed effects could cause death and destruction quite comparable to the holocaust. By far most non-nuclear states do believe that they are better off without nuclear weapons, and they are making no effort to acquire them. A few, significant ones do, but they are increasingly isolated because of that. Nonproliferation policies have proved to be far from flawless, but they have contributed to slowing down the spread of nuclear weapons. Recent revelations about incipient nuclear programs around the world call for the further tightening of those policies.


Published on the IHT on 20 February 1992

10 January 1992

Incontro con Teddy Kollek, sindaco di Gerusalemme

Ceniamo insieme al margine di un convegno sul disarmo nel Mediterraneo cui partecipo nell'ambito della ricerca sul disarmo navale che sto conducendo allo Iai con finanziamento della Ford Foundation.

17 November 1991

Mosca: incontro con E, deputato del Soviet Supremo russo

Mi racconta la sua visione del momento di trasformazione in corso:

Qui da noi la Russia vorrebbe fare società miste con l'Occidente per produrre beni poi esportabili nel Terzo Mondo. Abbiamo buone capacità tecniche ma mancano di conoscenze manageriali, di marketing, di finanza, pubblicità, ...

Presto la Russia toglierà all'URSS il controllo dell'emissione valutaria, Gorbaciov è irresponsabile a stampare moneta 24 ore su 24. La Russia accetterà tutto il debito estero dell'URSS, ma si prenderà anche tutti i crediti e tutte le proprietà all'estero.

I centro-asiatici vogliono restare nell'URSS più di quanto i Russi ce li vogliano tenere. Paura del fondamentalismo islamico, già in forte crescita. Problemi seri con le forti minoranze russe in quelle repubbliche, e specialmente in Kazakhstan, dove più della metà della popolazione è di madrelingua russa. (?)

L'islamismo naturalmente può avere idee democratiche, ma in pratica queste non prevalgono (vedi soprattutto Iran).

Non c'è pieno accordo oggi nel governo russo. Probabilmente sarà necessario un periodo di autoritarismo per governare. Questo sia contro le nazionalità ribelli sia per far accettare le riforme in Russia. Non si può continuare con il populismo che si è fatto finora. La volontà di riformare c'era in agosto, ma i nuovi democratici erano impreparati, non sono stati capaci di fare il loro lavoro. Successivamente è subentrata anche una mancanza di volontà politica, lo stesso Eltsin ha cambiato "cappello" (da comunista a capitalista) ma non la mentalità.

Molti non vogliono la privatizzazione perché preferiscono sfruttare una sorta di "privatizzazione illegale", si sta infatti vedendo come i vecchi direttori di fabbriche, di kolkhoz, ecc., possano ora governare di fatto (visto che manca l'autorità centrale) ma senza assumersi le responsabilità della proprietà che ricadrebbero su di loro in caso di privatizzazione. In pratica è una specie di mafia che sarà difficile spezzare.