06 May 1990

La crisi dell'URSS

L'attuale crisi sovietica ha raggiunto le proporzioni di un crollo storico delle fondamenta ideologiche sulle quali è nato lo stato sovietico, ed è per questo motivo che il cambiamento in corso si può considerare irreversibile; l'URSS che ne uscirà, se e quando riuscirà a farlo, non sarà più l'URSS che conosciamo.

La causa più importante di ciò è sicuramente il fallimento dell'esperimento di economia pianificata, da sempre inefficiente ma diventata palesemente incurabile nel corso del passato decennio. La differenza di Gorbaciov rispetto ai predecessori sta nella decisione di utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per cercare di invertire la tendenza alla diminuzione della produttività, dello standard di vita e perfino della crescita del prodotto nazionale lordo (in diminuzione da quindici anni). Mentre infatti anche i suoi predecessori sapevano bene che l'eccessiva centralizzazione e pianificazione portava inefficienze, ma per motivi ideologici vi rimanevano attaccati, Gorbaciov parla apertamente di mercato, imprenditoria e proprietà individuale come i rimedi da adottare.

Questo approccio pragmatico, de-ideologizzato nella gestione della politica interna ha dato i risultati più immediati ed eclatanti in materia di glasnost, e cioè, in breve, di libertà di dibattito politico, ideologico e storiografico. L'opposizione alla glasnost è stata ridotta, anche perché è stata usata strumentalmente per attaccare, selettivamente, la diffusa corruzione degli apparati statale e del partito ed eliminare molte figure impopolari dai vertici del potere. Il pericolo per Gorbaciov è che adesso questa libertà di espressione possa essere usata contro di lui e gli faccia pagare i suoi errori di politica economica.

Lo stesso approccio in politica economica, invece, ha incontrato forti resistenze da parte di coloro, e sono moltissimi, che in caso di riforme verso un sistema decentralizzato ed efficiente vedrebbero la propria posizione peggiorare prima di vederla, forse, migliorare in futuro. Gorbaciov ha dunque adottato una strategia di mezze misure, incoerente ed intermittente, che ha provocato i dolori inevitabili di ogni cura traumatica ma non i benefici.

Glasnost e fallimento della perestroika economica hanno entrambi contribuito ad innescare la miccia dei più diversi nazionalismi dell'impero, evidenziando la "disunione" dello stato multinazionale. La loro repressione militare è stata evitata perchè segnerebbe la fine del nuovo corso, ma il loro procedere potrebbe far crollare non solo Gorbaciov ma tutto lo stato sovietico e far esplodere una fase di riorganizzazione violenta di tutto l'assetto geopolitico dell'Eurasia. La via dell'indispensabile compromesso appare molto stretta.

Successi indiscussi invece solo in politica estera, unico campo nel quale c'è un interlocutore che collabora, e cioè l'Occidente, prima sospettoso, poi, almeno dalla metà del 1988, sempre più disposto a collaborare, soprattutto in materia di controllo degli armamenti. Il riconoscimento esplicito che la sicurezza dell'URSS non si può difendere solo, e neanche principalmente, con le armi ha giovato alla nuova distensione. La ricaduta dei successi in politica estera in termini di popolarità interna, alta all'inizio, è poi calata col progressivo delinearsi del fallimento delle riforme economiche, tanto che oggi molti in URSS lamentano di aver concesso oltre quanto era dovuto, particolarmente per quanto concerne l'Europa orientale e la Germania.

Cosa cambia per l'Occidente? La minaccia militare in Europa diminuisce in campo convenzionale, non tanto per le riduzioni quantitative quanto perché si instaura un nuovo regime di sicurezza militare (fatto da misure di fiducia, di maggiori e migliori canali di comunicazione, da maggiori informazioni, ecc) che rende sempre più difficile un attacco che possa cogliere l'Occidente impreparato. L'uscita che appare prossima delle forze Sovietiche dall' Europa orientale amplifica i benefici di questo nuovo regime, anche se apre altri interrogativi sulla stabilità della regione, finora garantita con la forza. La sfida per l'Occidente sarà di trovare il modo di coinvolgere i sovietici ad una nuova collaborazione per prevenire conflitti nella regione che, come nel passato non lontano, potrebbero diventare continentali. In questo contesto di grande incertezza, rimane fondamentale il ruolo dei deterrenti nucleari: privati dell'appoggio di massicci spiegamenti convenzionali, essi perderanno il loro potenziale offensivo ma, per il loro solo esistere, continueranno ad obbligare tutte le parti in gioco alla massima prudenza.

L'impegno più difficile per l'Occidente è però economico. Innanzitutto occorre saper pilotare la transizione delle economie est-europee che l'URSS ha lasciato libere di intrecciare rapporti con l'Occidente, ed in particolare con la Comunità Europea. È in questi paesi che l'impatto dello sforzo europeo sarà maggiore. Più difficile, ma comunque potenzialmente feconda, la collaborazione economica con la stessa URSS, resa ancora più delicata dalla situazione di grande incertezza politica del paese.

Anche il ritiro strategico dei sovietici da varie aree calde del mondo contribuirà a sopprimere sorgenti di conflitto indiretto che in passato hanno influito negativamente sulle relazioni Est-ovest. Anche qui si nota la presa di coscienza sovietica del fallimento, ideologico, dell'esporta­zione del sistema pianificato nel terzo mondo.

01 May 1990

Situazione in Jugoslavia

Lo sfondo storico e culturale

La Jugoslavia è il più giovane dei paesi della regione bal­canica, e quello più debole dal punto di vista dell'identità naziona­le. Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni fu infatti fondato solo dopo la prima guerra mondiale, in gran parte su insistenza del presidente americano Wilson, in base al principio dell'autodeterminazione dei popoli che era stato universalmente sancito nei Quattordici punti del presidente americano in occasione delle trattative di pace. Il preva­lere del concetto "jugoslavo" fu per molti una sorpresa, in quanto nella seconda metà del XIX secolo le due alternative più probabili per l'unificazione politica dell'area erano quella di una "Grande Serbia" e quella di una "Grande Croazia". Più di settant'anni dopo l'unifi­cazione, questa vecchia contrapposizione tra le due maggiori etnie si ripropone come la principale fonte di attrito civile nel paese.