Lunga discesa per tornare a Gangotri, le ginocchia ne risentono un  po’.  Incrociamo gli ultimissimi pellegrini della stagione che salgono –  a  cavallo la più parte, mica a piedi come quelli di Avventure! Ci  fermiamo  per qualche spuntino, fotografie sui precari ponticelli fatti  da  semplici tronchi posti di traverso a qualche ansa del fiume che si   suddivide in frizzanti torrenti lungo la discesa, per poi ricomporsi più   a valle.
Arrivati a Gangotri ci accoglie uno scenario piuttosto   desolato, è quasi tutto chiuso, i negozianti impacchettano le loro   mercanzie invendute; venditori di candele, fiori ed altri ammennicoli   per la puja provano poco convinti ad appiopparci qualche articolo; gli   ultimi portatori nepalesi chiacchierano del più e del meno sulla piazza   principale, fanno il sunto della stagione e si preparano a ritornare in   patria.
Recuperiamo Pappu, che in nostra assenza si è  riposato e ben  ripulito, oltre che divertito (leggi sbronzato!) con i  suoi colleghi, ma  ha anche lustrato il Toyota che riluccica al sole.  Ultima esplorazione  per il paese di Gangotri; ci avviciniamo al tempio,  che in stagione  straripa di fedeli, ma ora è quasi deserto;  chiacchieriamo con un  solitario sadhu rimasto sul ghat del fiume con i  sui ceri e le sue  polveri; il sole ci scalda e i nostri organismi si  accorgono che siamo  riscesi a “solo” 3100 metri di altitudine, non  ansimiamo più ad ogni  passo... Si riparte, ci rimettiamo in strada per  Uttarkashi dando uno  strappo ai portatori che devono tornare a valle.  Stavolta a ritardare il  nostro andare non sono le frane ma mandrie di  pecore e capre che  invadono la strada e che si fa molta fatica a far  ragionare per farci  passare. Nel tardo pomeriggio, oggi come tutti i  giorni che siamo i  strada, si incontrano frotte di scolaresche che  rientrano a casa; a  volte fanno molti chilometri per andare a scuola a  piedi, con sandalotti  da spiaggia con l’infradito, ma sempre  perfettamente a posto nella loro  divisa colorata, azzurrina o verde,  con una grande sciarpa che cade  sulla schiena e lo zaino in spalla.  Sull’imbrunire siamo ad Uttarkashi,  breve riposo e poi a cena. Stavolta  i polli ci sono, e l’omone Sikh che  gestisce il forno tandoori ci  propone un padellona con cosce, petti e  tranci vari, il tutto inzuppato  di una salsa rossa piccantina anzi che  no, ovviamente senza posate,  siamo nell’India più profonda, ma la fame  prevale facilmente sul  galateo ed in pochi minuti i gallinacci sono  ridotti an un cumulo di  ossa. Il chapati caldo continua ad arrivare ad  intervalli regolari di  pochi minuti, consentendoci ripetute “scarpette”  invero libidinose!  (Questa del pane servito caldo ripetutamente durante  la cena, a piccole  dosi, appena cotto, dal forno direttamente a tavola,  magari preso e  portato con le mani dal cameriere, è una finezza  frequente nella  ristorazione indiana, anche nei locali più semplici, che  in Occidente  trova l’equivalente solo in rari ristoranti di altissimo  prezzo. Eppure  sarebbe così facile...)
 
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