15 March 2007

Recensione: A come Avventura, di Anna Maspero, *****

Sinossi
Ventuno lettere dell’alfabeto per altrettanti racconti e riflessioni legati al viaggio. Un alfabeto che mescola vita vissuta, storie, popoli e costumi su temi diversi, offrendo spunti per nuovi percorsi reali e mentali a chi nel viaggio cerca l’esperienza di ambienti naturali e di culture differenti, ma anche un diverso punto di osservazione sul mondo.

A ciascuna lettera corrisponde un tema che offre lo spunto per i moderni viaggiatori che vogliono vivere la vera esperienza dell’andare, cercando di ricomporre quel complesso puzzle di interculture che stanno alla base della filosofia del moderno pellegrino.

Per ciascuna riflessione un frammento di viaggio, immagini, narrazioni lungo sentieri fuori dai percorsi più battuti e attraverso i più svariati “altrove”, senza cedere alla tentazione di un falso esotismo, né inseguire avventure impossibili.

Un libro di e sul viaggio, ma anche "da" viaggio perché può essere letto di un fiato o assaggiato un poco per volta, partendo dalla fine o dall'inizio, aprendolo a caso o scegliendo l'argomento che più aggrada. Un atto d'amore per il viaggio e per il mondo, pur senza nasconderne le contraddizioni, dove si fondono culture tradizionali e falsi esotismi autonomia e condizionamenti, creatività e ripetitività, riduzione dei bisogni e consumismo.

Non importa se il viaggio è lungo o breve, lontano o vicino, individuale o di gruppo, itinerante o stanziale. Ciò che conta è la motivazione che ci spinge a partire e la nostra attitudine verso le realtà che incontriamo lungo il cammino. Ritorno dopo ritorno, sentiremo di appartenere a una sorta di "società dei viaggiatori" che possiede delle mappe meno assolutistiche, ma più ampie e flessibili per orientarsi nella vita e per osservare noi stessi, l'altro e il diverso. Perché ognuno di noi è il frutto dei luoghi cui appartiene, ma anche delle strade che percorre. 

Recensione
Un libro unico nel suo genere. L'autrice è una viaggiatrice di lungo corso, spacializzata in alcuni paesi, tra cui la Bolivia, di cui ho recensito qui la guida scritta da lei, ma a suo agio a tutte le latitudini. Sempre in cerca di capire l'essenza dei paesi e soprattutto dei popoli che incontra. Anna ha viaggiato da sola, con amici e come guida di gruppi, sempre alla ricerca di percorsi fuori dai sentieri più scontati.

Si può non essere d'accordo con Anna, ma ogni capitolo di questo libro fornisce spunti di riflessione e dibattito sul come e perché oggi si viaggia. Ben scritto, problematico, aperto, critico, impegnato quel che basta per far concentrare il lettore senza stressarlo!

I lettori possono anche seguire il lavoro di Anna Maspero sul suo blog.

05 March 2007

Recensione: I Nullafacenti (2008), di Pietro Ichino, ****

Sinossi

"Perché, mentre si discute di tagli dolorosi alla spesa pubblica per risanare i conti dello Stato, nessuno propone di cominciare a tagliare l'odiosa rendita parassitaria dei nullafacenti?" Il 24 agosto 2006, dalle colonne del "Corriere della Sera", Pietro Ichino lancia una proposta che scuote il mondo politico e sindacale...

04 March 2007

Recensione: Novecento, di Alessandro Baricco, *****

Sinossi

Il libro racchiude la storia, raccontata dall'amico suonatore di tromba, sotto forma di monologo, di Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento, pianista sul transatlantico Virginian. Abbandonato sulla nave da emigranti, viene allevato da uno dei componenti dell'orchestra. I suoi elementi naturali divengono il transatlantico, il mare e la musica. Non è mai sceso a terra e vive ed esiste solo sul Virginian dove presto diventa un pianista di successo. Anche se non ha mai visto che mare e porti, viaggia moltissimo, con la fantasia, carpendo le notizie dai passeggeri che incontra. A 32 anni decide di scendere a terra, ma all'ultimo momento ci ripensa e corre a rifugiarsi nuovamente nell'antro della nave.


Recensione

Breve libro concepito come pièce teatrale da recitare sotto forma di monologo. Io ho anche assistito ad una rappresentazione, e consiglio di farlo ma solo dopo aver letto il libro. Invece il film di Tornatore è cosa molto diversa: pur essendo un ottimo film, con azzeccatissima colonna sonora di Ennio Morricone, a mio avviso non può sostituire la lettura del libro.

14 February 2007

Negazionismo e libertà di opinione

La Germania, presidente di turno dell’Unione Europea per il primo semestre del 2007, ha riproposto a Gennaio, in occasione del 62° anniversario della liberazione di Auschwitz, di rendere la negazione dell’Olocausto (il negazionismo) e il mettere in mostra i simboli del nazismo, in primis la svastica, un reato in tutta Europa.  Dico ri-proposto perché l’idea fu già avanzata due anni fa, e fu bloccata proprio dall’allora governo di centro-destra italiano, d’intesa con i laburisti inglesi di Blair, in quanto lesiva della libertà di espressione. Un’opposizione non di destra o di sinistra dunque, ma di due governi che ritenevano la libertà di opinione un bene supremo ed intoccabile.

07 January 2007

Recensione: Stranieri a Samoa (2006), di Ambrogio Borsani, *****

Sinossi

Dal Settecento ai giorni nostri molti spiriti inquieti si sono affidati all'idea di un Eden nascosto nelle isole del Pacifico, alimentando storie e leggende senza fine. Accade così, ad esempio, sulle isole Samoa, dove si avventurarono figure davvero straordinarie. Stevenson vi pose fine ai suoi inquieti spostamenti e mise su casa, abitando l'altrove che aveva sempre immaginato. Maugham vi giunse come agente segreto, ma in realtà intendeva spiare i segreti dell'animo umano. Schwob, infelice pellegrino delle lettere, vi portò a spasso le sue malattie. Ambrogio Borsani ha viaggiato attraverso le Samoa riportando queste storie cresciute come frutti prodigiosi in una lontana stagione di magie.


Recensione

Borsani ci porta a Samoa in compagnia di tanti stranieri che ci sono passati nei decenni e secoli scorsi. Usando la formula già collaudata per il suo libro sulla Polinesia, egli fa parlare i suoi personaggi e ci fornisce il contesto storico, il tutto molto utile a capire di più di questo piccolo stato del Pacifico.

Alcuni di questi personaggi sono famosi, primo fra tutti forse Robert Louis Stevenson, la cui casa oggi è un museo e che è sepolto qui. Ma anche tanti altri perfetti sconosciuti che sono passati da qui, qualche volta ci sono rimasti per il resto della loro vita, e in ogni caso ci hanno lasciato testimonianze interessanti, a volte commoventi.

C'è anche Parenzo Caffarelli, un medico italiano andato a Samoa perché era il posto più povero del mondo. Si è sposato una samoana ma ora vive a Roma mentre lei è rimasta là e gestisce un albergo. I figli sono un po' qui e un po' lì.

Bella questa frase di Borsani, che condivido appieno e che rende bene l'atmosfera che si respira su un isola lontano dal mondo. Me lo immagino mentre la scrive nella sua camera d'albergo a Samoa, di notte: «L'alba è il tempo rubato all'uomo, il tempo degli altri. Bisogna andare, correre, fare, rispondere alle necessità della vita. Il mattino trascina verso l'ufficio, verso gli appuntamenti, verso la fabbrica, verso gli interessi dei altri. Il tramonto segna l'inizio del tempo privato, il tempo della vita, il tempo del ritorno ai propri interessi, del rientro in se stessi.»



Puoi leggere qui la mia recensione di un analogo libro dello stesso autore sulle isole Marchesi della Polinesia francese.

06 January 2007

Palla avvelenata a Eboodohoo, atollo di Ari, Maldive

Ormeggiamo ad un centinaio di metri dalla spiaggia bianchissima. Accanto a noi ha dato fondo una barca maldiviana, di una decina di metri di lunghezza, che ora è vuota. Andiamo a terra e incontriamo molti maldiviani sulla spiaggia, circa un centinaio. Sono i passeggeri della barca vuota, l’unica oltre alla nostra. Difficile immaginare che siano stati tutti stipati in quello scafo, ma è proprio così. Nessuno di loro fa il bagno.

Su una lingua di sabbia che si allunga dalla spiaggia verso il mare una ventina di bambini ed adolescenti giocano ad una specie di «palla avvelenata». Due squadre di 3-4 persone sono ai due lati opposti di un quadrato immaginario sulla sabbia, al centro del quale sta un terzo gruppo di una decina di ragazzi. A turno ciascuna squadra tira una palla cercando di colpire qualcuno tra la mischia che sta in mezzo. Tutti cercano di schivare la palla, e quando uno è colpito è eliminato ed esce dal gioco. Vince chi rimane per ultimo al centro del campo, e poi si ricomincia. Sono particolarmente brave a tirare la palla le bambine, tutte naturalmente imbacuccate di nero dalla testa ai piedi.

Cerchiamo di fare due chiacchiere con questi ragazzi, ma non è facile. In parte la difficoltà di conversazione è dovuta alla lingua. Per quanto tutti qui studino l’inglese, il livello è piuttosto basso, il loro vocabolario generalmente limitato. Un piccoletto di quattro o cinque anni però è molto disinvolto, si atteggia a capetto di tutti i ragazzini. Mi avvicina e mi chiede, serio serio, se sono mussulmano. Io sorrido e gli dico di no. Poi mi chiede se sono cristiano e gli dico pure di no, non tanto per intavolare una discussione teologica quanto per sondare il suo modo di pensare. La terza domanda, a bruciapelo, è: «Ma se non sei mussulmano e non sei cristiano, che sei?»

Mi trovo in difficoltà. Che gli dico? Certo non posso dirgli che sono un liberale, agnostico, riformista, scettico, con simpatie per l’illuminismo e per il buddhismo (ma solo come filosofia e non come religione) e convinto della necessità di separazione tra Stato e Chiesa nel pieno rispetto della fede religiosa di chi ce l’ha, qualunque essa sia, basta che rispetti a sua volta quella degli altri. O che sono cresciuto in una cultura giudeo-cristiana, che ho inevitabilmente in parte assorbito, ma resto molto autocritico ed aperto ad assorbire elementi di culture diverse che mi possano arricchire.

Alla fine farfuglio qualcosa sulla necessità di pensare con la propria testa, ma è chiaro dal suo sguardo che non mi sono spiegato affatto e tantomento l’ho convinto. Non ho convinto neanche me stesso veramente. Dal suo sguardo infatti penso di essere notevolmente scaduto nella sua considerazione, anche se era venuto da me proprio perché sono il capo della gente della mia barca, e nella cultura degli atolli il capo è sempre il capo. Spero che quando sarà un po’ più grande forse si ricorderà della nostra breve conversazione e la misurerà con occhi diversi. E comunque spero che, anche se non se ne ricorderà, capirà che al mondo non ci sono solo mussulmani o cristiani, e che anche mussulmani e cristiani non sono solamente mussulmani e cristiani ma anche tante altre cose. Di questi tempi, tanti adulti, mussulmani e cristiani, sfortunatamente continuano a non capirlo.

Vivere in una società moderna e complessa rende più difficile spiegare la propria identità, soprattutto in termini semplici, come è necessario per farsi capire da un bambino. Tutto sommato questo è un bene, perché vuol dire che abbiamo identità complesse, sfaccettate, non a senso unico. Amartya Sen spiega bene, nel suo libro Identità e Violenza, che spesso è proprio da un’identità unica o comunque preponderante che ha origine la violenza contro chi di identità unica e preponderante ne ha un’altra. Invece se ci rendiamo conto di avere tutti identità multiple, più facilmente potremo accettare le molteplicità degli altri. Ma a tutto questo ci penso adesso, con calma. Lì per lì sono stato preso alla sprovvista, dopo anni di ricerca politologica e dibattiti in conferenze internazionali mi trovo spiazzato con un bambino maldiviano di neanche cinque anni.

Questo post è un estratto del mio libro sulle Maldive. Per comprare il libro su Amazon clicca qui.

01 January 2007

Massaggio su una lingua di sabbia senza nome alle Maldive

Queste virgole bianche nel blu del mare sono «la» spiaggia per definizione, pura e semplice, incandescente e liscia, senza distrazioni di alcuna vegetazione o costruzione. Solo qualche conchiglia qua e là, e purtroppo spesso qualche busta di plastica, o una lattina vuota, una classica scarpa vecchia. Queste lingue di sabbia hanno forma e dimensione variabile, emergono e si allargano con la bassa marea e si restringono fino a sparire completamente con l’alta marea. Insomma la spiaggia per antonomasia, la spiaggia «categorica», come l’avrà forse definita Immanuel Kant nelle sue lezioni di geografia, quando gli raccontavano dei mille atolli maldiviani. Certo che ad immaginarsi queste Maldive senza essersi mai spostato dalla costa del freddo e grigio Mar Baltico, e senza l’ausilio di fotografie, Kant deve aver fatto una bella fatica. Ma del resto lui, Kant, è stato forse la massima intelligenza filosofica della storia umana.

Quello che però probabilmente neanche lui immaginava erano le barche di turisti in costume da bagno, con le ragazze in bikini (o anche meno) che si riversano sulla sabbia ad abbrustolirsi per ore dopo essersi cosparsi i corpi di unguenti protettivi per non far la fine degli stoccafissi, il tutto sotto gli occhi di equipaggi di giovanotti maldiviani, provenienti da famiglie di tradizione mussulmana e, almeno da questo punto di vista, piuttosto conservatrice. Non di rado si vedono marinai con gli occhi sgranati, o almeno con lo sguardo sornione che nasconde l’iperproduzione testosteronica, anche se ormai molti di loro ci sono ben abituati. (Ma del resto è un problema con cui devono fare i conti anche tanti bagnini in Mediterraneo!)

Oggi in una di queste lingue di sabbia ci fermiamo per una sosta tecnica, siamo appena partiti da Malé e dobbiamo recuperare il nostro cuoco, Sangiu, da un’altra barca che oggi finisce la crociera e torna indietro. Appuntamento dunque presso questa lingua di sabbia senza nome, che però i marinai conoscono bene perché è una prima comoda tappa una volta lasciata Malé. Ci fermiamo allora anche per una nuotata ed il pranzo, che come sempre consumeremo in barca mentre ci riposiamo tra un’isola e l’altra.

Mi tuffo in acqua e mi comincio ad avvicinare alla spiaggia, una lunga striscia bianca, sinuosa ed arroventata dal sole, una pennellata nel turchese della laguna. Tra una bracciata e l’altra, alzando la testa per respirare, guardo avanti per individuare un punto dove attraversare la barriera di coralli ed avvicinarmi alla battigia. Il gruppo dell’altra barca si sta crogiolando sulla sabbia per l’ultima volta prima di prendere la via dell’aeroporto, ridono, scherzano, sono un po’ tristi che la loro vacanza sia finita. Tutti insieme tranne una ragazza, che si è separata dagli altri e prende il sole sdraiata, appartata verso la punta dell’isoletta, con la schiena ed i lunghi capelli castani distesi sulla sabbia e le braccia spalancate, guarda il cielo, il top del bikini casualmente appoggiato da una parte. Dall’acqua la noto, non posso non notarla, perché le prosperosità generose del suo corpo abbronzato si stagliano con evidenza prorompente sulla linea piatta della spiaggia, mostrando le loro eleganti sinuosità.

Arrivato a terra mi avvio verso il gruppo che chiacchiera dall’altra parte della lingua, per non disturbarla; ma poi, passeggiando così per caso, in fondo le distanze sono brevi, mi porto dalla sua parte dell’isoletta. OK lo ammetto, l’itinerario della mia passeggiata non era proprio completamente casuale. Lei mi nota e si gira su sé stessa, si sdraia a pancia in giù e rivela la schiena nuda completamente coperta di sabbia, guardandomi con la guancia appoggiata sul dorso delle mani che sono piatte per terra, con il top del bikini sempre accartocciato a qualche metro di distanza. Arriva qualcun altro. Chiaro che l’abbiamo disturbata nella sua riservata solitudine naturista, ma è simpatica, non se la prende ed anzi si chiacchiera tutti insieme allegramente. Veramente siamo più allegri noi, che siamo appena arrivati, di lei, che sta per tornare a casa. Si rammarica che la sua vacanza sia al termine.

Le propongo disinteressatamente di continuarla sulla nostra barca, tanto lo spazio c’è perché una coppia ha annullato proprio il giorno prima di partire, ed abbiamo due cuccette vuote, avrebbe una cabina tutta per lei. Mi dice che verrebbe volentieri ma che non saprebbe come contraccambiare l’ospitalità. Scherzosamente sottolineo che non c’è da preoccuparsi, qualche modo lo troviamo, magari sa fare qualche massaggio... e lei senza esitare dice che sì, fa ottimi massaggi ai piedi! Non me lo faccio ripetere due volte. Mi siedo sulla sabbia infuocata e le offro le mie estremità inferiori. Lei non si deve neanche muovere di un centimetro, sempre sdraiata a pancia in giù, allunga le mani in avanti e comincia a praticarmi un massaggio da sogno che si protrarrà per il successivo quarto d’ora...

Questo post è un estratto del mio libro sulle Maldive. Per comprare il libro su Amazon clicca qui.



29 December 2006

Recensione: Energia - la sfida del secolo (2006), di Piero Angela, ****

Fonte: U.S. Energy Information Administration
Sinossi

L'energia è il motore della vita politica e sociale. In effetti al giorno d'oggi, appena si apre il giornale ci si imbatte in una notizia che, per un verso o per l'altro, ha a che fare che fare con la questione energetica. Sia direttamente, come l'aumento del prezzo del petrolio, gli approvvigionamenti di gas, l'opportunità delle centrali nucleari. Sia in maniera indiretta, visto che da essa dipendono buona parte delle controversie internazionali, prime fra tutte le guerre attuali nei paesi del Golfo Persico. Senza contare che la grande crescita economica di Cina e India porterà sicuramente a un aumento della domanda di energia. Il libro passa in rassegna tutte le fonti di energia, mettendo in risalto aspetti positivi e negativi di ognuna di esse e disegnando gli scenari futuri. Tutto con lo scopo di chiarire le idee su una questione che segna il presente e il futuro in modo così prepotente.


Recensione

Un interessantissimo libro a carattere divulgativo per informare le nostre scelte in campo energetico. Il mondo avrà sempre più bisogno di energia, sia perché aumenta la popolazione, sia perché, mediamente, ogni essere umano ne consumerà di più. Gli idrocarburi continueranno a fare la parte del leone per molti anni, ed il Medio oriente sarà ancora per molto tempo la principale fonte. Non sono d'accordo però con Angela (e con l'opinone diffusa) che la guerra all'Iraq si sia fatta per il petrolio: Saddam Hussein ne vendeva a chiunque pagasse, e senza neanche fare politiche rialziste dei prezzi come alcuni "amici" dell'Occidente quali Arabia Saudita e Iran con lo Scià.

Angela è piuttosto favorevole al nucleare, considerando che i rischi reali (invece di quelli presunti emotivamente dall'impatto sensazionale degli incidenti) siano minori di quelli di altre fonti. Il carbone uccide tutti i giorni senza finire sulle prime pagine dei giornali, sia per estrarlo sia per l'inquinamento che produce: nella sola Cina muoiono ogni anno migliaia di minatori. Chernobyl e Three Mile Island, invece, hanno fatto molte meno vittime di quanto comunemente si creda: alcune migliaia nell'ipotesi peggiore, molte meno degli idrocarburi. (Il libro è stato pubblicato prima dello tsunami a Fukushima.)

L'autore è generalmente realista riguardo alle energie rinnovabili e "pulite", ed analizza con sangue freddo pro e contro della principali opzioni: eolico, solare, geotermico, idroelettrico.

Un libro da leggere e rileggere, e su cui riflettere per formarsi una propria idea sul problema principale del XXI secolo.











01 December 2006

Book Review: Identity and Violence, by Amartya Sen, *****

Synopsis

In this penetrating book, Nobel Laureate Amartya Sen argues that we are becoming increasingly divided along lines of religion and culture, ignoring the many other ways in which people see themselves, from class and profession to morals and politics. When we are put into narrow categories the importance of human life becomes lost.

Through his lucid exploration of such subjects as multiculturalism, fundamentalism, terrorism and globalization, he brings out the need for a clear-headed understanding of human freedom and a constructive public voice in Global civil society. The hope of harmony in today's world lies in a clearer understanding of our sheer diversity.


Review

This book makes one supremely important argument very well: to identify ourselves with an identity, no matter which, is both incorrect and dangerous. Most of us don't have ONE identity, but many. If one of them takes excessive precedence over the others, and we therefore identify ourselves mainly with it, we start down a slippery slope of exclusion of those who do not belong to it, even though we may share several of our other identities with them. The step from this process of exclusion to conflict and war is a short one to take.

Recensione: Identità e Violenza, di Amartya Sen, *****

Questo libro sviluppa in modo elegante e convincente un tema principale: avere un'unica identità, non importa quale, è sbagliato e pericoloso. La maggior parte di noi non ha una sola identità, ma molte. Se una di esse sovrasta le altre, e quindi noi ci identifichiamo solo o soprattutto in essa, vuol dire che stiamo prendendo una direzione pericolosa, che porterà all'esclusione di quelli che non appartengono a quella identità anche se con loro potremmo condividerne altre. Questo processo di esclusione porta facilmente al conflitto e alla guerra.

Io sono un uomo, che durante la sua vita è stato o è ancora cittadino italiano, agnostico secolare, studente per molti anni negli USA, filosoficamente scettico, politicamente cinico, economista dilettante, burocrate internazionale, analista di questioni strategiche e militari, subacqueo, fotografo, consulente, eterossessuale, difensore delle libertà civili individuali, oppositore della pena di morte, credente in valori universali, esistenzialista, attratto fortemente dal buddismo, amante della musica classica e del jazz freddo, detestatore della musica heavy metal e che guarda la TV (tranne la coppa del mondo di calcio!), a favore della scelta della donna in materia di aborto, a favore del controllo delle nascite libero ma non imposto come in Cina, che odia le sigarette ma ama le sue pipe, e ho ancora tanti altri aspetti della mia identità che sarebbe troppo lungo citare qui.

Quindi posso identificarmi con tante categorie di essere umani, sono tutti come cerchi parzialmente sovrapposti. Nel loro insieme, essi creano la mia personale identità, per cui mi viene facile essere tollerante, perché posso condividere una o più di queste categorie con la maggior parte della gente a questo mondo!

Se, tuttavia, uno dovesse scegliere, o essere manipolato a scegliere, una singola identità come l'unica, o la principale, per definire se stesso, diventerebbe difficile capire quelli che non condividono quella scelta, che sono fuori da quel cerchio, che non sono "identici" a noi, e questo porterebbe inevitabilmente al conflitto.


Gli uomini si ammazzano per la religione, per il calcio, per la legislazione sull'aborto, per la lingua, l'origine etnica e altre ragioni meno importanti quando una di queste ragioni diventa l'unica o la principale definizione della propria identità.

Quando ho finito di leggere questo libro sono arrivato alla conclusione che non ho proprio una mia identità precisa, o forse ho una sorta di "metaidentità", il risultato del mio specifico cocktail di identità parziali. Questo mi rende unico ed allo stesso tempo compatibile con altre metadentità del mondo. Posso essere a casa mia in qualunqu luogo perche il mio "io" è costituito di idee, abitudini e retaggi culturali che vengono da tante parti del mondo. Forse ho perso le mie radici, ma non me ne duole perché ho acquisito forti ali!

L'edizione italiana si può comprare qui