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04 April 2021

Book review: The Shell Money of the Slave Trade (1986) by Jan Hogendorn and Marion Johnson, *****


Synopsys

This study examines the role of cowrie-shell money in West African trade, particularly the slave trade. The shells were carried from the Maldives to the Mediterranean by Arab traders for further transport across the Sahara, and to Europe by competing Portuguese, Dutch, English, and French traders for onward transport to the West African coast. In Africa, they served to purchase the slaves exported to the New World, as well as other less sinister exports. Over a large part of West Africa, they became the regular market currency but were severely devalued by the importation of thousands of tons of the cheaper Zanzibar cowries. Colonial governments disliked cowries because of the inflation and encouraged their replacement by low-value coins. They disappeared almost totally, to re-appear during the depression of the 1930s, and have been found occasionally in the markets of remote frontier districts, avoiding exchange and currency control problems.

Review 

 A most thoroughly researched book on a peculiar aspect of monetary economics in Africa and South Asia for several centuries. We learn how the Maldives played a central role in this system that could be considered an aspect of embryonic globalization ante-litteram. We learn how the shells were collected, with strenuous labor-intensive efforts, then stored underground until putrefaction had gotten rid of the mollusk, and finally shipped to Malé for export. Of course, the latter was a royal prerogative for centuries!

See my other reviews of books on the Maldives here in this blog.


 

29 December 2019

Visita a Madeira




Alcuni membri del Brussels Wine Club sono stati in visita a Madeira, e naturalmente ne hanno approfittato per andare a trovare alcuni produttori del famoso vino fortificato. Ecco alcuni appunti che ho scritto in base alle mie ricerche ed a quanto abbiamo avuto la fortuna di degustare. Marco Carnovale

João Zarco

Un po' di storia

I capitani portoghesi João Zarco, Bartolomeu Perestrelo e Tristão Teixeira nel 1419 vi trovarono rifugio da una tempesta. L’anno dopo Lisbona iniziò ad inviare coloni. Alle prime coltivazioni di canna da zucchero seguì il finocchio, dai cui prende nome la capitale Funchal, prima città fondata da europei al di fuori del vecchio continente dopo la caduta dell’impero romano, nel 1424.

Madeira, la lussureggiante “isola del legno”, era sulla rotta delle grandi esplorazioni, e fiorì il commercio. Aveva il nome giusto Alvise da Mosto, un veneziano che nel 1455 introdusse la vite, malvasia di Candia che Venezia allora governava.

Nel XVI secolo, l’isola si trovava sulla rotta degli alisei che dall’Europa portava alle Americhe, e i portoghesi cominciarono ad esportare vino oltreoceano. Dati i lunghi tempi di navigazione fino ai porti di esportazione il prodotto diventava inaffidabile e spesso imbevibile.

Si racconta però che una nave diretta in America (alcuni dicono in India) non vendette il vino e lo riportò a Funchal. Assaggiandolo, lo si trovò migliorato. L’armoniosa fusione di persistente acidità ed avvolgente dolcezza venne accreditata al caldo delle stive. Qualcuno pensò anche al movimento delle onde. Per cui, fino all’inizio del novecento, si mandarono botti di vino su e giù per l’oceano, per ottenere vinho da roda (vino di “andata e ritorno”).

Nel XVII secolo, allo scopo di stabilizzare il vino, si cominciò a diffondere la pratica della fortificazione con alcol distillato dalla canna da zucchero. L'interazione tra riscaldamento e fortificazione produce la magia del madeira come lo conosciamo oggi.

Nel XVIII secolo, per simulare il caldo delle stive, si costruirono depositi con tetto di vetro, una specie di serre per il vinho do sol (vino del sole). Le esportazioni fiorirono. Il madeira fu molto apprezzato in America, tanto che George Washington lo scelse per brindare all’indipendenza degli Stati Uniti nel 1776. In Russia fu amato dallo Zar e dalla nobiltà.

Il XIX secolo fu difficile: la recessione seguita alle guerre napoleoniche colpì le esportazioni. La guerra civile americana bloccò il traffico verso occidente e l’apertura del canale di Suez tagliò fuori l’isola da quello verso l’oriente. Il duplice flagello, prima dell’oidio e poi della fillossera, fece strage nelle vigne. Disperati, i vignaioli facevano vino da viti americane non innestate, i “produttori diretti”, con triste perdita di qualità.

Il secolo scorso iniziò male: la grande guerra rese rischioso il trasporto per mare. Proibizionismo americano e Rivoluzione d’Ottobre chiusero le porte ai due principali mercati. Intanto miglioravano le tecnologie per il trasporto del vino, aumentava la velocità delle navi, non serviva più fortificare per esportare anche a grandi distanze. La produzione crollò, si espiantarono vigne. Il madeira venne tristemente relegato in cucina, come condimento.

La Grande Depressione e la seconda guerra mondiale deprimono ancora di più la produzione. Madeira è isolata, i contadini non hanno modo di vendere e smettono quasi di produrre uva. Oggi è quasi impossibile trovare annate dalla metà degli anni trenta agli anni cinquanta.

A partire dalla fine del XX secolo però c’è una ripresa. Il mercato mondiale diventa più sofisticato ed il gusto impegnativo del madeira, ossidativo, più fresco e minerale del porto, guadagna consensi. Punta sulla qualità dato che non potrà mai vincere sulla quantità. L’uso dei “produttori diretti” va a scemare e finisce nel 1980, in preparazione all’entrata del Portogallo nell’Unione Europa. Quest’ultima è di grande beneficio: facilita l’accesso ai mercati e invia sovvenzioni.

Geografia e viticoltura

Madeira si trova a 32 gradi di latitudine, al limite della fascia propizia alla viticoltura. Clima subtropicale, con temperature raramente sotto i 10 gradi o sopra i 20. Il suolo è vulcanico, molto scosceso.

Solo 450 ettari di vigneti: piccoli, difficili terrazzamenti strappati alla lava rendono impossibile ogni meccanizzazione. Circa 1500 i viticoltori che si cimentano nella sfida, spesso microproduzioni sul terreno adiacente all’abitazione. Solo quattro i vitigni considerati “nobili”, tutti bianchi. Le vigne di sercial sono di solito piantate in altitudine, quasi fino a 1000 metri, per conferire maggiore acidità. Quelle del verdelho sui 400-500 metri mentre boal e malvasia danno il meglio al caldo, presso il livello del mare. Un vitigno rosso, il tinta negra, più resistente, è piantato un po’ ovunque.

Le piogge elevate, soprattutto sui pronunciati rilievi, forniscono abbondante acqua, opportunamente convogliata con un’intricata canalizzazione di oltre 2.000km. I forti alisei da nord-est favoriscono le vigne sul lato meridionale dell’isola, più riparate dalle montagne. Sul versante nord le terrazze devono essere protette da vento e salsedine con siepi e muri a secco.

Si vendemmia prima che le uve abbiano raggiunto la piena maturazione per accentuare l’acidità. Difficile la produzione biologica: il clima molto umido obbliga al trattamento delle uve.

I principali mercati sono Francia col 26% delle esportazioni, Portogallo 18%, Germania 10%, Regno Unito 9%, Giappone 8% e USA 7%.

Vinificazione

La fermentazione avviene in botti di legno o tini di cemento o acciaio, e alcuni produttori si affidano ai fermenti indigeni. L’aggiunta di piccole quantità di mosto concentrato o acido tartarico è consentita durante o dopo la fermentazione: utile per correggere il gusto considerando che manca la fermentazione malolattica.

Vinificazione
Vitigno (min 85%)
tipologia
fermentazione
zucchero residuo (g)
fortificazione (%)
sercial
secco
5-6 giorni
9-27
9-10
verdelho
semi-secco
3-4 giorni
27-45
10-13
boal
semi-dolce
2-3 giorni
45-63
13-16
malvasia
dolce
18-24 ore
63-117
17-21


Col sercial si fa vino secco, col verdelho il semi-secco, col boal (o bual) il semi-dolce e con la malvasia, prevedibilmente, il madeira dolce. Il vino deve contenere almeno l’85% del vitigno indicato in etichetta.

La produzione è di circa 4 milioni di litri, nulla rispetto agli 80 milioni di porto. Il tinta negra fa l’85% della produzione. Quanto un’etichetta non reca indicazione di vitigno, si sottintende tinta negra. Boal e malvasia contribuiscono il 5% ciascuno, sercial e verdelho il 2,5%. Microscopica la produzione di altri due vitigni bianchi: il terrantez ed il bastardo, quest'ultimo praticamente estinto. I loro vini, semi-dolce o semi-secco, sono rarità da collezionisti.

Con il tinta negra si fanno tutte le tipologie. Sono vini meno complessi che fino a pochi anni fa non erano autorizzate a indicare il vitigno. Rari gli assemblaggi, poco più che sperimentali. Uno di questo è il Rainwater, ottenuto con verdelho e tinta negra, semi-dolce, molto richiesto negli USA. 

La fortificazione ha durata variabile a seconda della tipologie e viene fermata dalla fortificazione. All’alcol da canna da zucchero nel XVII secolo subentrò il brandy. Oggi si usa alcol puro distillato da uva, importato da Francia e Spagna.

Dopo la fortificazione il vino ha raggiunto i 19 gradi ed inizia la fase cruciale dell’azione del calore, che può avvenire in due modi. Canteiro (trave) è il sistema più nobile, riservato ai vini pregiati, che maturano in botti di legno collocate su travi (i canteiros appunto). Sono posti in ambienti non condizionati, a volte anche all’aperto, sotto il sole, per almeno due anni.

Canteiros da Justino's
Il problema del canteiro è duplice: il costo e l’aleatorietà del risIl problema del canteiro è duplice: il costo e l'aleatorietà del risultato finale, ostaggio di fattori climatici incontrollabili. Ciascun madeira di canteiro è unico nel suo genere, ma imprevedibile. Si cerca di regolare freschezza e morbidezza spostando i canteiros, da un’esposizione a nord in ambienti freschi per privilegiare la prima, a depositi orientati a sud in ambienti caldi per aumentare la seconda. Un’arte difficile.

Estufagem da Justino's

Per questo si è diffusa la pratica dell’estufagem (stufatura) per la fascia medio-bassa del mercato, dove la costanza nel prodotto finale è essenziale. Ce ne sono due varianti: nella cuba de calor (tino di calore) il vino viene immesso in grandi tini d’acciaio, dentro o intorno ai quali vengono posizionati condotti in cui scorre acqua sui 50°C. Così il vino può essere riscaldato secondo le indicazioni dell’enologo, per 90 giorni.

Nell’ armazem de calor (magazzino di calore) il tino d’acciaio viene posizionato in una stanza riscaldata. Il calore trasmesso al vino è indiretto, e necessita di 6-12 mesi. Sistema più costoso e per questo meno diffuso, ma il riscaldamento è più lento, come era nelle stive degli antichi velieri! In via di sparizione.

In qualche caso il vino viene fortificato dopo l’estufagem per evitare perdite di alcol a causa del calore e poi travasato in botti di legno per l’invecchiamento. Qui si sviluppa il misterioso processo ossidativo che si può protrarre oltre un secolo. La lentezza genera il fascino del madeira, mentre un vino “maderizzato” per rapida ossidazione o esposizione al calore ci ripugna.

Il madeira invecchia in botte: la perdita per evaporazione viene rabboccata con vino identico, ma solo in parte. Una volta in bottiglia resta quasi immutabile, salvo la necessità di cambiare tappo dopo qualche decennio.

Per questo motivo, dal 1994 in poi, l’Unione Europea ha chiesto di indicare in etichetta l’annata di imbottigliamento. Infine l’ispezione dell’Istituto del madeira che certifica il prodotto prima che sia messo in commercio.

Una curiosità: i distillatori scozzesi mandano le loro botti nuove a madeira per farci invecchiare il vino per 2-3 anni e trasferire il sapore del vino al whisky. Per contro, produttori di madeira comprano botti usate di cognac o sauternes per donare eleganza al proprio vino.

Categorie di invecchiamento
etichetta
invecchiamento
Vitigno
maderizzazione
Finest 3 anni
3-5 anni
Tinta negra
estufagem
Reserva 5 anni
5-10 anni
Tinta negra e/o nobile
estufagem
Reserva especial 10 anni
10-15 anni
nobile
canteiro
Extra reserva 15 anni
15-20 anni
nobile
canteiro
Colheita (annata)
5-19 anni, (annata unica min. 85%)
nobile
canteiro
Vintage o Frasqueira (annata)
Minimo 20 anni + 2 in bottiglia, (annata unica min 85%)
nobile
canteiro

L’indicazione "vintage" appare solo su vecchie bottiglie: la legge portoghese sancisce che solo il vino porto possa usarla in etichetta, mentre al madeira è riservata l’indicazione frasqueira (da frasco, fiasco).

Le bottiglie sono conservate in verticale. L’eventuale ossidazione per deterioramento del tappo non è un problema mentre il contatto con un tappo deteriorato sarebbe fatale. I vini così invecchiati durano a lungo anche dopo aver stappato la bottiglia: qualche mese per un “3 anni”, fino a due anni per una colheita o frasqueira. Un altro vino soffrirebbe dell’ossidazione, il madeira ne fa il suo fiore all’occhiello!

Esisteva un madeira prodotto col metodo solera, ma le bottiglie portavano la data del vino più vecchio, il che non è permesso dalla normativa europea. Restano disponibili solo rarissime vecchie bottiglie.

Produttori

Solo otto i produttori sull’isola, che con poche eccezioni non posseggono proprie vigne, ma comprano l’uva dagli agricoltori. Ne ho visitati quattro.

Justino’s

La nuova sede di trova sulle colline a 400 metri di altitudine, scelta per aumentare la freschezza. Mi accoglie Juan Teixeira, l’entusiasta enologo dell’azienda oggi primo produttore dell’isola. Comprano il 40% della produzione di uva di Madeira e dal 1993 son parte del gruppo Martiniquaise. Il capitale francese è stato investito: nel 1993 c’era una riserva di 300.000 litri nelle botti, in attesa di imbottigliamento, oggi 2 milioni! Attrezzature modernissime, enormi tini di fermentazione da centinaia di ettolitri. Imbottigliano solo il venduto: il vino matura solo in botte.

Blandy’s

John Blandy fondò l’azienda nel 1811. Dopo otto generazioni la famiglia continua a credere del suo progetto, oggi secondo produttore dopo Justino’s. Nel 1989 creano la Madeira Wine Company con i Symingtons di Oporto. Nel 2000 Blandy’s apre la strada alla diffusione di madeira di alta qualità a prezzi abbordabili con il colheita Malmsey 1994, il primo madeira d’annata al di fuori dei carissimi vintage. Me lo racconta Rita, assistente alle pubbliche relazioni, nella grande stanza delle degustazioni, luce fioca e pareti tappezzate di bottiglie in verticale e divise per vitigno.
L’edificio maestoso, al centro di Funchal, era un monastero nel XVI secolo, poi fu convertito in prigione. I loro bottai sono all’opera con rovere americano e brasiliano. Possiedono anche 7 ettari di vigna e comprano il resto delle uve.

Visitiamo la “cantina”: alcuni ambienti esposti a sud, dove la temperatura raggiunge i 36 gradi in estate, altri verso nord, più freschi. C’è anche un piccolo museo: vecchie attrezzature, strumenti di misurazione. Sulle pareti le lettere ingiallite di reali che ordinavano vino per le corti europee.

Henriques & Henriques

Maria, la simpatica responsabile delle vendite internazionali, è un’appassionata che esulta nel raccontare l’ampia gamma dei prodotti. Facciamo il giro della cantina, tra le grandi botti di legno da migliaia di litri al piano terra, dove in estate si raggiungono facilmente i 35 gradi. Un bottaio nell’officina sta martellando i cerchi di piccole botti destinata al canteiro. Ognuna è diligentemente segnata con gessetti: anno, vitigno, partita.
L’azienda risale al 1850, quando la fondò João Henriques. Gli successero nel 1912 i figli Francisco Eduardo e Joaquim, da cui il doppio cognome. Nel 1968, alla morte dell’ultimo Henriques, la società passa nelle mani di Alberto Jardim, Peter Cossart e Carlos Pereira.

Oldies da Oliveiras

Pereira d’Oliveiras

Accogliente Luis Pereira d’Oliveiras nella cantina che la famiglia gestisce dal 1850. Il padre Anibal, figura storica dell’isola, li ha lasciati da pochi anni, adesso è lui il capo, aiutato dal figlio Felipe. Mi offre di assaggiare tutto quello che voglio, dalle bottiglie più recenti fino a quelle appunto, del 1850! Non so da dove cominciare. Con calma, comincio dagli anni 90 del XX secolo e risalgo man mano fino al 1850.

Abbinamenti

La fama del madeira è limitata all’aperitivo o al dessert ma c'è di più, anche se non è un vino da tutto pasto. Conviene qui seguire le quattro tipologie, oltre al fattore invecchiamento. Anche se non c’è una regola rigida, si consiglia di aumentare la temperatura di servizio di pari passo con il contenuto di zucchero.

Secco (sercial). Il corpo medio e l’aroma accentuato lo consigliano come aperitivo con olive, mandorle o noccioline tostate. Ama salmone affumicato, sushi e antipasti con maionese. Esalta la mousse di pesce e i formagi freschi di capra o pecora. C’è chi lo sposa con acqua tonica e ghiaccio. Servire a 9-10°C.

Semi-secco (verdelho o terrantez). Più strutturato, è pure apprezzato come aperitivo, ed ama i consommé, le zuppe cremose o di cipolla alla francese. Si sposa con jamon pata negra, funghi e formaggi a pasta morbida, terrine di foie-gras. Servire a 10-12°C.

Semi-dolce (boal o terrantez). Di pieno corpo predilige dolci alla frutta, soufflé e formaggi di media maturazione. Perfetto con cioccolato al latte, petit-fours, dolci alla crema e il tradizionale “bolo de mel”. Servire a 13-16°C.

Dolce (malvasia). La struttura lo rende adatto a foie gras, biscotti al burro, crème brulée e al cioccolato fondente. Parimenti elegante con roquefort o gorgonzola. Servire a 16-18°C.

Le vecchie annate si sposano armoniosamente con sigari caraibici di media intensità.


Degustazioni

Justino’s

Juan mi riceve in una sala con un tavolo bianco e un’infinita fila di bottiglie aperte: dopo una lunga sessione, queste le eccellenze, degustate in un crescendo di invecchiamento.

Malvasia colheita 1997. Tipico colore ambrato scuro. Aroma di erba e tabacco. Caffè e caramello abbracciano arancia matura e tabacco in un complesso equilibrio dove la dolcezza avvolge ma senza offuscare la freschezza. Lunghissimo finale.

Terrantez 1978. Ambrato con riflessi oro. Intenso aroma di tabacco. Prorompente freschezza con note leggermente amare di mandorla cruda ma morbido velluto per un equilibrio moderato. Tipica pungenza che richiama l’attenzione durante un lunghissimo finale.

Sercial 1940. Giallo oro che l’invecchiamento ha scurito, molto consistente. Freschezza citrina tipica del vitigno in perfetto equilibrio con la morbidezza che viene dalla lunga maturazione. Complesso aroma di spezie e tabacco. Ananas e albicocca al palato. Molto persistente, armonioso.

Verdelho 1934. Ambrato scurito dal tempo, molto consistente. Complessi aromi di pepe, cuoio e tabacco. Equilibrio perfetto di molteplici sapori terziari, tra cui emergono cuoio e legno. Lunghissimo e armonioso.
Blandy’s

Boal 1958. Ambrato scuro con naso di albicocca che lascia presto spazio ad agrumi maturi. Incredibilmente fresco al palato per un Boal di sessant’anni!

Sercial 1969. Ambrato con naso di frutta secca tostata, caramello. Esperienza opposta al vino precedente. Un vitigno nato per donare freschezza sorprende per la morbidezza che lo rende perfettamente equilibrato. Molto lungo.

Si costruisce una botte per il canteiro, Henriques&Henriques











Henriques & Henriques

Ci sono una ventina di bottiglie aperte, tenute a temperatura ambiente, alla luce del sole, dritte, con un tappino qualsiasi. “Scegli quello che vuoi!” mi dice Maria. Chiedo consiglio, e qui di seguito il risultato.

Rainwater. Giallo oro chiaro. Delicati aromi di mandorla e buccia d’arancia. Prominente freschezza al palato, con note citrine. Moderata persistenza.

Verdelho 15 anni. Giallo oro con riflessi ambrati. Complesso aroma di noci, vecchio legno, uva passita e miele. Mela cotta e marmellata di arancia affiancate da note caramellate. Freschezza incisiva ma non prepotente, moderato equilibrio con lungo finale.

Boal 15 anni. Ambra scura e riflessi oro. Aromi sorprendentemente fruttati e marcata freschezza per questo vitigno votato al vino dolce. Palato complesso di mela cotogna e crostata di limone. Molto persistente.

Malvasia 20 anni. Ambrato scuro con riflessi oro. Aromi molto complessi di caldarroste, miele, caramello. Palato vellutato di miele e vanigla, nocciole tostate. Opulento, rotondo, ma l’acidità che emerge lo rende perfettamente equilibrato. Un vino armonioso che mi sogno con cioccolato fondente.

Terrantez 20 anni. Colore arancione per prolungata macerazione, sfumature verdi. Al naso risaltano peperone verde e uva passita. Al palato emergono spezie, noci e legno. Perfettamente equilibrato, complesso e lungo con leggera tipca pungenza.

Tinta Negra 50 anni limited edition. Smentisce il luogo comune che vuole il vitigno relegato a vini di seconda classe. Ambra molto scura, grande consistenza. Marmellata di albicocca al naso con note di cuoio. Caramello supportato da mela cotogna al palato. Morbidezza elegantissima e residua acidità producono grande equilibrio. Molto lungo.

Pereira d’Oliveiras

Degustazione da Oliveiras
Bastardo 1927 imbottigliato nel 2014. Naso complesso, di prugne cotte. Fichi secchi al palato. Equilibri perfetto, molto lungo. Imbottigliato per la prima volta nel 2007, dopo 80 anni in botte, ben 60 anni oltre il minimo richiesto di 20.

Verdelho 1912. Nocciole e fichi secchi. Ancora incredibilmente fresto. Complesso e molto lungo.

Moscatel 1875. Molto intenso al naso e al palato. Considerando che si tratta di un moscato, è incredibile che abbia conservato questa freschezza e morbidezza per 150 anni. Lunghissimo.

Verdelho 1850. Il più vecchio dei vini assaggiati. Non smette di sorprendere d’Oliveiras. Vien da dire che questo vino sia ancora giovane tanta è la freschezza. Un tocco di amarognolo sul finale però fa pensare che forse non conviene aspettare oltre. Ma forse sono solo io che non sono abituato a questi sapori.

13 December 2019

Cantina Pereira d'Oliveiras, Funchal, Madeira, Portogallo


Accogliente Luis Pereira d’Oliveiras nella cantina che la famiglia gestisce dal 1850. 

Il padre Anibal, figura storica dell’isola, li ha lasciati da pochi anni, adesso è lui il capo, aiutato dal figlio Felipe. Mi offre di assaggiare tutto quello che voglio, dalle bottiglie più recenti fino a quelle appunto, del 1850! Non so da dove cominciare. 

Con calma, comincio dagli anni 90 del XX secolo e risalgo man mano fino al 1850. Ecco qualche appunto un po’ a caso che ho preso oggi pomeriggio.

Per un articolo più completo e ragionato sul vino di Madeira, leggi questo post sul sito del Brussels Wine Club, AIS di Bruxelles.


Verdelho 2000 colheita bottled 2018
Forte acidità
Mandorle tostate
85

Sercial 1999 colheita bottled 2016
Even fresher
Grapefruit
Deve aspettare 100 anni
85

Tinta negra 1995 medium dry, bottled 2019
Still very dry, comincia a essere bevibile
Caramel,
Long
87

Verdelho 1994 bottled 2019
Pronto grande potenziale
Caramello nocciole tostate
88

Malvazia 1990 bottled 2019
Mela cotogna
Perfect balance
Round ready smooth
Score 90

Boal 1984 bottled 2017
Round complex long
score 94

Boal 1982 bottled 2019
Dry figs
Ready complex
Moderate length
Score 92

Terrantez 1971 bottled 2018
Perfect balance
Ready
Long
Score 94

Sercial 1969 bottled 2019
Still incredibly fresh
Lacks length
Score 86

Boal 1968 bottled 2019
Dark Amber
Complex
Very long
Score 95

Sercial 1937 bottled 2003
Reserva
Still incredibile freshness
Moderate length
Score 88

Verdelho 1932 bottled 2012
Nuts figs
Still on fresh side, moderate balance
Very long
Score 96

Bastardo 1927 bottled 2014
Complex nose
Figs prugne cotte
Perfect balance
Long, imbottigliato per la prima volta nel 2007!
Score 98

Verdelho 1912 bottled before 1994 not indicate bottling on label
Nuts figs
Still incredibly fresh
Complex
Very long
Score 98

Boal 1903 bottled 2017
Still fresh!
Near Perfect balance long
Harmonious
Score 94

Moscatel 1875 the bottled pré 1994
Super complex
Amazing balance and length
Score 99

Sercial 1862 bottled 2014
Still very fresh even too fresh
Touch of bitterness
Moderate length
Score 88

Verdelho 1850 no bottling date
Still fresh
Touch of bitter
Long complex
Score 90

Up to 80 years of aging is optimal, longer and the rise in cost is not justified by a corresponding rise in quality and drinkability


20 February 2018

Macau

Morning around town. Museum of the city, today entrance is free, lucky us. We can learn about the history of Macau, a mix of Chinese and European cultures. 

Given the Portuguese were here for 500+ years obviously there is lots of Christian heritage, though if you look around the main cathedral has collapsed long ago, only the façade is left and no one seems to be in a great hurry to rebuild it.

Huge crowds are channeled in one direction only through narrow cobbled streets, after all this façada is still one of the main attractions of Macau.

Other than gambling, Macau is well known for the manufacturing of matches and fireworks.

In the afternoon we visited a "Venetian" complex, complete with canals and gondolas, several of which are driven by Italian (I know they are, I talked to a couple of them) gondolieri one is a woman.

























The choice for food is infinite, I'd like to try a Portuguese restaurant but Lifang's stomach was rumbling a bit and we decide to play it safe and go for a Hunanese eatery in the food court.

It was interesting to come to Macau, but I would lie if I said we were overwhelmed. Perhaps because we do not gamble, or perhaps we did not give it enough time, tomorrow we're gone again. Maybe it would be a good idea to return and spend a bit more time but somehow I was not able to get a feeling for the soul of this land.

05 January 2014

30. - 5 Jan.: Bartolomeu Dias, Indian food and vintage music at Mossel Bay

Authorized copy
In the morning we head down to town. It's a grey, cloudy Sunday morning, and Mossel Bay is virtually deserted. It is drizzling at times,  and not a little windy. Not a great time for walking around. A few shops that sell souvenirs for tourists are sadly lacking visitors. To me this is ideal museum time: happily, the Bartolomeu Dias is at hand.

We all know the history of Bartolomeu Dias, the Portuguese explorer who was the first European to sail beyond the southernmost tip of Africa in 1488. He landed at Mossel bay to load water and move on but before long he was persuaded by an exhausted crew that enough was enough and returned to Lisbon.


Main mast of caravel
What I did not know, and discover today, is that exactly 500 years later the Portuguese decided to celebrate Bartolomeu's feat by replicating his adventure on an exact copy of his ship. Well, almost exact, the new ship had electric power, a galley and toilets! It was the Portuguese community of South Africa that financed the trip. In the late eighties Portugal had just lost its last colonies and, with them, the dream of a worldwide community of Portuguese-speaking countries. This was a welcome effort to revive the old glory of Portugues exploration and the government supported it wholeheartedly.

The ship itself is housed in a building that was partially built around it. All around, artifacts from the glorious time of exploration, maps, paintings and pictures. A Chinese girl and her mother walk around the nearly empty museum with me and are surprised when I greet them in Chinese. The girl wants to take a picture with me.

It's lunch time by the time I am done with the Dias, but I am not so hungry. Look for a snack and run into an eatery of real Punjabi food, which is certified by the fact that I am welcomed by the owner who wears a white Sikh turban. I am the only patron and when I tell him that I like his wife's pakhora he sits down with me for a chat. I ask him how did he come all the way from Punjab to open a restaurant in South Africa. He replies he didn't.

His grandfather was a railway engineer in India in the 1870s and was asked by the British to go and build a railroad in China. He was offered a good fee and a British passport. That seemed like a good deal and off he went. As soon as he was done with that, the Brits thought to make another railroad in British Columbia, in Canada, which was then a British colony, so he went there.

The next rail project was in British ruled Kenya. Granpa was getting on with age and decided it was time to sink roots somwhere and so ended up settling in Kenya where dad was born and he in his turn. The Indian community in east Africa is a large one.

Then in 2006 he was vacationing in South Africa with his family. They liked it, especially the weather, much more pleasantly temperate than the hot tropical climate of Kenya, and decided to move. So now he sells Punjabi food (but also pizza) to the visitors of the museum.

After lunch I walk around a bit: it's still rather cool and grey. I stumble upon a shop of bric a brac. Military helmets, a bunch of carpenter's planes and assorted tea pots of various styles keep company to a pile of LPs and countless tableware strewn around in no particular order. The owner sits in a corner, silent, not even a nod to people walking in and out of his shop. This could be the den of a child of the flowers, or the pad of a single middle aged man who inherited his dad's collection and does not what to do with them. Maybe it is. Very fittingly, 1970s rock music plays in the background.

I am always tempted to buy something in this kind of shop. I almost feel I have to. So much of this stuff would look great in my own home. Which is why I hardly have any room left in my home. This time I am strong, and resist. I walk out empty handed, though I must make a special effort not to buy a collection of big old iron keys, maybe half a kilo each, that are laying invitingly by the door.

11 July 2001

Book review: The Slave Trade, 1440-1870 (1999), by Hugh Thomas, *****






















Synopsis


After many years of research, Thomas portrays, in a balanced account, the complete history of the slave trade. The Atlantic slave trade was one of the largest and most elaborate maritime and commercial ventures. Between 1492 and about 1870, ten million or more black slaves were carried from Africa to one port or another of the Americas.

In this wide-ranging book, Hugh Thomas follows the development of this massive shift of human lives across the centuries until the slave trade's abolition in the late nineteenth century.

Beginning with the first Portuguese slaving expeditions, he describes and analyzes the rise of one of the largest and most elaborate maritime and commercial ventures in all of history. Between 1492 and 1870, approximately eleven million black slaves were carried from Africa to the Americas to work on plantations, in mines, or as servants in houses. The Slave Trade is alive with villains and heroes and illuminated by eyewitness accounts. Hugh Thomas's achievement is not only to present a compelling history of the time but to answer as well such controversial questions as who the traders were, the extent of the profits, and why so many African rulers and peoples willingly collaborated. Thomas also movingly describes such accounts as are available from the slaves themselves.